Quanto sappiamo veramente dei colori? E quanto della lingua che li nomina?
In Corea non esiste il verde. O meglio, in Corea il verde esiste ma non c’è un modo per chiamarlo. Allora quanto la lingua che parliamo va ad influire il modo attraverso cui percepiamo la realtà?
La percezione cromatica e la percezione psicologica del colore
Le lingue possiedono tavolozze di parole, attraverso cui dipingere la realtà. Tra lo sguardo e l’oggetto mentale che andiamo ad indicare si pone infatti un filtro che varia da epoca ad epoca. Proprio per via della stabilità della lingua è stato possibile comprendere come diverse società scegliessero di vedere i colori, cristallizzandone la simbologia dentro ad espressioni idiomatiche e conseguentemente percezioni di percezioni.
Vedere e categorizzare implicano due azioni necessariamente differenti: la percezione vuole infatti lasciare un’impressione, mentre la categoria vuole indirizzare la stessa impressione all’interno di un reticolo definito dalla società e quindi dalla lingua che essa utilizza.
L’impressione che abbiamo del colore infatti fa capo ad uno spettro cromatico che viene definito “visibile” ed è, fondamentalmente, energia, una particolare radiazione elettromagnetica le cui lunghezze d’onda sono visibili ai nostri occhi: le cellule presenti nella nostra retina sono in grado di trasformarle in un segnale elettrochimico con cui il cervello costruisce la sensazione del vedere. Appunto sensazione, ed il nostro sistema nervoso non riesce a percepire le singole lunghezze d’onda ma solamente la loro risultante psicologica. In poche parole non possiamo distinguere guardando il giallo i due costituenti verde e rosso.
C’è da domandarsi allora quale sia non il costituente quanto l’effetto. L’effetto è dunque non più un’impressione fisica di un’onda bensì un’impressione psicologica della sensazione di onda.
Cosa c’entra allora la lingua?
Le simbologie dei colori nelle diverse culture
Per molto tempo si è pensato che ogni società distinguesse i colori in maniera diversa quando invece, dagli anni Sessanta del Novecento, si è fatta strada la teoria per cui vi è una sostanziale universalità nella categorizzazione dei colori.
Ogni lingua, dunque, presenterebbe un insieme variabile, tra 2 e 11 categorie percettive fondamentali, comparse negli stessi stadi evolutivi. Si fa quindi riferimento ai colori basici bianco, nero, rosso verde e giallo, poi successivamente gli altri ovvero azzurro/blu, marrone, viola/porpora, rosa, arancione e grigio.
Ciò che appare interessante è poi la rappresentazione che si è avuta di essi all’interno delle varie culture perché essa definisce, in un certo senso, anche la percezione emotiva che ha una collettività di un determinato tono. Gli esempi sono innumerevoli, uno dei più ricorrenti è quello che contrappone l’idea di morte nel continente europeo ed africano: per gli Europei infatti viene marcata dal nero, indicante l’assenza di vita, assenza di luce prima della creazione mentre nell’Africa, detta in questo caso quasi per contrasto Nera, il bianco assume il significato di morte. Serve inoltre ad allontanare la morte stessa, assumendo tuttavia una connotazione iniziatica, cioè della prima fase della vita, lotta contro la morte. In questo senso si avvicina dunque alla simbologia che anche noi abbiamo del bianco.
L’uso figurato che noi facciamo dei colori ne traccia le linee guida, così il porpora diviene colore della regalità per via della difficoltà del suo reperimento; allo stesso modo il blu oltremare con cui si affrescavano le volte celesti delle cattedrali indicava ricchezza, e per questo si iniziarono a ricavare materiali meno costosi; o ancora il giallo, che indicava la pestilenza. Dobbiamo sempre ricordarci che la lettura simbolica dell’universo infatti non era appannaggio di élite culturali ma vi partecipava tutta la popolazione. Proprio attraverso le espressioni proverbiali sono giunte fino a noi questo tipo di rappresentazioni idiomatiche.
Espressioni di colore ed espressioni idiomatiche
Appunto perché la lingua viene considerata un sistema stabile entro cui si possono ritrovare ancora simbologie ancestrali, tutt’oggi molte sono le credenza relative ai colori che vi si sono fissate. Pensando al bianco scopriamo che la stessa parola “candidato” significa “lavato, dunque reso candido o bianco”, ed appunto perché il bianco indica assenza o neutralità abbiamo l’espressione “bandiera bianca”. Tutte queste espressioni fanno dunque capo ad un’idea che noi abbiamo del colore.
Al rosso invece, che indica energia e vitalità, ma anche pericolo, fanno riferimento espressioni come la tanto ormai conosciuta “zona rossa” o anche le zone “a luci rosse”, appunto perché anche nelle cose che ci sembrano più scontate ritornano le percezioni che noi abbiamo del colore Vi è poi il blu, che si carica di serenità ma anche di privilegio: le auto dei politici sono blu e anche le strisce dei parcheggi a pagamento, oppure si collega alla pulizia, alla purezza, come il BluDiesel, che tutto è meno che blu. Così suo derivato azzurro, che indica raffinatezza, “principe azzurro”, “pesce azzurro”. Il verde evoca invece la natura ma mantiene una sua dualità, soprattutto rispetto al giallo che solo in epoca moderna ha trovato una connotazione più positiva. Da qui infatti espressioni come “essere verde d’invidia” ed avere il “pollice verde”.
La parole, come sempre, sono un serbatoio inesauribile di conoscenza e coscienza di sé, ed ogni lingua impone ai suoi parlanti un modo diverso di vedere il mondo ed, inevitabilmente li costringe ad esprimersi secondo categorie mentali e strutture diverse da lingua a lingua.
Se noi siamo “rossi di rabbia”, i francesi sono verdi; se noi andiamo “in bianco” ci va male, agli spagnoli bene; a ognuno il suo!