La tradizione lega il passato al presente: scopriamo come si è evoluto il folklore italiano

Il folklore sopravvive ancora oggi, in termini e forme diverse. Scopriamo l’evoluzione della tradizione folkloristica italiana.

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Che cos’è il folklore? Quali sono le sue origini e quali le caratteristiche assunte dal folklore moderno? Ha senso parlare di tradizione popolare anche in un’epoca in cui l’omologazione culturale prende il sopravvento? Proviamo a rispondere a queste domande partendo dalla definizione dello studio delle tradizioni popolari. Il termine “folklore” fu coniato nel 1846 da W.J. Thoms per indicare -inizialmente- l’insieme delle usanze, dei costumi, delle superstizioni appartenenti a un tempo passato, generalmente tramandato dal ceto popolare. La disciplina che studia queste tradizioni è detta demologia.

Le origini della cultura popolare

In Europa, l’interesse per la cultura popolare inizia soltanto nel XIX secolo, sotto la spinta del Romanticismo, prima, e del Positivismo, poi.

Nel primo Ottocento filosofi e letterari sono attratti dallo studio delle fiabe e dei canti e ne sottolineano il carattere nazionale, in linea con le rivoluzioni liberal-nazionali di quegli anni.

Successivamente, il campo di interesse si amplia, fino a comprendere usi e costumi, credenze e tradizioni; gli studiosi positivisti definiscono la cultura popolare come un insieme di tratti di epoche precedenti, in qualche modo sopravvissuti al tempo.

In Italia, tra gli esponenti più importanti che diedero un grande impulso allo studio della cultura popolare ricordiamo Giuseppe Pitré definito fondatore della “demopsicologia” e autore dell’opera mastodontica “Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane” (1871-1913).

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Il primo Novecento

Nei primi anni del ‘900 la cultura popolare diviene l’oggetto di numerosi studi e, in generale, tutte le scienze antropologiche e sociologiche conoscono un periodo di fioritura destinato, però, a tramontare presto a causa dello scoppio della Prima Guerra Mondiale.

Nel 1906 Lamberto Loria fonda a Firenze il primo museo etnografico italiano e nel 1911 organizza un congresso di etnografia, incentrato sul ruolo sociale delle tradizioni popolari.

Segue la Grande Guerra e nel primo periodo post-bellico continuano le battute di arresto allo sviluppo degli studi demologici, a causa delle tensioni internazionali, dell’affermazione e della diffusione delle teorie crociane e, soprattutto, a causa dell’ascesa del fascismo.

Da un lato, la politica fascista rigorosamente autarchica rifiuta le influenze di (alcuni) movimenti internazionali maggiormente aperti allo studio dinamico e collettivo della cultura primitiva e di quella popolare; quindi i contatti dell’Italia con gli studi accademici inglesi, francesi e americani riprenderanno soltanto negli anni ’50.

Dall’altro lato, il fascismo alimenta la creazione del grande mito nazionalistico italico e romano, anche e soprattutto attraverso la (ri-)costruzione delle tradizioni popolari. Non è la prima volta che la cultura popolare viene strumentalizzata a livello socio-politico per rafforzare lo spirito nazionale (il cosiddetto Volksgeist): già nell’Ottocento ciò era avvenuto in concomitanza delle grandi rivoluzioni e, poi, durante l’ascesa del movimento nazional-socialista tedesco.

Il folklore diviene uno strumento ideologico, flessibile, per giustificare il proprio credo politico, le proprie scelte, le proprie azioni: ad esempio per legittimare le campagne coloniali italiane nell’Africa orientale oppure per sostenere la persecuzione degli Ebrei e delle altre razze “inferiori” (cfr Manifesto della Razza). I folkloristi raccolgono le informazioni, selezionano, effettuano tagli e modifiche, riscrivono, “correggono”, decontestualizzano, arrivando -talvolta- a inventare di sana pianta.

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In difesa del popolo

Negli anni immediatamente successivi, la demologia non gode di particolare fiducia e/o sostegno perché viene, spesso, erroneamente associata alle più dure politiche fasciste.

A invertire la rotta e a prendere le difese del popolo è Antonio Gramsci (1891 –1937) , le cui idee si diffusero ampliamente soltanto nel dopoguerra. Autore dei “Quaderni del carcere”, Gramsci -riprendendo la teoria marxista e, in particolare, l’aspetto riguardante il complesso rapporto tra forze socio-economiche e culturali- definisce il folklore attraverso l’opposizione tra classi sociali: quella egemone e quella subalterna. L’intento è quello di denunciare l’oppressione e aspirare a un’emancipazione, con l’aiuto della figura dell’intellettuale organico. La cultura popolare coinciderebbe con quella del ceto subalterno. In questo filone, si inserisce tra gli altri il famoso antropologo e storico delle religioni Ernesto de Martino che partecipa al progetto di emancipazione delle classi subalterne dedicando numerosi scritti alla componente magico-religiosa nelle culture popolari del Meridione.

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La sopravvivenza del folklore

Negli anni ’70, la dimensione folklorica originaria pare affievolirsi a causa dell’industrializzazione, dell’inurbamento e della diffusione dei primi mass media: è come se il mondo contadino arcaico e genuino, spontaneo e autentico stesse dissolvendosi. Adesso, i ceti subalterni non producono più -almeno non come prima- prodotti autonomi e tradizioni, ma consumano cultura di massa, in balia della crescente omologazione.

Ovviamente, il folklore non è scomparso -anche se alcuni critici effettivamente parlano di “morte del folklore“- è soltanto cambiato, come del resto è cambiata la stessa società, con l’unificazione linguistica, lo spopolamento delle campagne, le migrazioni e la globalizzazione, la diminuzione del divario socio-economico e, in generale, con la modernizzazione. Il folklore è “sopravvissuto”, evolvendosi e mutando al passo con i tempi: il ceto popolare non è più quello di una volta, così come non lo è la sua cultura.

Revival delle zampogne | calabriacult

Il folklore di oggi

Si può riscontrare del folklore all’interno del consumismo moderno perché i ceti subalterni possono usufruire dei beni di consumo di massa nei modi più disparati e attribuire molteplici significati a quel prodotto industriale; e, soprattutto, il folklore -inteso forse nella maniera più tradizionale- sopravvive nei piccoli paesi, specialmente (ma non solo) nelle aree interne del Sud Italia.

Basta pensare alle sagre, feste popolari con cadenza annuale, legate a una tradizione storica o mitico-religiosa, che spesso rievocano costumi del passato, promuovendo prodotti locali ancora attuali. Oppure alla musica folk, che affonda le sue radici nelle tradizioni popolari più lontane e che utilizza strumenti caratteristici, come la zampogna.

La storia, gli usi e i costumi popolari sopravvivono e vivono ancora oggi, creando un continuum tra tradizione e innovazione.

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