Alla luce della vicenda di Giulia Cecchettin e delle parole della sorella, vediamo in che modo le parole e il linguaggio in generale veicolano concetti misogini.
Nell’appello ormai diffusissimo in rete di Elena Cecchettin, sorella della vittima Giulia, c’è l’invito agli uomini di agire. C’è l’invito ad un’educazione affettiva, che spesso manca. C’è l’invito a capire che chi compie queste azioni purtroppo non è un “mostro”, ma un uomo che si allinea con quello che è lo standard della società, non un’anomalia. In una società in cui la retorica del patriarcato e della cultura dello stupro è così diffusa e vissuta come se fosse normalità, una figura come Turetta, il presunto assassino, non è da vedersi come un’eccezione. “È stato il vostro bravo ragazzo”.
Il vostro bravo ragazzo
Questa espressione è ripresa dal libro di Valeria Fonte, in passato vittima di molestie e violenze. Il libro si intitola “Ne uccide più la lingua” ed è un resoconto di alcune sue esperienze personali. Nello specifico, però, sottolinea effettivamente come alcune espressioni che vengono usate anche nel quotidiano siano la matrice di una cultura patriarcale, dove viene esaltato un certo tipo di uomo e denigrata la donna.
L’espressione in questione viene utilizzata per dichiarare che il problema non è del singolo, ma sistemico. Se infatti, come dice anche Elena Cecchettin, si fa del singolo un “mostro”, lo si allontana da quello che è la società e viene vista come una cosa lontana, quasi non vera, che non è parte integrante della società. Al contrario, è da evitare anche di “iperumanizzare il carnefice”, andando a cercare giustificazioni che tali non sono. Il concetto è che non è il singolo che compie il gesto, ma la collettività che sguazza in una società che non funziona e che continua a voler andare avanti con delle retoriche di base misogine.
Un esempio tratto dal libro è il concetto di “ignorare”. Viene spesso detto, davanti a molestie, ma anche a violenze, di ignorare e far finta di nulla. Di non creare ulteriore disagio, per un disagio che è stato creato. Se è difficile per alcuni uomini immaginare una situazione del genere, basti pensare alla giornalista Greta Beccaglia. In diretta TV un ragazzo le aveva palpato il sedere, commettendo un grave atto di violenza sessuale. Dallo studio, un collega della giornalista, come tutta risposta alla situazione, le aveva detto di “non pensarci”, ignorare. Un gesto di una naturalezza inconcepibile, ma nato proprio da una mentalità ormai radicata.
Non ci sorprendiamo
“Di che ci sorprendiamo se un giovane considera una donna un oggetto […]”.
Queste sono le parole di Cristiana Capotondi in una trasmissione de La7 in riferimento alla musica trap. Ovviamente il discorso non vuole fare una generalizzazione totale, ma è indubbio che molti artisti, specialmente in questa scena della musica italiana, adottano una retorica misogina. Non si vuole dire che gli artisti incitino al femminicidio, ma alimentano una visione sbagliata della donna, vista come oggetto, il più delle volte come oggetto sessuale.
La cosa più preoccupante è che poi chi ascolta questa musica sono gli adolescenti, che in qualche modo sono più influenzabili da media di questo tipo.
Ma questi pensieri ovviamente non arrivano solamente dai canali mainstream. Come detto prima si tratta di una mentalità già ben radicata nella società. È quindi una cosa comune che un signore sulla mezza età parli ad un ragazzo di come deve trattare le donne, di quanti rapporti sessuali deve avere nel corso della vita e di come deve sentirsi forte fisicamente. Sarà anche comune che lo stesso signore, guardando passare una ragazza non si vergognerà nel guardarla insistentemente e magare fare qualche apprezzamento o fischio. Sicuramente sarà comune che lo stesso signore, dall’alto della sua esperienza, cerchi di spiegare al ragazzo o alla ragazza qualcosa di veramente già ovvio. Anche in questo caso, questo signore, dispensatore di concetti machisti, catcaller e mansplainer, non è qualcosa di lontano dalla società, ma potrebbe essere chiunque attorno a noi. Il lato peggiore è che pensa di doverlo insegnare alle generazioni più giovani.
Un problema di tutti
Molti uomini nel sentire certi discorsi, certe notizie, per quanto atroci, non riescono che pensare a “ma io non sono così”, “non tutti gli uomini sono così”. “Not all men”. Che è anche vero. Ma sono sempre uomini. Il fatto che in situazioni del genere gli uomini cerchino prima di difendere se stessi e poi di pensare alle vicende, sottolinea la loro insicurezza. Insicurezza che nasce da un patriarcato che li ha voluti in un certo modo e che loro hanno cercato di perseguire. Ma il patriarcato fa male a tutti, non solo alle donne.
La violenza non è solo quella estrema. Non è solo quello che si presume Turetta abbia commesso nei confronti di Giulia Cecchettin. Non è solo la molestia. Prima di tutto è nella mentalità, che si trasforma poi in pensieri e poi in parole. La mentalità è fortemente patriarcale, che vede l’uomo in una certa posizione e con un certo carattere e la donna al suo posto con un carattere più docile. A perderci, in questo caso, sono tutti. A nessuno deve essere imposto di essere in un certo modo per rispecchiare delle aspettative dettate da nessuno.
Per questa ragione è un problema di tutti. Va capito. Per questo non ha senso che gli uomini si giustifichino quando succedono queste cose. Non ha senso “not all men”. Ha senso, come dice la sorella di Giulia Cecchettin, che ci si educhi all’affetto e che si agisca quando si vede qualcosa che non va.
1 commento su ““Il vostro bravo ragazzo”: ecco come la violenza di genere passa anche attraverso le parole”