La depressione è un periodo dell’anno: Willie Peyote ci porta alla scoperta della satira

I tempi cambiano, la satira resta: dalla Musa Pedestre di Giovenale a “La depressione è un periodo dell’anno”.

Dovevamo uscirne migliori”, sì, e invece “è già tanto che ne siamo usciti”. È dissacrante Willie Peyote nella sua ultima canzone, perché “la depressione è un periodo dell’anno, ma non ci sono più le mezze stagioni”.

La satira di Willie Peyote

“La depressione è un periodo dell’anno” è un brano che appare come una vera fotografia del periodo che stiamo vivendo, un periodo in cui “nessuno c’ha un soldo, un lavoro, una vita però c’hanno tutti un sacco di opinioni, con l’acume di Gigi Di Maio e la calma di Giorgia Meloni”. Il tono è satirico e dissacrante, e i riferimenti politici sono accompagnati dalle citazioni delle frasi che più abbiamo sentito negli ultimi mesi. Dal tormentone estivo che cantava la voglia di ballare un reggae sulla spiaggia, a un inverno che giunge più veloce dei sussidi promessi e non ricevuti. Chi perde il lavoro, chi pensa al suicidio, nelle crisi c’è sempre chi lucra, sfrutta la rabbia della gente stufa. Si parla di allarmisti e di negazionisti, di non ce n’è Coviddi e di fake news. C’è tutto, di questo periodo, nel brano di Willie Peyote. “Ma voi quale scusa trovate che vi siete tutti bruciati i neuroni?” chiede l’artista.

La satira di Giovenale

Lo stile pungente di “La depressione è un periodo dell’anno” ci riporta al genere della satira, che riprendendo un’espressione del poeta latino Orazio è stato spesso descritto come ispirato da una “Musa pedestre”.  Il genere satirico, con autori come Fedro, Persio e Giovenale, nella Letteratura Latina denunciava in toni e metri differenti il malcontento sociale e raccontava il mondo da un punto di vista assai lontano da quello della classe sociale dei potenti. “Si natura negat, facit indignatio versum, qualemcumque potest“, dichiara Giovenale nella prima delle sue satire: se non lo concede il genio, fa i versi l’indignazione, così come può. Basta osservare la realtà, dunque, e non serve una naturale predisposizione per scrivere una satira. È l’indignazione stessa per la realtà a dettare versi di forte protesta sociale, nella denuncia che Giovenale con il suo stile graffiante concentra sul contrasto tra ricchezza e povertà. Probitas laudatur et alget, scriveva Giovenale nella satira I: l’onestà è tanto lodata, eppure muore di freddo.

Perché la satira è importante?

Epoca che vai, satira che trovi. Di differente natura, dal contenuto più vario, ma con lo stesso tono pungente e dissacrante. La satira non accusa, ma si configura come una denuncia che forse non cambierà la situazione descritta, ma ne renderà chiare le contraddizioni, suscitando spesso il riso. Perché è importante la satira? Forse perché “rovescia la logica e il luogo comune e ne propone un altro, un altro modo di leggere e di guardare le cose“, come affermava Dario Fo.

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