Alcune pietre nella giacca, poi l’addio nelle acque del fiume Ouse. Così il mattino del 28 marzo 1941, il mondo assiste impotente alla perdita di una delle menti più brillanti del Novecento: Virginia Woolf. A 78 anni dalla sua scomparsa, l’ossimorica forza dell’ipersensibilità della scrittrice inglese continua a scuotere i suoi lettori.
Virginia Woolf, un’interprete del suo tempo
Se l’inizio del XX secolo è stato segnato da una generale perdita di fiducia verso il progresso scientifico-tecnologico e verso le filosofie sistematiche come idealismo e positivismo, artisti, poeti e scrittori come Virginia Woolf sono stati i primi a percepire questo cambiamento e a cristallizzarlo in arte. La mancanza di certezze, di valori comuni condivisi che contraddistinsero la società industriale e la cultura ottocentesca, si declinò in una percezione diversa della realtà, rivolta verso una pluralità di punti di vista: una più complessa visione del mondo, dell’uomo e della sua interiorità. La realtà, in assenza di criteri oggettivi, divenne di fatto una costruzione dell’individuo. La stessa idea di tempo poté essere interpretata come una costruzione individuale, dove passato presente e futuro non sarebbero altro che una convenzione, in accordo anche con la nascente fisica quantistica e la teoria della relatività. In ambito letterario scrittori come Virginia Woolf trasposero questa tendenza in una forma di letteratura in cui il lettore potesse trovare sé stesso e la propria coscienza, attraverso una nuova tecnica letteraria che realisticamente descrive il continuo flusso di pensieri, sentimenti e percezioni dei personaggi: il flusso di coscienza.
Virginia Woolf, la sua forza ancora oggi
Con un linguaggio sempre elegante e suggestivo Virginia Woolf esprime voglia di rinnovo, di sperimentare, di superare le rigide costrizioni, letterarie e moralistiche, vittoriane, la staticità creativa del suo secolo. Al di là dell’indiscussa abilità stilistica tuttavia, la sua forza consiste paradossalmente nella sua sensibilità. Il disturbo psicologico di cui soffriva, le sue forti crisi depressive che si sono intensificate fino al gesto estremo del suicidio delineano certamente la figura di una donna fragile. E’ bene però sottolineare che la scrittrice non può essere ridotta alla sua malattia. Estremamente intelligente, anticonformista e sagace, con la sua penna è stata in grado di rappresentare le inquietudini del suo tempo. Per tutta la sua vita ha percepito chiaramente e combattuto i limiti che la società imponeva al suo essere donna. E’ stata attivista all’interno di movimenti femministi per denunciare come la condizione femminile fosse oppressa dalla cultura maschile dominante, in modo particolare in merito alla minore possibilità di accesso alla cultura per una donna.
In ‘Gita al faro’, uno dei suoi romanzi più celebri e apprezzati in cui domina l’elemento simbolico, il faro rappresenta l’alternanza tra la luce e l’ombra, un punto di riferimento, la meta a cui giungere, ma al contrario anche qualcosa che compare e scompare, che non si riesce a raggiungere: l’aspetto contraddittorio della vita. In questo senso il suo suicidio deve essere visto non solo come la cessazione di un dolore non misurabile, ma come una reale manifestazione estrema della nostra esistenza.
Le ultime parole di Virginia Woolf nel film di Stephen Daldry, The Hours
‘Caro Leonard, guardare la vita in faccia, sempre; guardare la vita in faccia e conoscerla per quello che è; al fine conoscerla, amarla per quello che è, e poi metterla da parte. Leonard, per sempre gli anni che abbiamo trascorso, per sempre gli anni, per sempre l’amore; per sempre, le ore‘.
–Daniel Ghirardi