Il labirinto del Minotauro spiegato dai Pink Floyd: quando la vita incontra il lato oscuro della luna

Ordine e caos, razionalità e follia, apollineo e dionisiaco… e quell’apparente linearità della natura sconvolta dall’uomo stesso, che trasforma l’ordine in quel labirintico disordine chiamato vita.

La visione della vita umana come una retta senza interruzioni e deviazioni, caratterizzata da un termine iniziale chiamato nascita e da un termine finale chiamato morte può apparire falsamente veritiero fino a quando non entriamo nell’ingovernabile dominio delle passioni umane. I Pink Floyd, nell’analizzare ogni singolo fattore disturbante dell’esistenza, diedero vita al più grande album di tutti i tempi.

La vita umana tra istanze razionali e caos primordiale

Quando si entra in un dominio così vasto come quello della vita umana, il rischio di cadere in facili banalizzazioni e schemi mentali altamente falsificatori dell’effettiva realtà delle cose è ingente. Parlare infatti di un dualismo tra ordine e caos come quello che tenterò di fare in quest’articolo potrebbe risultare fuorviante e far credere al lettore che nella vita di ogni essere vivente sia insito un che di schematico e lineare, travisando così l’essenza della nostra venuta sulla terra. Una premessa è dunque d’obbligo: la vita di noi tutti è più intricata del labirinto più tortuoso che la mente possa generare e la ricerca di uno ‘spirito apollineo’ non può che portare a un netto fallimento. Tuttavia, interrogarsi sul modo in cui l’uomo possa trasformare l’originaria perfezione della natura in un caotico magma fatto di pulsioni e istinti irrazionali riesce a trasportarci in un ambito di indagine tutt’altro che scontato, che può giungere addirittura ad abbracciare tematiche più attuali. Esse ci permetteranno di compiere un viaggio non solo nell’anima, parte del corpo umano così complessa che già il grande Aristotele fu costretto a dividere in tre parti in base alle varie funzioni da essa svolta, ma anche in pratiche sociali che sviano l’uomo dalla sua tanto decantata razionalità, facendolo diventare vittima delle laiche divinità che si insinuano nei desideri di ognuno di noi. Il punto di partenza per una riflessione così ampia può essere un elemento tanto noto quanto frutto delle più diverse interpretazioni e allegorie nel corso delle varie epoche storiche, che lo hanno portato a divenire tanto il simbolo del disorientamento umano quanto quello della perfetta simmetria e schematicità. Sto parlando della figura del labirinto, un termine che già all’interno della sua etimologia presenta una forte ambiguità semantica: c’è chi lo fa derivare dal greco λαβύρινθος, letteralmente “palazzo dell’ascia”, chi dalla radice greca laf-, da cui deriverebbe anche il latino lapis per indicare le caverne e le cave di metalli il cui intricato percorso fa perdere il senso dell’orientamento, chi ancora da un altro h termine greco, λάβιριον, cioè il cunicolo scavato nel sottosuolo che si dirama in varie direzioni. Qualunque di queste ipotesi etimologiche decidiamo di utilizzare, risulta sin da subito chiaro che, già nell’antichità, questo semplice disegno geometrico costituito da un gran numero di vie che ora proseguono parallelamente, ora si intersecano, ora quasi sembrano voler celare la giusta direzione, ora si mostrano in tutto il loro illusorio splendore, godeva di un significato simbolico fortissimo sebbene non universale. A ben vedere, infatti, nell’immagine del labirinto è implicita una simmetria e una precisione geometrica davvero ragguardevole, cosa che potrebbe addirittura portare a considerarlo la figura più razionale che la mente umana possa generare! Eppure è la stessa mente umana che sin dall’epoca preistorica ha proiettato la figura del labirinto in un’altra dimensione, quella del caos primordiale, della materia sprovvista di ordine, del disorientamento umano, perché l’impressione che una tale simmetria genera è quella di un inevitabile groviglio inestricabile di meandri nei quali è facile smarrirsi. E così il labirinto divenne l’elemento centrale di uno dei miti più celebri del mondo greco: il mito di Arianna e Teseo.

 

