Il romanzo “Fuga di morte” e il Decadentismo spiegano lo scontro tra progresso e arte

La scrittrice cinese Sheng Keyi parla di una società che sacrifica l’individualismo e il valore delle idee alla logica del profitto. In questo possiede dei punti di contatto con il Decadentismo europeo.

Veduta della città cinese di Shangai

Il 28 novembre 2019 è uscito in Italia il libro Fuga di morte della scrittrice cinese Sheng Keyi che in Cina è stato rifiutato per i suoi contenuti controversi. Infatti l’argomento trattato è l’evoluzione culturale della società cinese dopo le proteste di Piazza Tienanmen del 1989, che hanno influito pesantemente sugli eventi contemporanei. Il tutto ricorda molto ciò che in Europa è accaduto a cavallo tra il XIX e l’inizio del XX secolo, quando imperversavano il Positivismo e la seconda Rivoluzione industriale e alcuni artisti denunciavano le conseguenze oscure dei processi in atto.

Carri armati della Repubblica Popolare Cinese in piazza Tienanmen per sedare la rivolta il 30 maggio 1989 (fonte Panorama.it)

Si pensa solo ai soldi

In Fuga di morte ci si ritrova nella piazza principale della città di Beiping, capitale di uno Stato chiamato Dayang. In questa piazza compare all’improvviso un escremento a forma di pagoda che da un lato avvia la pesante reazione repressiva del governo e dall’altro la contro-reazione  dei manifestanti stanchi del regime di oppressione in cui sono costretti a vivere. Tra questi ci sono molti intellettuali come Qi Zi, giovane donna che si ritrova ad essere leader del movimento di protesta ma che poi scompare all’improvviso. Il suo compagno, il medico e poeta Yuan Mengliu, non riesce ad accettare la repressione del governo ma non condivide nemmeno del tutto le ragioni di Qi e degli intellettuali. La profonda crisi che lo tormenta si acuisce sempre di più durante la disperata ricerca della compagna. Nel presentare questo libro, la scrittrice Sheng Keyi precisa di essersi voluta confrontare con la delicatissima questione delle proteste del 1989 avvenute in Cina e con le loro conseguenze nella contemporaneità. La società cinese ha cercato sempre di più di divenire potente ed industrializzata, di alzare a livelli vertiginosi la produttività e il Pil interno, di inseguire il massimo livello di ricchezza. Tutto questo dopo quelle proteste di trent’anni fa, in seguito alle quali, secondo la scrittrice, è cambiato tutto, a cominciare dalla percezione degli ideali e dal loro valore. Non ci sono più ideali in cui credere o sogni da realizzare, perché il profitto ha sostituito tutto. Le persone pensano solo al denaro e alla ricchezza, sacrificando gli ideali in cui credevano e la loro stessa libertà. L’aspetto peggiore di tutto questo è che, dopo Tienanmen, persino gli intellettuali hanno cessato di battersi per la libertà di espressione, per i diritti e per l’individualità di ognuno. Molti di loro si sono convertiti al commercio per arricchirsi, assecondando direttive o censure senza esprimere realmente la loro opinione. Paradigma di questi individui è il personaggio del libro Yuan Mengliu, che pratica sia la professione di medico sia quella di poeta e intellettuale. Egli condivide gli ideali della protesta e si rammarica per la dura repressione messa in atto per silenziarla, ma non è in grado di ribellarsi allo status quo. Per istinto di sopravvivenza e per la contraddizione interiore che non riesce a sanare alla fine decide di non fare nulla: il risultato è che, nel suo restare immobile, asseconda di fatto il volere del governo.

Charles Baudelaire (1821-1867), considerato il padre e il precursore del Decadentismo francese

