La poesia alla corte di Federico II: scopriamo cos’è la Scuola poetica siciliana

Il prestigio della poesia Siciliana fu tale da influenzare i poeti successivi fino agli stilnovisti: scopriamone le principali caratteristiche.

Federico II di Svevia fu nominato imperatore nel 1220 e morì nel 1250. La sua corte, per quanto itinerante, era per lo più stabilita in Sicilia, che così divenne il centro non solo politico ma anche culturale dell’impero.

I TEMI PRINCIPALI DELLA SCUOLA POETICA SICILIANA

Oggi si parla di scuola poetica siciliana per indicare il gruppo di poeti, che erano all’incirca 25, attivi nel periodo fra il 1230 e il 1266, quando con la battaglia di Benevento, in cui venne sconfitto il figlio e successore di Federico, Manfredi, Il sogno ghibellino della dinastia Sveva subì una crisi rapida e definitiva. Ma il periodo di fioritura vera e propria della scuola siciliana si concentrò nel ventennio 1230 -1250. Rispetto al modello provenzale cambia la figura del poeta; infatti questi non è più professionista proveniente dalle file dei cavalieri poveri e della piccola nobiltà, né un giullare, ma quasi sempre un borghese che esercita funzioni giuridiche e amministrative a corte e che si dedica alla poesia solo per diletto. Le differenze politiche e sociali determinano anche alcune differenze tematiche: vige ancora il motivo del vassallaggio d’amore preso in prestito dalla corte feudale ma la poesia siciliana è molto più astratta e rarefatta di quella provenzale, più lontana dalla concretezza delle situazioni reali e della cronaca. La figura della donna è meno delineata mentre spesso il centro lirico è costituito da una riflessione sulla natura e sugli effetti dell’amore; le conseguenze sono due: da un lato si insiste sull’introspezione psicologica e sull’interiorità del poeta, dall’altro l’esperienza d’amore diviene un’esperienza intellettuale, sottoposta a considerazioni di carattere scientifico. Le strutture metriche retoriche della poesia siciliana hanno condizionato l’intera tradizione lirica italiana che trova in esse il modello originario. Queste forme metriche sono la canzone, la canzonetta il sonetto che è una vera e propria invenzione siciliana.

IL CONTRIBUTO DI ANGELO COLOCCI

La scuola poetica siciliana tuttavia non è né una scuola ne è siciliana. Alla fine degli trenta e nel corso degli anni quaranta i funzionari della corte itinerante di Federico II si dilettano a produrre poesia, poesia in un volgare che si codifica e fossilizza divenendo canone. Tra questi funzionari che sono per lo più notai troviamo Giacomo da Lentini (definito da Dante il “Notaro”), Pier della Vigna, il quale era campano e lo stesso Federico II con i suoi figli. A fare parte della scuola poetica siciliana ci sono anche fiorentini e genovesi. Non si può parlare dunque né di scuola né di sicilianità se non per il fatto che si viene a creare una koinè, ovvero un linguaggio poetico alto basato sul volgare siciliano che venne definito appunto “Scuola poetica siciliana”. La forma in cui giunge a noi la produzione poetica volgare è indiretta e filtrata perché, quando dopo la disfatta di Manfredi a Benevento nel 1266 subentrano gli Angioini di Carlo d’Angiò, gli esponenti funzionali della corte sopravvissuti scappano portando con sé i manoscritti e i documenti tra cui quelli che sono giunti a noi. Questi salendo per la penisola passano prima per la Campania e poi per la Toscana; infatti in tutta la produzione poetica ci sono degli apporti campani e toscani. Colui a cui dobbiamo la sopravvivenza della produzione della scuola poetica siciliana è Angelo Colocci; egli scopre fra le carte della biblioteca vaticana un manoscritto che raccoglie da una parte tutta la produzione letteraria provenzale in lingua d’oc, dall’altra tutta la scuola poetica siciliana.

GIACOMO DA LENTINI E CIELO D’ALCAMO

L’attività come funzionario imperiale di Giacomo da Lentini è documentata fra il 1233 e il 1241 e a questo periodo risalgono le sue poesie. Fu noto in Toscana come il “Notaro” (lo chiamava così infatti anche Dante nella commedia). Di lui restano 38 componimenti, tutti canzoni canzonette e sonetti; del sonetto egli fu molto probabilmente l’inventore. Fu quasi certamente il caposcuola e dunque il fondatore del canone lirico che sarà istituzionalizzato alla fine del secolo. Dante stesso lo considera il massimo rappresentante dei Siciliani. Da Giacomo da Lentini derivano due tendenze principali: una “tragica”, e cioè di meditazione amorosa e di elevato contenuto teorico e morale in cui si distinguono i due maggiori poeti siciliani dopo Giacomo, cioè Guido delle Colonne e Stefano Protonotaro. L’altra più narrativa e colloquiale, tendente alla canzonetta popolareggiante, in cui si distinguono Rinaldo D’Aquino e Giacomino Pugliese. Questa seconda linea ha poi diversi punti di contatto con una produzione che sembra giullaresca e quindi estranea alla scuola siciliana vera e propria di cui massima espressione è il “Contrasto” di Cielo d’Alcamo (o Michele d’Alcamo: Cielo è la forma toscana del siciliano Celi, cioè Michele).

 

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