Il ritiro di Justin Bieber
La musica è molto importante per me, ma niente viene prima della famiglia e della mia salute. Così Justin Bieber ha scioccato i suoi oltre 106 milioni di follower su Instagram, annunciando l’abbandono, temporaneo, della musica. Ho letto molti messaggi che mi chiedevano di un nuovo album, ha scritto l’artista canadese. Dopo aver passato in tournée tutta la vita da adolescente e gli inizi dei 20 anni, Bieber dice di aver capito di essere infelice.
L’artista canadese negli ultimi anni ha alternato lunghissimi tour in giro per il mondo e una serie di vicissitudini, anche giudiziarie, dovute al suo comportamento (nel 2014 è stato arrestato a Miami per guida in stato di alterazione). Nel luglio 2017 ha interrotto all’improvviso il tour in cui era impegnato dal marzo precedente con cui aveva venduto quasi 2,9 milioni di biglietti. Il motivo l’ha dato lo stesso artista canadese poche settimane fa, spiegando di soffrire di depressione. In un’intervista rilasciata a Vogue a febbraio, Bieber aveva spiegato di essersi depresso durante i concerti previsti per promuovere Purpose, per cui 15 date erano state cancellate.
Alcune voci segnalerebbero una forte influenza religiosa nel ritiro forzato della super-star canadese, altre una semplice pausa riabilitativa dalla frenetica vita di cantante. A prescindere da quali e quante possano essere tali cause, si intuisce chiaramente il fatto che ora Justin Bieber sia travolto da un esaurimento psicologico ed esistenziale che l’ha forzato alla sospensione del tour. Nella visione di Adorno il cantante canadese non sarebbe altro che vittima (e carnefice) del sistema industrializzato.
Adorno e la critica alla banalità del genere pop
Il pensiero che Adorno viene maturando sulla musica, e poi sull’arte in generale nel periodo della sua riproducibilità tecnica, è figlia di un contatto molto forte con questa durante l’arco della sua vita. Intanto perché egli era un musicista ed un critico musicale, capitato tra le braccia della filosofia dopo aver misurato empiricamente l’impossibilità di fare musica e critica musicale professionalmente. Le sue idee sono facilmente riassumibili con le sue stesse parole:
«La musica leggera e tutta la musica destinata al consumo […] sembra che sia direttamente complementare all’ammutolirsi dell’uomo, all’estinguersi del linguaggio inteso come espressione, all’incapacità di comunicazione. Essa alberga nelle brecce del silenzio che si aprono tra gli uomini deformati dall’ansia, dalla routine e dalla cieca obbedienza […] Questa musica viene percepita solo come uno sfondo sonoro: se nessuno più è in grado di parlare realmente, nessuno è nemmeno più in grado di ascoltare […] la potenza del banale si è estesa sulla società nel suo insieme.»
La standardizzazione dei prodotti
Nella prima sezione del suo saggio, Sulla musica popolare, Adorno affronta la differenza tra musica popolare e seria. Questa è una dicotomia spesso superficialmente riconosciuta dagli ascoltatori e dalla critica. Ma Adorno chiarisce che c’è molto di più nella distinzione che affermare che la musica popolare è semplice e che la musica seria è complicata.
Per Adorno, il segno distintivo della musica popolare è la standardizzazione. È il fatto che attraverso generi molto diversi, trovi il modello versi-coro-versi-coro e molti altri modelli in cui non sarà introdotto nulla di fondamentalmente nuovo. Al contrario, la musica seria non ha una struttura astratta, e ogni parte della canzone ha un significato che dipende dalla sua relazione con altre parti della canzone. Fornisce esempi della musica di Beethoven e di come le singole parti non abbiano significato senza il contesto del loro ambiente. Pertanto, nella musica seria, c’è poca possibilità di sostituire elementi di una canzone – il significato della canzone sarebbe perso, al contrario di quanto può effettivamente avvenire nella musica popolare.
Sedare l’ascoltatore
Adorno si pone quindi la domanda chi stabilisce gli standard? Sono i cartelli mediatici. Gli standard richiedono essenzialmente che tutta la musica popolare debba far qualcosa per catturare l’attenzione dell’ascoltatore, ma niente di così anticonvenzionale da mettere in discussione la comprensione della musica naturale da parte della gente. L’ultima sezione del saggio, come accennato dal titolo, si concentra su di noi: l’ascoltatore, l’obiettivo di tutto questo, le persone che devono essere distratte e pacificate. Adorno discute poi il ruolo della musica come una distrazione – una fuga dalla noia del lavoro meccanizzato.
“La distrazione è legata al modo di produzione attuale, al processo di lavoro razionalizzato e meccanizzato a cui, direttamente o indirettamente, le masse sono soggette. Questo modo di produzione, che genera paure e ansietà riguardo alla disoccupazione, alla perdita di reddito, alla guerra, ha il suo “non produttivo” correlato all’intrattenimento; cioè, rilassamento che non comporta affatto lo sforzo di concentrazione.”
Va oltre a suggerire che la natura ripetitiva del nostro intrattenimento è progettata per condizionarci. Per colpire la natura ripetitiva del nostro lavoro e, in effetti, per la natura ripetitiva delle nostre vite. Gli ascoltatori desiderano sfuggire alla noia, ma evitare lo sforzo. Questi sono incompatibili e il compromesso raggiunto è che l’intrattenimento deve essere una forma di stimolo in sé e per sé. Ma questo momento è fugace, e tutto ciò che fa è assicurare la noia continua e, infine, la disattenzione e la distrazione.
Davide Guacci (__dadoz)