La storia del calcio italiano: la lotta contro i pregiudizi
Le Ragazze in gonnella creano la prima squadra di calcio femminile nel 1933 e la loro storia viene raccontata dalla penna di Federica Seneghini. Il suo libro esce nel 2020, ad un anno dalle imprese delle #RagazzeMondiali che hanno incantato tutta l’Italia, ma che si sono trovate davanti alle critiche e ai pregiudizi, talmente simili a quelli degli anni Trenta.
Giovinette, le calciatrici che sfidarono il Duce
Giovinette, le calciatrici che sfidarono il Duce è l’opera pubblicata nel 2020 da Seneghini, racconta la storia delle sorelle Boccalini e della loro squadra che portò scompiglio nel regime fascista. Il libro è basato su lettere, articoli di giornale e memorie familiari che vedono come protagoniste delle coraggiose ragazze tra i diciassette e i vent’anni. Presenta inoltre un saggio di Mario Giani intitolato Storia di un pregiudizio, e di una lotta, il quale analizza le difficoltà che ha dovuto affrontare il Gruppo femminile calcistico (Gfc) negli anni Trenta. Ci fa riflettere su come gli ostacoli ed i pregiudizi nei confronti del “sesso debole” non siano cambiati nel corso della storia italiana.
Il governo fascista impose da subito enormi limitazioni all’esperimento milanese, dall’abbigliamento ai palloni, arrivando fino a cambiare le regole di gioco, per dimostrare che il calcio femminile aveva in comune con quello maschile solo il nome. Questo si può notare nel servizio televisivo Il boom del calcio girl per la Rai datato 1983 dove il giornalista Giorgio Martino con entusiasmo andava a dire che ormai non vi erano dubbi che le ragazze avessero conquistato anche quello sport. Nel reportage, per richiesta di Martino, appare il medico sportivo della Roma Ernesto Aliciccio che rassicura gli spettatori riguardo ai commenti che si sentivano in Italia in quel periodo, ovvero che il calcio fosse impraticabile per la donna a livello fisiologico.
Nel 2016 esce un altro servizio. Questa volta di Nadia Toffa che per Le Iene intervista Sara Gama, scappata in Francia per giocare al Paris Saint-Germain. Iniziano a parlare e si passa alle domande scomode: se esiste un “paratette”, se non fa male lo stop di petto, se è vero che tutte le calciatrici sono lesbiche, se crescono più peli giocando a questo sport, se le dimensioni del campo, della porta e le entrate aggressive sono uguali a quelle dei ragazzi…
Le #RagazzeMondiali e la loro lotta
Queste domande, fatte all’estero, non avrebbero senso. Sarebbero talmente assurde da portare la gente a guardarti come se fossi pazzo. Negli altri Stati il calcio è lo sport femminile per eccellenza. Basta pensare agli Usa dove i ragazzi praticano il football americano, il basket, il baseball e l’hockey su ghiaccio. O all’Australia dove i maschi giocano ai “virili” rugby ed Australian Rules Football e il soccer (il nostro calcio) è considerato da femminucce, oltre che da immigrati. Il regime fascista infatti ha lottato a lungo contro il calcio femminile considerandolo un’americanata e quindi qualcosa di straniero che non aveva nulla a che fare con il mondo italico.
Solo in Italia questo sport viene visto con sospetto se praticato da ragazze o meglio non viene considerato. Ma le donne hanno sempre voluto giocarci. Già dal 1899 abbiamo testimonianze di una signorina che calciava un pallone con i suoi fratelli maschi ed altri amici, nel 1924 il giovane professore di fisica Enrico Fermi fu costretto ad accettare in squadra la sedicenne Laura Capon. E ci sono moltissimi altri nomi prima che le sorelle Boccalini manifestassero questa volontà di fare parte di quel mondo così esclusivamente maschile. Nel 1931 a Napoli venne organizzata una performance, dove ragazze di spettacolo sfidavano una squadra maschile. Questo fu possibile solo perchè venne considerata come una carnevalata e quindi una possibilità per il pubblico di rifarsi gli occhi guardando le gambe delle ragazze che uscivano dai pantaloncini corti.
Le stesse #RagazzeMondiali durante il Mondiale del 2019 denunciarono, quando apparirono le prime foto, quel sessismo insisto nella frase “belle e brave” che evita di riconosce pienamente il valore sportivo ed i risultati delle donne, nascondendoli dall’estetica, unica caratteristica fondamentale per la donna italiana.
I pregiudizi del 1933 e del 2019
Metà marzo 1933: Lo Schermo Sportivo presenta il primo pregiudizio della storia nei confronti del calcio femminile.
Le conseguenze di pallonate in alcune parti del corpo […] possono riuscire deleteri al loro fisico- come non lo sono per l’uomo, conformato diversamente- e compromettere in modo irreparabile la funzione di maternità, per la quale sono state create.
La prima ragione che viene mossa è di tipo medico, cosa che persino nel 1983 è stata contestata. Segue un aspetto molto importante ovvero la perdita della grazia. Quest’ultima era fondamentale nel regime fascista per le donne, perchè assicurava loro di essere attraenti agli occhi degli uomini e quindi appetibili e considerabili per un eventuale matrimonio. E una donna che giocava a calcio, che combatteva contro un’avversaria per toglierle il pallone dai piedi, magari con la faccia tesa dallo sforzo, poteva essere bella?
In terzo luogo, a colpire maggiormente il Gfc, sono state le regole modificate in base al sesso: i tempi di gioco vennero ridotti drasticamente, il pallone doveva correre rasoterra e doveva essere più piccolo, i portieri dovevano obbligatoriamente essere ragazzi. Questo aspetto è molto interessante poichè nel 2019, per il Mondiale di Francia, Emma Hayes, manager del Chelsea, lancia l’idea di utilizzare campi e porte più piccoli allo scopo di creare un gioco più commerciabile ed emozionante. Naturalmente la risposta dal mondo calcistico femminile è stata negativa. Non era accettabile tornare indietro dopo tutti gli sforzi del passato. Infine le donne venivano accusate di civetteria, di usare il calcio (paradossalmente) per sedurre gli uomini, di essere esibizioniste e di volere concentrare l’attenzione su di sè, incapaci di “stare al loro posto” e di “fare giocare gli uomini“.