Il superbo Marsia e l’eccessivo Dottor Frankenstein: due tracotanti che l’hanno pagata cara.
La hybris è, da sempre, fidata (o meglio, malfidata) compagna di avventure per l’uomo. Vulcanica nella sua espressione e tremenda nel suo esito finale, si configura come strumento pedagogicamente ottimo ed edificante.
Una parola, mille sfaccettature
Nel cercare di comprendere in toto il termine hybris, ci si immerge inevitabilmente in un calderone semantico notevole, pullulante di significati quali “tracotanza”, “violenza”, “superbia”, “eccesso”, “insolenza”, superamento dei limiti imposti. La polisemia diventa, dunque, la prospettiva più adeguata con cui approcciarsi a questo antichissimo quanto complesso sistema di “antivalori”. A tal proposito, nel tempo sono stati molti i personaggi ad essersi macchiati di hybris, subendo poi la némesis, letteralmente la “conseguenza” delle proprie azioni empie. Tale conseguenza si configura come “ira”, “vendetta degli dei” e giunge implacabile. Risulta curioso notare come, analizzando epoche diverse e quindi tipologie diverse di uomini, la volontà di spingersi sempre oltre sia viva e pulsante, delineandosi quindi come una costante tensione insita nell’animo umano. Certamente non azzardato risulta affermare che la hybris fosse particolarmente cara al popolo greco, data la copiosa produzione mitologica in cui riveste valenza paradigmatica. Aracne, Tantalo, Prometeo sono solo alcuni dei numerosi “tracotanti” del mito. Oggi tratteremo di altri due protagonisti indiscussi della lunga lista nera che attraversa tutte le epoche per arrivare sino a noi: il sileno Marsia e il dottor Victor Frankenstein
“La superbia andò a cavallo e tornò a piedi”
Parlando di idee ben poco sagge, senza alcun dubbio il primo colpevole di oggi si merita la medaglia d’oro. Comprensibile è duellare strenuamente con i propri genitori per qualche presunta ingiustizia, forse lo è anche questionare con il proprio professore per un voto indigesto. Tutt’altra cosa, però, è gettare il guanto di sfida agli dei, ad un dio in particolare: Apollo. Dio del Sole, di cui traina il carro, delle arti, della musica, della poesia, in virtù di queste e altre divine investiture si delinea come uno dei più rispettabili e potenti abitatori del pantheon. Meglio non farlo arrabbiare, no? Non è di questo avviso il sileno Marsia. Acclamato da tutti per la sua straordinaria abilità nel suonare l’aulos(il flauto), accetta superbo le copiose lodi degli ascoltatori a tal punto da ritenersi più talentuoso di Apollo stesso, sublime suonatore della cetra. Giunta all’attenzione del dio la grande fama del sileno, egli discende dall’Olimpo per sfidare Marsia nell’arte della musica. A giudicare i contendenti saranno le Muse che consentiranno al vincitore di occuparsi, come meglio crederà, dello sconfitto. Dopo un primo tempo conclusosi in parità Apollo, decisamente contrariato per il risultato, cambia le carte in tavola: entrambi dovranno rovesciare il proprio strumento e dimostrare un’eguale abilità musicale. La strategia si rivela efficace: il sileno infatti non può in alcun modo suonare il flauto mentre il dio, ribaltata la cetra, continua senza alcuna difficoltà nell’esibizione. La némesis per il colpevole è draconiana: Marsia viene legato ad un albero e scorticato vivo.
Il mostro Victor Frankenstein e la sua creatura
“Il mostro Victor Frankenstein”. Ad una prima lettura, il fraintendimento pare immediato: non era forse il dottor Victor e il mostro Frankenstein? La risposta è duplice e dipende dal punto di osservazione. Questo titolo nasconde un’insidia, o meglio, un significato affrancatosi dall’uso corrente: il termine mostro deriva infatti dal latino “monstrum” che possiamo tradurre con “fenomeno”, “fatto eccezionale”, “prodigio”, sia esso positivo o negativo. Victor è quindi certamente un “monstrum” in senso classico ma si connota anche, senza alcuna difficoltà, dell’accezione moderna di brutalità e terribile volontà. La storia dei Frankenstein ci viene raccontata dall’autrice britannica Mary Shelley nell’opera omonima, edita nel 1818. Un romanzo gotico, cupo, pauroso: il dottor Victor Frankenstein, anche alchimista per alcuni suoi tratti mistici, progetta di dar vita ad una creatura semi-umana unendo pezzi di diversi cadaveri. Il suo folle esperimento riuscirà, culminando in un “monstrum” dalla forma deforme, la forza erculea e le sembianze assai simili a quelle d’un vero uomo. Anche il neonato morto-vivente, come il suo creatore, si caratterizza da un lato di elementi prodigiosi e trascendenti e dall’altro, invece, di evidenti connotati terribili tendenti al grottesco: corrispondenza che confonde e intreccia i confini ontologici dei due personaggi. Victor, nel suo agire, la legge regolatrice per eccellenza: la morte. Egli anima l’inanimato, genera vita partendo dall’assenza totale di vita, in un perverso processo di forzato assemblaggio, macchiandosi della colpa più grave ossia l’agire alla stregua un dio e sancire arbitrariamente l’inizio o la fine dell’esistenza. La némesis si scatena crudele. Il dottore, però, non morirà per mano della creatura: a pagare per la sua hybris saranno, infatti, il fratello minore William, l’amico Clerval e l’amata Elizabeth, uccisi tutti dalla furia ragionata e vendicativa del mostro.