La psicologia morale esalta il sentimento: perché amiamo i Villain Disney?

Le emozioni sono alla base della morale a livello psicologico: come è possibile il nostro “amore” verso il cattivo?

Negli ultimi anni è entrata a far parte del gergo italiano il temine “Villain” e sta ad indicare un cattivo stereotipato, presente in una storia inventata di narrazione o cinematografia. La sua caratteristica principale è l’opposizione all’eroe con natura intrinsecamente malvagia. 

I Villain Disney: un gruppo di Anti-eroi

Elementi cruciali delle trame, semplici o intrecciate che siano, i cattivi delle storie hanno caratteristiche stereotipate a livello sia fisico che psicologico. Passato rozzo, personalità violenta nascosti sotto vestiti neri e volti spigolosi e imponenti. La cattiveria interna è il loro modo di superare il passato, di dare una svolta alla loro vita senza preoccuparsi dei problemi altrui. Negli ultimi anni la Disney ha indetto un vero e proprio franchise intorno a queste figure misteriose, amate e odiate allo stesso tempo dal pubblico. Oltre a libri loro dedicati, storie riscritte da un nuovo e diverso punto di vista, ci sono giochi da tavolo e statuine di porcellana. Il fascino del male colpisce e arricchisce una lista stilata dalla Disney in cui sono compresi solo i “migliori” cattivi di sempre:

  • Ade da Hercules
  • Capitan Uncino da Peter Pan
  • Crudelia De Mon da La carica dei cento e uno
  • Grimilde da Biancaneve
  • Jafar da Aladdin
  • Maga Magò da La spada nella roccia
  • Malefica da La bella addormentata nel bosco
  • Regina di cuori da Alice nel paese delle meraviglie
  • Scar da Il Re Leone
  • Ursula da La Sirenetta
  • Yzma da Le follie dell’imperatore

Strano notare come caratteristiche fisiche e psicologiche accomunano questi personaggi di cui tutti hanno terrore e ammirazione. Ci fanno ridere come Yzma o Capitan Uncino o Maga Magò, ci portano in oscuri meandri come Malefica, Ursula o Jafar, eppure ogni storia non sarebbe la stessa senza di loro.

La voce della psicologia associa morale ed emozioni

La prospettiva sentimentalista della psicologia morale ne influenza le teorie in modo dominante e continuo nel tempo. La tesi principale prevede la necessità di emozioni e sentimenti per la competenza morale e il loro ruolo giocato nel giudizio. Tra giudizio ed emozione non c’è una semplice associazione ma una vera e propria relazione di necessità. Alla base possiamo trovare l’idea secondo cui un’azione è considerata immorale in relazione ai sentimenti che provoca in noi dal senso di colpa alla disapprovazione. L’emozione assume una nuova e diversa connotazione perché dipende direttamente dalla violazione di una regola. Studi recenti hanno confermato la presenza delle emozioni nei processi di apprendimento non guidato solo da capacità associative, ma anche da nozioni astratte. Per capire la posizione sentimentalista sfruttiamo un’analogia: andiamo ad associare le proprietà morali ai colori. Queste assumono, quindi, l’appellativo di qualità secondarie che dipendono dall’esistenza di un sistema mentale particolare che possiede la capacità di provare emozioni – il limone è giallo può essere affermato da chiunque, ma avere una percezione reale del giallo non è uguale tra una persone vedete e non.

Con questo non si intende, però, che una persona in grado di provare emozioni è necessariamente una persona dalla giusta morale, perché è importante come e quali emozioni proviamo. Un senso di colpa molto forte, disgusto, senso di abbandono indirizzano le persone a non compiere cattive azioni, ma non significa che non vengano compiute.

Una questione di vita o di morte: l’esperimento del pulsante

Una storia spesso raccontata e inventata da Philippa Foot, mette spesso in crisi anche le persone che affermano di avere una solida morale. C’è un carrello che scende senza freni lungo un binario su cui stanno lavorando cinque persone; premendo un pulsante è possibile deviare il carrello su un altro binario su cui sta lavorando una sola altra persona, come unica alternativa possibile. Premeresti il pulsante salvando 5 persone per ucciderne solo una? Prevedibilmente le risposte sono state maggiormente a favore di quest’ultima opzione perché guidate dal principio utilitarista alla base del bene dei più; meglio che vivano cinque persone non che ne viva solo una. La storia originale è stata modificata inserendo la componente emotiva e producendo pareri sempre diversi. Prima la persona sola sul binario è un parente stretto, che sia la madre, il nonno o il fratello; cambiereste lo stesso il binario? E l’ultima variazione prevede un cambiamento di metodo, nella situazione iniziale del cinque o uno invece di schiacciare un pulsante per cambiare binario bisognerebbe spingere una persona dal carrello causandone la morte ma permettendo una frenata in tempo. La risposta sarebbe comunque quella a favore del cinque sull’uno? Studi dimostrano di no. La spiegazione risiede nella presenza emotiva in uno dei due casi che ridimensiona la morale.

Perché siamo attratti dai cattivi Disney?

Il fascino del cattivo è tra le ricerche più gettonate di google. È noto che la scelta ricade sempre sulla figura prepotente della situazione che sa il fatto suo. Perché i sentimenti che dovrebbero guidarci presso una scelta morale ci fanno ricadere sempre ad ammirare i “cattivi”? Sicuramente la sicurezza in se stessi rende ai cattivi nella finzione, come nella vita reale, una forte ammirazione e senso di protezione. Nelle fiction il cattivo è brillante, intelligente, furbo e sviluppa un suo modo di contrastare il male che ha subito nella vita. I cattivi sono fragili, come anche noi lo siamo, e hanno alle spalle spesso storie di dolore e ingiustizie; come non citare la rivisitazione tutta Disney di Melficent? La nostra attrazione è legata alla complessità del cattivo con tutte le sue sfumature che nei buoni spesso non ritroviamo, ma anche la nostra voglia di conoscere e integrare il nostro lato oscuro senza provare senza di colpa. Grazie ai cattivi delle narrazioni riusciamo a mettere sul piatto della bilancia alcune nostre caratteristiche nascoste che non ci sembrano più così male.

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