L’importanza della scoperta dell’intelligenza emotiva ci spiega perché personalità come Lady Diana e Gandhi hanno segnato il mondo.
Intelligenza è un concetto complesso che negli anni, psicologicamente parlando, è stato tentato di spiegare più volte con gradi diversi di difficoltà. In termini generici, è quel processo mentale che ci permette di acquisire nuove capacità, di rielaborarli per poterli applicare ai problemi che ci troviamo a trattare quotidianamente.
Alcune teorie sull’intelligenza in psicologia
Storicamente si può far risalire la prima spiegazione di tale concetto allo psicologo francese Alfred Binet. Tentò qualcosa che nessuno fino ad allora aveva mai fatto, assieme allo psichiatra Simon sviluppò il primo test d’intelligenza nel 1905. Il loro scopo era quello di individuare gli studenti che avevano bisogno di sostegno per affrontare gli studi scolastici ed era stato richiesto dal governo francese. Anche Terman della Stanford University studiò e revisionò questo test, ma ancora era semplicemente un questionario basato su conoscenze strettamente legate all’ambito della scuola. Ebbe un grande merito però, concentrò l’attenzione proprio su un argomento che non era stato trattato e che nessuno aveva mai sognato di misurare. Si smise di considerare l’intelligenza meramente come un fattore unitario, ma divenne comprensivo di diverse abilità. Charles Spearman postulò l’esistenza di un fattore g, fattore d’intelligenza generale, innato e non modificabile dalla scolarizzazione, accanto al quale vi erano le abilità linguistiche, spaziali, aritmetiche. Thurstone elaborò la teoria delle capacità mentali primarie, che comprendeva sette attitudini primarie quali fluidità verbale, comprensione verbale, capacità numerica, memoria, ragionamento, visualizzazione percettiva e velocità percettiva. Guilford negò l’esistenza di un solo fattore e, dall’analisi fattoriale di un elevato numero di item, individuò 120 dimensioni completamente indipendenti gli uni dagli altri. Nonostante tutt’oggi non si riesca a dare una spiegazione unitaria su cosa e da cosa sia caratterizzata l’intelligenza, la teoria multifattoriale è sicuramente quella più accreditata. Lo psicologo e docente americano Howard Gardner sviluppò la teoria delle intelligenze multiple. Individuò e definì sette tipi di capacità: linguistica e logico-matematica, che potremmo definire le più classiche. A queste due si aggiunsero intelligenza spaziale, musicale, cinestetica ed infine due abilità che riguardano più semplicemente le competenze personali, ovvero l’intelligenza intrapersonale e quella interpersonale.
Intelligenze emotive
Le ultime due citate nella teoria di Gardner sono strettamente legate alle emozioni, ai sentimenti dell’uomo, tanto da essere citate dallo stesso psicologo americano come intelligenze personali. Ci si riferisce all’intrapersonale, quando si ha la capacità di comprendere la propria individualità, i propri punti di forza e li si applica al contesto in cui si opera per ottenere risultati migliori nella vita personale. Interpersonale è invece un’attitudine che riguarda più il prossimo, ovvero capire gli altri, guardare al comportamento, alle motivazioni, alle emozioni di altre persone, una naturale capacità di empatia verso l’altro. In genere chi la possiede è un fine tessitore di relazioni, ha notevoli capacità di socializzazione e comprende benissimo i sentimenti altrui. Questa capacità di conoscere le emozioni sia le proprie che degli altri individui è stata recentemente definita intelligenza emotiva. Un termine apparso per la prima volta solo nel 1980, ma che soprattutto ultimamente grazie alle ricerche del giornalista e psicologo Daniel Goleman è diventato un attento oggetto di studio. Si compone di consapevolezza di sé, intesa come il riconoscimento delle proprie inclinazioni, ma anche delle debolezze e dei limiti; autoregolazione, la capacità di gestire queste predisposizioni adattandole alle diverse situazioni; abilità sociale, ovvero saper guidare gli altri; motivazione, riuscirsi a motivare e a trasformare degli atteggiamenti negativi in positivi ed infine empatia, riuscire a capire, o meglio a percepire lo stato d’animo di un’altra persona.
Lady Diana e Gandhi
Queste importanti velleità che riguardano la consapevolezza di sé, ma anche e soprattutto l’attenzione verso l’altro sono caratteristiche di due personaggi che hanno fatto grande, in modi diversi, la storia di fine Novecento, Lady Diana e Gandhi. Mentre la prima fu capace di sfruttare la propria immagine, comprendendone la forza e così attirando l’attenzione su argomenti che fino ad allora non erano stati evidenziati, soprattutto nell’ambiente in cui viveva, come l’AIDS e la lebbra. Ma fu anche instancabile benefattrice di innumerevoli organizzazioni che lavoravano con i senza tetto, i tossicodipendenti, associazioni che si battevano contro l’uso delle armi e tantissime altre ancora. Insomma ebbe l’abilità di comprendere se stessa e il ruolo che ricopriva e fu capace di utilizzare, in questo caso specifico, il proprio potere mediatico e non per puntare i riflettori su situazioni più sfortunate. Gandhi, d’altro canto, fu un vero e proprio leader, quindi capace di percepire le emozioni del suo popolo e di farsi guida in un contesto non facile. Portatore di parole ed idee, laddove gli indiani sempre più indifesi e poveri, avevano bisogno di essere ascoltati.