Cosa condividono i maudits francesi e Kate Moss, oltre al dolore allo spleen (in francese, “milza”) per le droghe, l’alcol e l’inquietudine di una vita consumata in prospettiva di una società che non comprende e che non si comprende? Praticamente tutto, anche se forse la Moss non ha mai scritto sonetti.
Cosa c’è di più hot (o di più haute) di un cenacolo di idee chic, in cui tutti i personaggi d’alto bordo della società che conta si vestono sontuosamente come se, da un momento all’altro, alla porta dovesse palesarsi Maria Antonietta con in mano una bottiglia di amaro, per ballare, bere e fumare? Forse, un baccanale in stile roaring twenties, a base di mojitos e daiquiris, i cocktail preferiti di Hemingway. E, invece, sto proprio parlando di un normale afterparty a casa di Vivienne Westwood (e chi dice che non vi fossero anche lì i mojitos?), dove l’ospite d’onore è, indiscutibilmente, Paul Verlaine, che declama, al limite tra l’emo e il sadcore, ad una sexy, quanto stupefatta, Kate Moss: sono l’Impero alla fine della decadenza.
Les enfants prodiges, tra Montmartre e Dior
Appena uscita da un film di Jean-Luc Godard, la nouvelle Brigitte Bardot, Kate Moss, ha, da sempre, sfilato sulla passerella dell’auto-annientamento prête-à-porter, talvolta facendo sosta presso alcuni dei migliori brand della fashion industry dal 1993 ad oggi. Ha saputo arrivare indietro nel tempo, fino al 1857, quando Charles Baudelaire rivela al mondo che I fiori del male esistono. E Kate è proprio uno di quelli. Infatti, tra il proteiforme stile bohèmien, che sfugge da ogni definizione monolitica di stile, e l’impossibile delimitazione semantica di una modella, più iconica che reale, non c’è confine (anche se, la maison Dior non era ancora arrivata a Montmartre). Kate è il genio romantico, è libertà e spontaneità creativa, è il mito di Cocaine Kate. Con la sua essenza naïf, trascende ogni regola meccanica: è troppo bassa e troppo magra, eppure è una top al pari di Naomi e di Cindy. Complimenti Kate, Kant sarebbe fiero di te. Allo stesso modo, Arthur Rimbaud è la versione ottocentesca e maschile di “lady scandalo”, odia il minimalismo e le accuse di sodomia. L’unico poeta-veggente da, indubbiamente, epitetare con la (meritatissima) label di artista grunge, che gli fa conquistare il primo posto sul podio dei “maledetti”. Complimenti Arthur, Kurt Cobain sarebbe (purtroppo) fiero di te.
Charles perde l’aureola, ma Riot Kate la calpesta e poi la indossa per YSL
Disobbedienza sociale per la differenziazione individuale, un inno al “possibilizzare le possibilità”. Purtroppo, non è il titolo della prima pagina di Vogue con in copertina la heroin-chic vestita da John Galliano. Piuttosto, è il motivo per cui Charles risponde allo smarrimento dell’aureola del poeta-vate, una sorta di badge per il backstage del Parnaso, con un’empietà e un’eccentricità alla cinepanettone che lo rendono pura avant-garde. Farnetica sulla Natura che è un tempio, ha allucinazioni su un grande uccello deriso da alcuni marinai, eroicizza ed erotizza l’alcolismo come illusione di libertà. Invece, Kate risponde al ritiro della campagna pubblicitaria di “Obsession”, fragranza di Calvin Klein, con l’accusa di diffondere materiale pedopornografico (allora Baby Kate aveva 18 anni, però), con vasche da bagno riempite di champagne in cui risciacquarsi e red carpet focosi al fianco di Johnny Depp. Una storia d’amore all’ultimo grido, invidiabile soprattutto per quelle foto ipervintage che ricordano un po’ l’estetica della vecchia Hollywood. Tutto meraviglioso, se non fosse stato per quella multa di diecimila dollari per aver sfasciato una camera all’Hotel The Mark di New York. Forse, è stato il conto troppo salato a dividerli… In effetti, Johnny mi è sempre sembrato un po’ braccino corto, con tutte quelle forbici si sarà tagliato anche il fondo delle tasche.