La civiltà del progresso

Il ceto intellettuale ha perso ogni potere di fronte alla logica del profitto. L’unico ideale che conta è quello economico, votato incessantemente al progresso, il processo che sembra instancabile. E gli intellettuali e uomini di cultura o si sottomettono ad esso o non sono in grado di reagire. Questa è Dayang, questa è la Cina post-Tienanmen, questa è l’Europa della seconda metà dell’Ottocento. La seconda Rivoluzione industriale imperversa a dismisura, le innovazioni tecnologiche fioriscono dovunque, la società si industrializza e il progresso economico va troppo più veloce rispetto alle capacità di adattamento umano. Soprattutto sembra che tutto questo non sia destinato a finire mai, sembra che il progresso (inteso come miglioramento positivo) della produttività, della tecnologia e del benessere sia impossibile da arrestare. Ma qual è l’altra faccia dello sviluppo interminabile? Che lo stile di vita delle persone, le città e le professioni cambiano radicalmente. Tutto è incentrato allo sviluppo e al guadagno, alla produzione e al consumo, non c’è altro fattore che conti. C’è la mania della novità: in un’epoca di frequentissime scoperte, tutto quello che è vecchio è da buttare perché ciò che è nuovo rende maggiormente, è più comodo ed è efficace. La scienza e la tecnica hanno il predominio su tutto, dalle arti alla filosofia, è come se il progresso sia il fine per il quale tutto è convogliato. Un esempio sono i Naturalisti francesi e i Veristi italiani: la realtà va studiata in modo oggettivo e con un’analisi scientifica aderente al vero, senza individualismo o soggettività. E a qualcuno tutto questo sta stretto, qualcuno che si sente fuori posto: i poeti decadenti. Sono gli intellettuali che non credono nel progresso, che credono che non sia tutto freddamente e rigidamente oggettivo, ma che la spiritualità di una persona sia fondamentale. Sono quelli che ritengono che l’interiorità sia il lato migliore dell’uomo perché è insondabile e inconscia (é il periodo del pensiero di Freud e Nietzsche) ricco di legami nascosti con il mondo circostante e con la natura che sono irrazionali e inspiegabili. E a questo punto urge una precisazione, perché nel mondo e nella natura che li circondano non si ritrovano più. La scrittrice Sheng Keyi, in Fuga di morte, parla di fiumi inquinati, prodotti alimentari chimicamente trattati, paesaggi cementificati. Anche la natura cede alla legge del progresso e non importa a quale prezzo ambientale o salutare. Il paesaggio che vedono i Decadenti non è diverso: ciminiere di fabbriche, stazioni ferroviarie, treni carichi di carbone, città fatte di acciaio che si ingrandiscono a dismisura. La società figlia dell’industrializzazione di massa non è la loro, non vi si ritrovano. A loro serve la Natura dei simboli e dei legami nascosti, quella verdeggiante e a tratti prodigiosa che influenzerà la poetica del Simbolismo, non quella costruita e urbanizzata. Loro vogliono un ritorno alla realtà precedente al fenomeno del progresso, quella vecchia e presto sostituita ma nella quale erano a loro agio. Sanno però che un ritorno alle origini non è più possibile, il danno è fatto ed è irreversibile. Non hanno un posto nel paesaggio moderno e faticano a trovare la loro collocazione di artisti anche nella società che li circonda.

Quadro dal titolo “Dopo il ballo” di Ramòn Casas, una delle più famose opere del Decadentismo pittorico

L’arte è merce

Charles Baudelaire, in un suo scritto allegorico, ha paragonato il ruolo di poeta del suo tempo a quello della prostituta: questa vende il suo corpo, quello vende l’arte. Entrambi guadagnano denaro commerciando qualcosa che non dovrebbe essere commerciabile. L’arte non ha un valore pecuniario e non va commercializzata, ma il poeta moderno è costretto a farlo. La società della produttività mostruosa e del consumo instancabile ha reso l’arte una merce vendibile e che possiede un valore quantificabile in denaro. Tutto questo è inconcepibile per quegli artisti come Verlaine, Rimbaud, Wilde, D’Annunzio e lo stesso Baudelaire la cui concezione dell’arte è nettamente differente. La messa in discussione del ruolo dell’arte e la sua “svalutazione” li conduce necessariamente a una perdita dell’orientamento per la quale non trovano più il loro posto nella società: prima i poeti e gli intellettuali erano i propugnatori di valori, di ideali, erano le guide del sentimento della Nazione e la voce della sua gente; adesso sono semplici commercianti che vendono una parte di loro (il loro sublime e misterioso lato interiore) per sopravvivere, sono delle prostitute. I valori in cui credere, nella loro società, sono diffusi dal progresso e dal Positivismo, ai quali tutto si sottomette con riverenza o impotenza. Alcuni intellettuali vi si piegano con convinzione (Naturalisti e Veristi) altri, come i Decadentisti,  si rifugiano nell’irrazionale, nella vita dedita alle sensazioni, alle percezioni totali dei sensi e alla superiorità morale dell’arte: insomma, si ritirano laddove possono sentirsi ancora poeti, interpreti privilegiati di una realtà nascosta e insondabile. E in Cina? Dopo Tienanmen, secondo Keyi, gli intellettuali hanno perso piano piano il ruolo di diffusori di ideali, tutti silenziati o asserviti dalle leggi del profitto dell’economia e della società cinese. Per spiegare come alcuni intellettuali si comportano, la scrittrice ha parlato, in un’ intervista, di un fiore che cresce a Taiwan, il quale fiorisce aprendosi al contrario, verso il basso. In un ambiente di censura (che ha colpito anche il suo libro) e di povertà di ideali, alcuni intellettuali fioriscono al contrario a causa delle condizioni ambientali, altri a prescindere da queste. Significa che ci sono persone di cultura che rinunciano senza problemi alla loro indipendenza e determinazione di ideali per asservirsi al profitto e alle leggi e altri che, pur opponendosi, sono costretti a soccombere in una battaglia persa in partenza, come i poeti decadenti. Dopo i grandi sentimenti culturali degli anni Ottanta, in Cina, ogni movimento è controllato e incanalato verso un’ortodossia che risponde solo al progresso economico. La censura ha costretto persino la Keyi a usare delle metafore come la pila di escrementi a forma di pagoda per esprimere le sue verità: anche i Decadentisti si servono di ardite associazioni semantiche per comunicare ciò che desiderano dire senza che la loro società possa tappare loro la bocca o, come nell’Albatro di Baudelaire, impedisca loro di volare.

 

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