Il fenomeno di ”Io sono Giorgia”, la generazione delle parodie e l’oratoria contemporanea.
La leader FdI Giorgia Meloni durante il comizio in Piazza S. Giovanni (Roma), lo scorso 19 ottobre
Lei è Giorgia, è una donna ed è tutto quello che ci rimane della retorica ciceroniana. Al caro vecchio probare, delectare, flectere di liceale memoria pare basti aggiungere un mixare finale, e abbiamo la ricetta perfetta per la retorica pop che fa i politici di oggi. Un colpo basso sia per l’opposizione che per gli stessi autori del remix, MEM&J. Dj, la cui unica intenzione era semplicemente quella di mettere in ridicolo la leader FdI e non di trasformarlo in un inno su misura per lei e il partito. L’intento critico si trasforma in una involontaria, ma impetuosa, ondata di simpatia. Al punto che la Meloni sta al gioco, fa sua la presa in giro, e finisce che se la canta anche lei. È d’altronde la forza del populista e del sovranista, che più di tutti produce sul web – nel bene e nel male, s’intenda. Però produce. Viene visto, viene ascoltato, viene addirittura ballato, come è successo durante il concerto di Myss Keta a Bologna lo scorso 9 novembre. Ma che tempi sono questi, dove i discorsi dei politici fanno ballare e noi, qualsiasi cosa dicano, troviamo sempre un modo per riderci su?
Che fine ha fatto la retorica
Oratoria, non retorica: secondo la tradizionale distinzione ciceroniana, ancora oggi valida, se l’oratoria è la capacità di parlare in pubblico la retorica è lo studio dei mezzi con cui giungere a farlo. Il metodo di organizzazione dei discorsi. Scopo della retorica sarebbe perciò la persuasione, intesa come approvazione della tesi dell’oratore da parte dell’uditorio; una persuasione che è da considerare sia come fenomeno emotivo di assenso psicologico sia come fenomeno di natura epistemologica, per l’intrinseca e condivisa validità di una conclusione a partire dalle sue stesse premesse. Il fondamento perciò di ogni comunicazione politica, un’arte dalle radici antichissime, necessaria e imprescindibile alla democrazia che si trova a dover convincere un popolo votante. Non a caso aveva trovato terreno fertile prima di tutto nell’età d’oro della polis ateniese, quella che porta la firma di quel Pericle padre della democrazia. Sono gli stessi anni della sofistica, che getta le basi proprio di questa arte retorica e sulle cui ceneri si erigeranno grandi oratori come Isocrate. C’è da dire però che il discorso di Pericle, il discorso di qualcuno che deve o dovrebbe democraticamente giungere al potere, differisce non poco da come noi oggi lo intendiamo – la stessa definizione di democrazia sarebbe in realtà da ridiscutere. Il Pericle dei discorsi all’agorà, fra l’altro considerato populista da molti critici contemporanei, non era uno che dava al popolo quello che il popolo voleva. Non si faceva trascinare, trascinava; non assecondava il popolo, ma lo educava. Un’uguaglianza democratica che non porta il segno di un’uguaglianza massificante, come potrebbe invece essere intesa oggi; ma, piuttosto, una forma di antica libertà, e cioè eguale valorizzazione della diversità. E tutto attraverso una capacità oratoria che, almeno per come la riporta Tucidide nelle sue Storie, è una vera e propria forma d’arte. Non per caso allora il premio Nobel del 1953 sarebbe stato assegnato “per la sua padronanza della descrizione storica e biografica e per la brillante oratoria in difesa i valori umani” al buon Churchill. Non un letterato, ma un politico e un oratore.
Winston Churchill (1874-1965), storico Primo Ministro britannico noto anche per l’abilità oratoria.
Questa politica pop
Non era la prima volta per Giorgia Meloni: anche il suo discorso contro una nave delle OGN era stato riprodotto in forma di samba, diventando hit. Olollanda, il nome con cui viene conosciuto sui social, e la leader FdI si confeziona pure una maglietta a tema. Lo stesso accadeva con il ridente Salvini, che nel caso destinato ormai a diventare di scuola del rap clandestino se la spassava con il resto del web; e così Matteo Renzi, ridicolizzato nel suo inglese acrobatico in Shish the world. Che poi per chi se lo ricorda è un fenomeno nato a modo suo anni addietro, quando ancora non dominavano meme né mixaggi. Elezioni 2001: Berlusconi lancia lo slogan ”meno tasse per tutti”, e le parodie sono già fuori ovunque. Meno tasse per Totti, meno tasse per Titti, si sente dire in televisione, si legge su certe riviste. E astutamente il Cavaliere, come impareranno a fare i suoi successori, fa sua la presa in giro, e finisce col bandire un concorso per la più originale. Un’autoironia utile e certamente apprezzabile, che costringe il politico d’oggi a reagire prontamente anche di fronte al tentativo di una sua ancor più plateale ridicolizzazione.
La parodia della pagina Wikipedia di Meloni, dopo che il remix ”Io sono Giorgia” diventa virale
La generazione che ride
Ma ogni contenuto politico sembra rimanere eclissato dal beat su cui viene ritmato. Quando rappiamo su discorsi dal contenuto a volte discutibile il commento forse scappa anche, ma non è preponderante. È la generazione di chi sa ridere su tutto perché non può fare nient’altro. E a quel Michele Serra che ci dava degli sdraiati sarebbe da rispondere che anche ad alzarsi cambierebbe poco, che tanto lo sappiamo di non avere alcuna possibilità, certamente non per ora, di cambiare le cose. Ed è allora che sempre da sdraiati impariamo a fare i mixaggi sulle parole degli altri, a ridere di un premier che ha un livello d’inglese spaventevole invece che piangere, come secondo alcuni dovremmo fare. Questi stessi politici che poi tentano di fare proprio questo mezzo benevolmente lo accolgono, sia chi viene messo in ridicolo sia l’opposizione, perché è anche quella strategia. Non sanno che da questa parte, per quel che si può, si ride e basta. In un mondo così pesante e a tratti inconcepibile la cosa migliore da fare, forse l’unica, resta una gran risata: il solo modo, così pare, per sfuggire a questa pesantezza infinita che le cose sembrano aver assunto e da cui non riusciamo a liberarci. Ed è allora che si fa ”l’umore con il sapere”, motto storico del Superuovo, che il remix di Giorgia viene trasformato in un pronunciamento in favore della comunità gay e che Trump e la Clinton duettano sulle note di Time of my life. E che, tutto ciò che è grave e faticoso, assume una leggerezza nuova: quella dell’ironia e della risata, presupposto di una consapevolezza che forse – forse – servirà al futuro.