La lotta dei lavoratori della GNK ci ricorda l’autunno caldo del 1969

Le proteste degli operai della GNK entrano nel vivo, in quello che si prospetta l’autunno più caldo dal lontano 1969.Solita storia dell’era economica tardo-capitalista: l’ennesima multinazionale decide di chiudere un suo stabilimento in Italia per delocalizzare la produzione altrove, abbattendo i costi. Il risultato lo sappiamo tutti. In fondo, è un paradigma che si ripete di continuo: i lavoratori insorgono, i sindacati danno loro manforte, le manifestazioni si susseguono frenetiche, i media divulgano la questione, mentre il governo promette di fare qualcosa per gli operai e per le loro famiglie. Ma questa volta i dipendenti della GNK si sono fatti sentire alla grande: le loro proteste vanno avanti imperterrite, così come l’attenzione data loro dai telegiornali.

La chiusura di GNK e la delocalizzazione

9 luglio 2021: 442 impiegati dello stabilimento GNK di Campi Bisenzio vengono licenziati per email. Il motivo? La multinazionale per cui lavorano ha deciso di chiudere definitivamente il suo impianto fiorentino, a causa di un drastico calo del fatturato. Quindi, da un giorno all’altro più di 400 persone, con annesse famiglie, si sono ritrovate praticamente disoccupate. Da quel momento, però, sono iniziati gli scioperi e le manifestazioni, sostenuti entrambi dai maggiori sindacati nazionali, CGIL in primis. Sembrava dovesse essere solamente l’ennesima pubblica lamentazione destinata a durare poco, ma non è andata esattamente così. A distanza di quasi due mesi, infatti, la lotta dei lavoratori GNK continua con ancora più risonanza mediatica di prima. Dall’assemblea permanente davanti allo stabilimento, ai cortei, alle proteste: ci dobbiamo aspettare l’autunno socialmente più caldo dal 1969.

L’autunno caldo del ’69

Fine anni ’60: momento di grandi cambiamenti in tutto l’Occidente, Italia compresa. Anche se il primo anno che ci viene in mente è il famosissimo ’68, con il grande fermento dato dagli universitari, non dobbiamo tralasciare il 1969. A partire da quel momento, i giovanissimi manifestanti sono coadiuvati dagli operai. Questi ultimi arrivano a protestare e a rivendicare i loro diritti sul lavoro nell’autunno di quell’anno, in cui si tengono numerosissimi scioperi. L’obiettivo di queste azioni riottose è quello di avere maggiori tutele in fabbrica, oltre ad un miglioramento delle proprie condizioni in generale. La strenua lotta di questo strano fronte comune studenti-operai porta i suoi frutti: i lavoratori ottengono il rinnovo dei contratti di lavoro con aumenti salariali, la riduzione della settimana lavorativa a 40 ore e il diritto di tenere assemblee in fabbrica per ragioni sindacali. L’anno successivo, inoltre, entra in vigore lo Statuto dei lavoratori, dopo un lungo e non sempre facile dialogo fra sindacati e governo.

Il ruolo dei sindacati

I sindacati esercitano un potere monopolistico: rappresentano e massimizzano l’utilità delle persone occupate. Essi, infatti, cercano di fissare salari più alti, diminuendo, però, il numero di nuovi assunti, facendo crescere, in ultima istanza, la disoccupazione strutturale nel sistema economico. Oltre a ciò, i sindacati protestano per ridurre gli orari di lavoro e migliorare le condizioni lavorative. Ma siamo sicuri che sia sempre l’agire migliore per tutti? Come vediamo quotidianamente, le lotte dei sindacati portano anche a un relativo peggioramento dello status degli inoccupati, che preferirebbero lavorare a un salario basso rispetto che rimanere estromessi dal mondo del lavoro. Quindi, qual è la soluzione migliore? In un bilanciamento di pro e contro, in Italia l’operato dei sindacati è percepito sempre come nettamente positivo. La questione della GNK ne è un esempio, ma vedremo solamente fra diversi mesi il vero epilogo della storia.

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