Cocaine Kate alle prese con la bohème a casa Mandela
Insomma, ormai Kate è esperta di malsane liaisons maudits, paragonabili in toto a quelle di Zelda e Francis Scott Fitzgerald, di Rihanna e Chris Brown. Ricordo di aver letto da qualche parte che Verlaine e Rimbaud si sono sempre amati nel privato della loro ubriachezza. Quando toccava all’arte, alla poesia, all’amore (o alle percosse sulla moglie di Paul), di rado erano sobri. Può sembrare banale, ma la vita ci appare meno distruttiva e più comprensibile se vista attraverso il verde di uno shottino all’assenzio, Baudelaire docet. Però, alla fine torna a sembrarci vuota nell’istante in cui è vuoto anche il bicchierino. A quel punto, l’unica cosa da (non) fare è chiamare l’ex, mentre la nostra amica ci regge i capelli. Ma, forse, è proprio mentre ci specchiamo nell’acqua tersa del gabinetto, che realizziamo che qualunque pensiero sovvenutoci nel momento dell’ebbrezza è realmente catartico. Come quei rimasugli galleggianti della nostra identità spezzata, vomitata dalla società e poi da noi. Anche quei 40 minuti in cui la Cocaine Kate del 2005 è stata vista sniffarsi, a casa di Nelson Mandela, quattro strisce di cocaina saranno stati sicuramente catartici, in un modo o nell’altro. E, siamo onesti, quanti di noi non si venderebbero pur di sapere che cosa le frullasse in testa, quando si è messa a fumare sporgendosi a testa in giù dalla finestra? Cocaine Kate, rispondici: com’è stato farsi delle strisce sul tavolino del Premio Nobel per la pace? Catartico, risponderebbe.
Il maledettamente chic Moulin Rouge di Las Vegas all’una e mezzo di notte
Se mi dovessi immaginare un luogo ed un momento in cui Kate e i “maledetti” sono fisicamente, oltre che spiritualmente, congiunti, un po’ come gli astri quando Tinder mi “matcha” col tipo giusto, comincerei col figurarmi una camera d’hotel a Las Vegas, città surrogata del Moulin Rouge. Lì, in quella camera, tra la cappa di fumo allucinante e le luci stroboscopiche blu, ci sono tutti i maudits. Rimbaud e Verlaine sono in un angolo, in silenzio e che si guardano, si sfiorano appena il mignolo. Baudelaire si sta versando un po’ di vermouth, lo offre all’amico Corbière, tornato ora da un viaggio per mare, che rifiuta. Non a caso, Verlaine ricorda Tristan come quell’amico morto “di chic, per il bere o di tisi”. E poi ce ne sono altri, infinitamente altri. I “maledetti” sono ovunque, sotto il letto, dentro le scarpe, sullo spazzolino, tra le lenzuola e in bocca. La festa sta finendo, ma, da vera VIP quale è, all’una e mezzo di notte si presenta Bohémienne Kate. Come una Winx che ha appena scoperto cos’è l’enchantix, Kate, sulla note di Amanda Lear e Madonna, entra timidamente dall’ingresso ed è bellissima. Interamente vestita di fiori del male, con quell’abito della Yves Saint Laurent Couture S/S 1993, si sente ancora come se fosse un bicchiere d’acqua a casa di Toulouse-Lautrec: del tutto fuori posto e decisamente inadatta. Non sa quanto quella camera d’hotel in cui si balla il can can sia, in realtà, il posto giusto per una col waif look come il suo.
Alla fine, Charles ritrova la sua aureola, è Kate. Lui la spoglia dei suoi stessi fiori e fanno l’amore, mentre lei gli racconta di quella volta in cui, sporgendosi da una finestra per fumare, aveva realmente capito il nichilismo heideggeriano.