La bellezza femminile in letteratura e non: lo Stilnovismo, Firenzuola e le modelle odierne

L’ideale di bellezza femminile ha sempre goduto di prospettive diverse.

La Venere di Willendorf, geometriefluide.com

A partire dall’ubertosa Venere di Willendorf del 20000 a.C., sino ad arrivare alle magrissime modelle del XXI secolo, è curioso notare i continui ritorni o le nuove esemplificazioni estetiche che hanno caratterizzato la figura femminile.

Modello e modelle: la situazione di oggi

Tra le innumerevoli polemiche che caratterizzano i nostri giorni, nei quali ognuno ha la possibilità (per fortuna o purtroppo, dipende) di esprimere la sua opinione, ne troviamo una che giustamente non passa mai di moda: la magrezza delle modelle. Bastano solamente pochi spezzoni video di una lussuosa sfilata in quel di Parigi o Milano per accorgersene. Al di là della stravaganza dei campioni proposti che spesso può far sorridere, tutt’altra reazione provoca nello spettatore la condizione fisica di coloro che calcano la passerella, condizione che talvolta rasenta l’anoressia. Si badi bene: è erroneo affermare che tutte le modelle vivano questo subdolo status psico-fisico ma non lo è riconoscere che ci sia una condivisa tendenza al forte dimagrimento, diffusa in questo ma purtroppo anche in molti altri mondi, sia “d’immagine” sia sportivi. Il fattore su cui porre massima attenzione consiste nell’esemplificazione: l’ascendente esercitato dalle figure sotto i riflettori è decisivo, efficace, capace di far assurgere a exempla anche chi non dovrebbe esserlo mai, come in questo caso. La storia, con le sue strette collaboratrici arte e letteratura, ci insegna prospettive variegate, oscillanti tra due fuochi ideologici principali: l’abbondanza e la misura.

Adolescienza.it

Parola d’ordine: abbondanza

Una delle più antiche testimonianze in merito alla concettualizzazione della bellezza femminile gravita intorno al nostro primo cardine: l’abbondanza. Notissima è la statuetta in pietra denominata Venere di Willendorf, datata circa intorno al 20000 a.C. e raffigurante una donna dalle rotondità accentuate atte a simboleggiare fecondità e prosperità. Queste caratteristiche codificatrici le ritroveremo ad esempio nel mondo greco, con la stupenda Venere di Milo. Conservata al museo Louvre di Parigi, la statua marmorea di Alessandro da Antiochia risale al 130 a.C. circa e rappresenta la dea Venere in tutta la sua straordinaria bellezza: capelli raccolti, nudità incompleta ma perfetta, fecondi fianchi larghi e un’eleganza semplicemente eterna. Se poi nel Medioevo si registrerà un netto cambiamento ideologico social-religioso, il Rinascimento recupera invece un femminino più simile ai precedenti. Il poeta fiorentino Agnolo Firenzuola, nel suo trattato “Sopra la bellezza della donna”, tratteggia i connotati esteriori della donna rinascimentale per eccellenza: “La donna, per essere definita bella, deve avere: capelli folti, lunghi e di un biondo caldo che si avvicini al bruno; la pelle deve essere lucente e chiara, gli occhi scuri, grandi ed espressivi, con un tocco di azzurro nel bianco della cornea; il naso non aquilino; bocca piccola, ma carnosa; mento rotondo con la fossetta; collo tornito e piuttosto lungo; spalle larghe, petto turgido dalle linee delicate; mani grandi, grassocce e morbide; gambe lunghe e piedi piccoli”. La descrizione, grazie ad una precisa aggettivazione, ci restituisce un modello tendente alla carnosità che diventerà prorompente durante il Barocco. Manifesto esemplare sono “Le Tre Grazie” del pittore fiammingo Pieter Paul Rubens. Floreali e danzanti, le figure mitologiche incarnano pienamente l’opulenza tipica di questo periodo che si sublima nella muscolatura marcata, la pelle piena e lucente, le curve morbide e una floridezza comune sia a loro sia alla scena circostante. Varie epoche, varie sfaccettature, vari modelli: l’abbondanza è stata sì continuamente ripresa ma non ha goduto sempre di continuità.

 

“Venere di Milo”, Alessandro di Antiochia, 130 a.C., matapp.unimib.it,

 

“Le tre Grazie”, Pieter Paul Rubens, 1638 circa, Wikipedia

Parola d’ordine: misura

Già si è detto come il Medioevo rappresenti un momento dissonante in termini di bellezza femminile. Il paradigma che si delinea ora risponde ad un imperativo ben preciso ovvero la misura, frutto di un teocentrismo esasperato, capace di influenzare l’intero mos maiorum medievale. Data l’assolutezza del primato religioso il prototipo di donna, tentatrice e peccaminosa come la primigenia Eva, subisce un ridimensionamento totale. Alle magistrali curve impresse nelle tele e nel marmo vengono mosse critiche censorie e l’esaltazione della pudicitia diventa categorica. Simbolo della nuova sensibilità estetica è la “donna angelo”, composita figura poetica costituita dai vari contributi ideologici offerti dai poeti Stilnovisti, tra i quali spiccano Guido Guinizelli, Guido Cavalcanti e il giovane Dante Alighieri. Moltissimi sono i componimenti dedicati a questa donna che assume esteriormente i canoni tipici 200enteschi: corpo sensuale ma moderato, biondo “crin” lungo e a boccoli, occhi azzurri e pelle chiara. Se già questo suscita in noi un’immagine angelica, a renderla di fatto una creatura celeste sono i suoi attributi spirituali. In primis ella è salvifica, in grado di salvare l’anima di chiunque la guardi anche solo con il semplice saluto e di costituire il dono prediletto tramite cui innalzarsi e raggiungere “colui che move il sole e l’altre stelle”: donna bellissima ma soprattutto incarnazione di fede viva e vivificante. Altro connotato fondamentale è l’umiltà: in quanto preziosa gemma della potenza divina nessun uomo vile, superbo o spregevole può pensarla, e se anche ci provasse non ci riuscirebbe, tanta la “maggior vertute” che custodisce in lei. Il suo andare fra la gente non è di questa terra e il suo passaggio desta chiunque l’abbia accanto: tutti questi elementi contribuiscono alla creazione di quell’aura di sacralità e intangibilità intrisa nel tessuto poetico.

 

Agnolo Firenzuola, Wikipedia

 

Il poeta e la “donna angelo”, WordPress

La molteplicità come ricchezza

Riuscire con successo nel tracciare un percorso che tenga in considerazione tutti gli apporti culturali in termini di tempo e spazio è utopico. La percezione sensibile umana si evolve costantemente e tentare di imbrigliarla entro forme e schemi stabiliti risulta irrimediabilmente inefficace. Quelli presentati oggi sono solo alcuni dei tasselli del mosaico: le arti possono aiutarci a combattere la nostra miopia culturale ed elevare sempre più il punto d’osservazione, scorgendone più chiaramente la trama guida. Punto di partenza può essere il riconoscimento di una molteplicità, scevra da giudizi personali e da coltivare in comunità, come ricchezza condivisa che non divide ma unisce.

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