La luna come confidente di amori, come divinità benevola ma soprattutto come spirito di rinascita. Dal pop italiano di Gianni Togni verso il simbolismo pirandelliano, quando guardare la luna ci rende umani.
“E Ciaula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell’averla scoperta, là, mentr’ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore.”
L’estate del 1980: Luna
Siamo nella torrida estate del 1980 quando il ventiquattrenne Gianni Togni, dopo un’esperienza come supporter dei Pooh, finisce in cima alle classifiche con la sua Luna, inserita nell’album dal titolo infinito …e in quel momento, entrando in un teatro vuoto, un pomeriggio vestito di bianco, mi tolgo la giacca, accendo le luci e sul palco m’invento… . Luna in realtà si chiamava Anna, il nome che un senzatetto, che viveva nelle gallerie che portano alla banchina della metropolitana, continuava incessantemente a ripetere, insieme ad un’altra serie di frasi sconnesse che sono entrate nel testo della canzone. Da qui nasce l’idea di passare “le notti a camminare dentro un metrò” e di guardare “il mondo da un oblò“. Ad un certo punto però, una sera di luna piena, rimanendo abbagliato dalla grandiosità del nostro satellite, Togni decide che tutte le parole di quella canzone d’amore le vuole dedicare a lei, alla luna. Ed ecco che Luna acquista un significato in più. Luna ci racconta di tutte le volte in cui, alzando gli occhi al cielo, siamo spinti ad una riflessione più profonda su noi stessi, sulla nostra condizione di umani. Togni fa la sua riflessione e afferma “son pieno di contraddizioni, che male c’è? Adoro le complicazioni, fanno per me. Non metterò la testa a posto, mai“. Poi alla luna confida che ha “mille libri sotto al letto” ma non li legge più e che il cassetto dei sogni ormai preferisce tenerlo chiuso. Quando rialza gli occhi l’alba si sta risvegliando, Luna se ne deve già andare e a lui non rimane che sperare di poterla portare a ballare una sera e di essere così “un po’ felici“.
La figura della luna in Ciaula scopre la luna, La giara e Rosso Malpelo
Ciaula scopre la luna fu pubblicata da Pirandello sul Corriere della Sera nel 1912 e poi inserita all’interno del volume delle Novelle per un anno dall’emblematico titolo Dal naso al cielo. La novella si svolge nell’arco temporale di una notte che Ciaula e Zi’ Scarda, il suo padrone, trascorrono lavorando nella miniera di zolfo. Per Zi’ Scarda, abituato a lavorare tutto il giorno sottoterra, l’oscurità della notte non rappresenta affatto un problema, ma per Ciaula la situazione è differente. Ciaula non ha paura delle gallerie sotterranee, né delle ombre mostruose che a volte la lanterna disegna lungo le pareti, ma prova un vero e proprio terrore per le notti senza luna. Quelle notti in cui le stelle brillano invano perché non riescono a disegnare il profilo del paesaggio intorno. Una di quelle notti, infatti, il figlio di Zi’ Scarda aveva trovato la morte a causa dello scoppio di una mina e lui, Ciaula, alla vista della notte nera, aveva preferito correre all’impazzata per rifugiarsi nell’alvo materno della terra. Ecco che però, nella notte che Pirandello ci descrive, succede qualcosa di inaspettato. Salendo la ripida scala che porta all’esterno, Ciaula rimane estatico davanti ad un bagliore argenteo che diventa sempre più forte mano a mano che sale i gradini. All’inizio pensa che sia ormai arrivato il giorno poi realizza che no, è proprio lei, la luna. Una luna con la L maiuscola venuta a confortare e a scuotere la sua anima da quel torpore in cui la sua condizione di emarginato lo ha fatto sprofondare. Il carico gli cade di mano e Ciaula, finalmente confortato, non può far altro che piangere.
I critici hanno spesso insistito sul legame, più o meno scoperto, che questa novella intrattiene con Rosso Malpelo. Il modello verghiano è certamente fondamentale per la produzione letteraria pirandelliana ma le differenze sono molteplici, proprio a partire dal rapporto antitetico che Rosso e Ciaula intrattengono con la luna. Mentre Ciaula, come abbiamo visto, teme le notti senza luna, Rosso invece le preferisce a quelle di luna. Così Verga ci spiega la motivazione: “[…]odiava le notti di luna, in cui il mare formicola di scintille, e la campagna si disegna qua e là vagamente – allora la sciara sembra più brulla e desolata -“. La luna mostra a Malpelo tutta la nerezza della sciara, il terreno roccioso coperto dalla lava solidificata, in cui è costretto a lavorare tutti i giorni, contrapponendola invece alla chiarità del mare e della campagna circostanti. La luna in Rosso Malpelo non ha niente della divinità benevola che rassicura Ciaula.
La luna acquista una potenza magica, misteriosa, all’interno di un’altra novella di Pirandello, La giara. Dopo una raccolta delle olive particolarmente generosa, Don Lollò si fa costruire una giara enorme per contenerne il più possibile. Misteriosamente la giara viene ritrovata spaccata in due e subito viene chiamato un conciabrocche esperto che ha da poco inventato un mastice portentoso, Zi’ Dima. Durante l’operazione di riparazione, Zi’ Dima rimane bloccato all’interno della giara e Don Lollò si rifiuta di spaccarla di nuovo per farlo uscire. Durante la notte, alla luce della luna, i contadini ubriachi cominciano a danzare intorno a Zi’ Dima, intrappolato nella giara. Don Lollò infuriato spinge la giara, rompendola e quindi facendo uscire Zi’ Dima. Uscendo dalla giara panciuta, una sorta di utero materno, si profila per Zi’ Dima una vera e propria rinascita. La presenza della luna come divinità misteriosa è ancora più evidente nell’atto unico, tratto da questa novella, in cui Zi’ Dima si trasfigura in un demone e la danza dei contadini diventa un sabba corale.
La luna come potenza rivelatrice
La luna rappresenta più in generale il bisogno umano di alzare gli occhi al cielo per cercare delle risposte alle nostre domande terrene. In altre parole, guardare il cielo è ciò che ci rende umani ed è proprio questo il motivo per cui Ciaula scoppia a piangere. Come suggerisce il suo nomignolo, ricalcato sul verso della cornacchia, quest’uomo dalle connotazioni infantili “guarda il mondo da un oblò“, senza prenderne veramente parte. Come una bestia, una cornacchia appunto, lavora nella miniera, mangia e si addormenta subito, senza riflettere sulla sua condizione, mentre gli orfanelli del padrone lo prendono in giro. Al mattino si sveglia con i calci e la giornata ricomincia, sempre uguale. Ed è proprio guardando la luna che viene investito da una consapevolezza nuova, da una nuova coscienza di sé. Il pianto di Ciaula è il vagito del bambino appena nato che esce dalla terra, dall’utero materno, per prendere in mano la propria vita e farsi un uomo nuovo. Così come Togni, pensando alla sua Luna, è spinto a cambiare per conquistare il suo amore. A quella Luna che mangia troppe caramelle, che sta benissimo da sola e non mostra solo la sua parte migliore, Togni offre un fiore e di andare a ballare, per diventare “molto più che amici“.