“Le città invisibili” di Calvino diventano più reali che mai nell’odierno periodo pandemico

1972. Viene pubblicata la prima edizione del romanzo “Le città invisibili” dello scrittore Italo Calvino (1923- 1985).

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Si tratta di un libro molto particolare, basato sullo strutturalismo; fa parte del cosiddetto “periodo combinatorio” della produzione calviniana: il lettore, infatti, si ritrova a interagire direttamente con l’autore e i personaggi del romanzo.

La struttura delle città

Il romanzo si apre con un dialogo (costituente la cornice narrativa dell’intero racconto) tra l’esploratore veneziano Marco Polo e l’imperatore dei Tartari Kublai Khan.

Polo racconta al sovrano del suo lungo viaggio in Oriente, descrivendo dettagliatamente tutte le città che ha visitato, per un totale di 55: tra deserti e mari, nuvole e sottosuolo, monti e valli, tra stradoni e cunicoli, viuzze e parchi, ogni città è diversa dall’altra e spesso anche da se stessa, dalla se stessa del passato o del futuro. Le città non smettono di mutare, come il ricordo che lo stesso Marco Polo ha di esse.

Le città sono divise in undici gruppi, in base a determinate caratteristiche: esistono le città della memoria, quelle del desiderio, quelle dei segni e quelle sottili, ma anche quelle dei morti, degli occhi, quelle dei nomi, degli scambi e del cielo, quelle continue e quelle nascoste.

Ogni città ha un nome di donna, di stampo classicheggiante: il viaggio inizia da Diomira e Isidora, termina con Teodora e Berenice.

Le Città Invisibili – Zirma – LUIGI SCATTOLIN

I viaggi di Polo tra realtà e fantasia

Marco Polo non si limita a descrivere le città dal punto di vista “fisico” e materiale; per capire la vera essenza della vita in una determinata città occorre analizzare soprattutto le sensazioni che la visione di quel panorama cittadino ha suscitato nell’animo del viaggiatore.

L’esploratore veneziano non è in grado di descrivere le città all’imperatore Khan utilizzando soltanto le parole: gli servono i gesti, lo sguardo, le espressioni, i movimenti e ancora è necessario mostrare direttamente profumi, prodotti tipici, volti degli abitanti,  sapori e rumori della città in questione. L’obiettivo è quello di far immaginare concretamente la città al sovrano e far rivivere all’imperatore dei Tartari le stesse emozioni provate da Marco Polo quando ha messo piede nelle diverse città dell’impero.

Insomma, per ogni città il racconto è dato da più tasselli che si uniscono e si combinano assieme (cfr. strutturalismo).

La domanda che sorge spontanea è: tutte queste città magistralmente dipinte dalle straordinarie parole di Polo sono città reali? Esistono per davvero?

Alcune sì, Marco Polo (nella finzione letteraria le ha visitate veramente), altre -invece- sono “solo” il frutto della grande capacità immaginativa del veneziano: non sono totalmente irreali, ma sono arricchite dalla fantasia, completate e integrate da particolari onirici; Polo le immagina a partire da quelle che ha concretamente davanti.

le città invisibili | allo Spazio 211 Eventi a Torino

Il pensiero di Calvino tra ieri e oggi

Come ebbe a dire Calvino nella presentazione di quest’opera, le città vanno scoperte e analizzate per capire quello che ha spinto gli uomini a vivere in comunità: “Quello che sta a cuore al mio Marco Polo è scoprire le ragioni segrete che hanno portato gli uomini a vivere nelle città, ragioni che potranno valere al di là di tutte le crisi. Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; sono luoghi di scambio [… ] di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi“.

Le città invisibili immaginate da Polo (o, per meglio dire, da Calvino) non corrispondono a città concrete, ma non per questo sono meno reali.

Ieri, dunque l’invisibilità corrispondeva a immaginazione, mentre oggi è l’idea di città a essere invisibile: le città dei nostri giorni sono nascoste, invisibili, perché vuote. L’invisibilità odierna è dovuta all’epidemia da covid. Tra distanziamento, mascherine, coprifuoco, parchi e villette chiusi, lavoro e scuola da remoto, le città sono vuote e, in esse, è venuta meno l’essenza stessa di “città”, di polis, non vi sono più contatti, non vi è più comunità.

Inoltre, le città sono tutte uguali, senza personalità come la Trude calviniana, sono inquinate e sovraffollate come Leonia e Procopia.

Il domani della città

É necessario adattarsi, rispettare l’ambiente, cambiare e migliorare. Ma come?

Citando l’explicit de “Le città invisibili”, potremo concludere dicendo che: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio“.

Già, la città di oggi potrebbe rappresentare un inferno, sotto alcuni punti di vista, ma la soluzione non è andarsene o cercare di uniformarsi, bensì individuare quel che c’è di buono, rinnovarsi e ripensare gli spazi, ripensare la vita, ripensare la città come comunità.

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