La pioggia nel pineto: D’Annunzio contro fascismo e cambiamenti climatici

D’Annunzio, il fascismo e il riscaldamento globale: destra e sinistra che si incontrano nel mezzo, al centro

(The Map Report)

Senza le foreste, la nostra sfida al riscaldamento globale sarebbe inaffrontabile in partenza”: comincia così uno degli ultimi articoli di Focus, sul riscaldamento globale. Mio intento di oggi, è collegare questo tema al fascismo. È un po’ forzato, lo so, ma per rendere il tutto più digeribile adotterò un medium, un ponte, un tramite: Gabriele D’Annunzio.
Cosa c’entra D’Annunzio con Greta Thunberg? Niente. Però il poeta ha scritto un capolavoro eterno, La pioggia nel pineto, dove uomo e natura diventano un’unica esistenza, articolata in rami, foglie, capelli e acqua, vitale, rigenerante. 

Mussolini e il saluto romano (Cinecittà Luce)

D’Annunzio e Mussolini: eccezionali macchine di propaganda

Gabriele D’Annunzio è un personaggio controverso. Lo si odia o lo si ama, non ci sono vie di mezzo. È lui e lui deve piacerti. 
D’Annunzio e Mussolini, almeno inizialmente, erano molto simili: entrambi aizzati da istanze interventiste durante la Grande Guerra; entrambi mossi da uno spirito dinamico, intraprendente, direi quasi dittatoriale. 
Sia Mussolini che D’Annunzio dovevano il loro successo all’eccezionale capacità di rendere il proprio corpo, fisicamente, una straordinaria macchina di propaganda: è sotto gli occhi di chiunque il video del Duce che partecipa ai raccolti, sudato e a dorso nudo. E poi ci si chiede come abbia fatto a riscuotere tanto successo…Mussolini, così come D’Annunzio, era tutto quello che una Nazione senza capo né coda, delusa dall’esito della guerra, irata per il “mito” della vittoria mutilata, aveva bisogno. 
Un leader che si sporcasse le mani, uno del popolo. 
Un poeta che cavalcasse l’onda interventista. 
Chi condanna il fascismo delle origini a priori, non si è documentato abbastanza. Per dimostrarlo, porterò l’esempio di Ferrara, efficace e semplice da comprendere.

Alessandro Roveri e Le origini del fascismo a Ferrara

Come scrive Alessandro Roveri, ne Le origini del fascismo a Ferrara, “la realtà umana di quelle plaghe solatie era profondamente mutata, ed era riuscita sconvolta dall’esperienza del conflitto mondiale. Migliaia e migliaia di braccianti e di contadini erano stati strappati al loro lavoro, alle famiglie […] e gettati nella fornace del fronte a combattere per una patria che non si era prima mai ricordata di loro e che essi non conoscevano né potevano amare”: obiettivamente, l’Italia era “nuova”, fresca di unità e, tuttavia, una patria che, in effetti, “non si era prima mai ricordata di loro”. Era un sistema ancora troppo aristocratico, elitario, che escludeva i poveri, i contadini, i braccianti. Ed è lì che si è inserita la macchina fascista, dov’è riuscita a trovare facile seguito. 
È il caso di condannarli tutti? Il senso di esclusione di cui i fascisti si sono fatti prima medicina e rimedio, sommato alla tanto odiata vittoria mutilata, ha permesso a Mussolini, così come a D’Annunzio, di diventare le vere star del momento.
La gente aveva bisogno di sentirsi parte viva e pulsante di una nazione, che si prendesse anche cura del suo popolo, che riunisse l’animo di tutti sotto gli stessi colori, sotto lo stesso nome. L’Italia s’è desta, no?
Ma dai primi barbagli di un acerbo e sano nazionalismo al fanatismo che fa del nazionalismo il suo braccio armato, il passo è breve: in men che non si dica, il fascismo si è fatto violento e sovversivo all’ennesima potenza. Camicie nere, guerriglia, omicidi politici, autarchia, dittatura.
E questo a D’Annunzio non andò più bene. Nella villa del poeta, il Vittoriale degli italiani, ci sono due ingressi: il primo, per gli ospiti graditi, è spazioso, pieno di libri e di opere d’arte, di melagrane (simbolo di abbondanza) e di oggetti preziosi; il secondo, per gli ospiti sgraditi, è piccolo e angusto, è pieno di opere e citazioni macabre, come “ricordati che devi morire”, diametricalmente opposta al motto dannunziano per eccellenza: “memento audere semper”. È qui che veniva fatto accomodare Mussolini. 
Dunque prima di dare a D’Annunzio del fascista, bisognerebbe pensarci due volte: sono i fatti a parlare. 

Motto dannunziano (Sololibri.net)

La pioggia nel pineto: il patriottismo partigiano e il nazionalismo destrorso

Dovevamo parlare di cambiamento climatico, giusto? 
L’Italia di Mussolini, dall’esile istanza di un trovato senso di appartenenza, si è fatta parossismo di esclusione e fanatismo italiota, culminante con la firma delle Leggi razziali, macchia indelebile nella storia del nostro amato (?) Paese. 
Io credo che il nazionalismo, se intrecciato al patriottismo di stampo partigiano e poi costituzionalista, sia un valore che non vada per forza secluso dal senso, prima europeo e poi mondiale (con la così detta mondializzazione), di totalizzante appartenenza ad un solo modo di essere uomini, senza differenze di razza, di sesso e di religione. È la destra che incontra la sinistra nel mezzo, al centro. Come si suol dire, siamo tutti sulla stessa barca. Tutti siamo tutto. È il panismo dannunziano, quello de La pioggia nel pineto: il poeta e la sua donna sono nel bosco, insieme, quando improvvisamente comincia a piovere e le parole si parole si fanno 
…più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.”
E il corpo si fa albero, ogni elemento della natura completa i caratteri della persona 
Piove su i nostri volti
silvani, 
piove sulle nostre mani 
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri 
che l’anima schiude 
novella,
su la favola bella 
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude, 
o Ermione

D’Annunzio esprime il sentimento di un mondo che si fa uomo e, al contempo, dell’uomo che si fa mondo.
Eppure noi lo distruggiamo. Uccidiamo il mondo.
Ma se l’uomo è mondo e il mondo è uomo, distruggere il mondo non equivale forse a distruggere noi stessi? 

E immersi
noi siam nello spirto
silvestre, 
d’arborea vita viventi

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