Il filo e il labirinto: caos e ricomposizione nel mito di Teseo e Arianna

Nel parlare dell’etimologa del termine “labirinto” non mi sono di proposito soffermato ad analizzare la prima ipotesi di etimo ad esso attribuita, quel “palazzo dell’ascia” che a primo acchito risulta essere espressione davvero incomprensibile. A questo punto, però, l’ipotesi necessita di una spiegazione più precisa che ci permetta di comprendere il forte legame che si può riscontrare tra l’immagine del labirinto e il mondo mitico dell’antica Grecia, o per meglio dire, dell’isola di Creta. Λαβύρινθος (labyrinthos), infatti, deriva dal lidio “labrys”, termine usato per indicare l’ascia a due lame che era il simbolo del celebre palazzo reale di Cnosso a Creta. E così, aggiungendo a ‘labrys’ il suffisso -into (che per definizione significa ‘luogo’), ecco che otteniamo ‘palazzo dell’ascia’, ovvero il palazzo del re Minosse a Cnosso, caratterizzato da una pianta intricatissima all’interno del quale sono state rinvenute varie raffigurazioni dell’ascia in questione. La storia che sto per narrare è relativa proprio a questo palazzo e fu grazie ad essa se il labirinto sarebbe poi diventato nel corso dei secoli un simbolo universale capace di adattarsi ad ogni ambito della vita umana, seppur qualche volta perdendo il suo originario valore simbolico (e questo proprio a causa di quella forte ambiguità semantica di cui parlavo!). Siamo a Creta, a sud della Grecia continentale, isola sulla quale, dopo la morte di Asterione, cominciò a regnare Minosse che, per dimostrare ai due fratelli il suo diritto al trono, pregò Poseidone di inviargli un toro da sacrificare. Il mancato sacrificio da parte di Minosse del toro costituisce l’αρχή  (il principio) di tutti i mali che si sarebbero abbattuti su Creta: Poseidone, adirato, fece innamorare la moglie di Minosse del toro e, dalla loro unione, nacque il mostruoso Minotauro, dal corpo umano e dalla testa taurina. Per nasconderlo, Minosse diede all’architetto Dedalo il compito di costruire un labirinto così intricato da non permettere al Minotauro l’uscita ma, per saziare il mostro, venivano ogni anno dati in pasto al Minotauro 7 fanciulli e 7 fanciulle ateniesi (città al tempo soggetta a Creta). Un anno, il figlio del re di Atene, Teseo, fu tra i prescelti da inviare al Minotauro e, grazie all’aiuto di Arianna, figlia del re Minosse, che si era invaghita dell’eroe ateniese, riuscì nell’impresa di entrare nel labirinto, uccidere il mostro ed uscirne indenne. Il tutto grazie ad uno stratagemma architettato da Arianna stessa: un filo da dipanare una volta entrato nel labirinto assicurandosi così, dopo l’uccisione del mostro, la via del ritorno. Il mito, però, non era destinato a concludersi con un lieto fine perché Teseo, non adempiendo alla promessa fatta ad Arianna di portarla con sé ad Atene, la abbandonò sull’isola e lui stesso, durante il viaggio di ritorno in patria, essendosi dimenticato di cambiare le vele nere con quelle bianche, diede al padre il falso segnale della sua morte. Egeo, disperato, si gettò nel mare che da lui prese il nome di mar Egeo. Nella sua semplicità, questo mito nasconde un significato così denso da poter essere assunto come punto di partenza per una disanima intellettuale che spazia nei più disparati campi della vita umana. Un filo e un labirinto… due oggetti così banali ma che qui diventano allegoria di due istanze universali: la razionalità di cui si fa portatrice il filo di Arianna che si va a contrapporre alla perdizione del labirinto, al senso di disorientamento che da esso deriva. Arianna esprime la volontà razionale di ognuno di noi che si serve di un metodo grazie alla conservazione del quale possiamo giungere al centro del ‘labirinto’, vincere le prove che la vita ci mette dinnanzi ogni giorno e poi tornare indietro, ma non nel punto da cui siamo partiti, bensì trasformati, iniziati ad una vita diversa… perché, come forse non tutti sanno, Arianna non è solo razionalità, Arianna è “colei che fa assumere in cielo”, colei che permette all’uomo di elevarsi al di sopra della razionalità stessa di cui lei si fa garante. La razionalità non ci può bastare, il percorso che Arianna ci fa compiere ha un che di ‘divino’ ed è solo ed esclusivamente grazie a questo aspetto che possiamo comprendere che quel labirinto nel quale ognuno di noi è costretto a farsi spazio giorno dopo giorno è solo una contingenza, un ostacolo finito che viene dalla nostra stessa natura di esseri imperfetti, quel lato oscuro della luna che noi stessi teniamo oscurato… ma che se viene svelato da un’eclissi solare ci rende nudi, indifesi, soli.

Un album musicale ci descrive la vita: The Dark Side of the Moon

Ricapitolando, abbiamo un metodo, una razionalità che si contrappone al labirinto, al disorientamento che proviamo nella vita di tutti i giorni e che afferiamo nella sua contingenza, nel suo ‘lato oscuro’ solo quando Arianna ci permette di aggiungere alla ragione un’istanza intellettuale per così dire ‘divina’. Il lato oscuro della luna… l’eclissi solare… insomma, ‘The Dark Side if the Moon”. Quando un concetto filosofico giunge a saldarsi indissolubilmente ad un album musicale facendone la tematica portante di ogni singola traccia  il rischio è grande: si può cadere nella trappola di creare un prodotto ingenuo e banale, oppure si può dare alla luce il più importante concept album che sia mai stato composto. È questo il caso di “The Dark Side of the Moon”, il maggior successo discografico dei Pink Floyd pubblicato nel 1973 e divenuto la pietra miliare del rock mondiale. Senza sprecare inutili parole su informazioni periferiche riguardanti l’opera, tuffiamoci subito nel contenuto profondo di questo concept album così da non perdere di vista il filo di Arianna di questo articolo. Come ho già anticipato, l’opera è una vera e propria panoramica filosofica, antropologica e sociologica sulla vita di un uomo, percorsa dall’inizio alla fine attraverso le varie tracce dell’album, indugiando in particolar modo sul lato oscuro dell’esistenza. Ma partiamo dalla copertina dell’album, un’immagine divenuta leggenda e che nasconde significati reconditi di elevata portata. Eppure essa è molto semplice: un triangolo, rappresentante un prisma stilizzato su sfondo nero che, illuminato a sinistra da un sottile raggio di luce, libera  a destra un arcobaleno di colori che hanno la loro continuazione sul retro della confezione, dove essi tornano a fondersi in una linea, in un nuovo raggio di luce bianca. Cosa c’è dietro un banale triangolo e un raggio luminoso? Un mondo simbolico che abbraccia natura, vita, dolore, morte. Il sottile raggio luminoso è la razionalità della natura che irradia con la sua dolce luce della verità un triangolo nero… quel triangolo è l’uomo, la vita umana che grazie alla luce della natura riesce a colorare di bianco i suoi lati e a riflettere la luce in tanti colori diversi. Quei colori sono le idee, che grazie all’apporto della natura l’uomo riesce a generare e ad ogni colore poi corrisponde un brano dell’album. Ma l’immagine non è finita qui perché sul retro le idee tornano a scontrarsi contro un prisma, questa volta rovesciato, la morte ormai è giunta… e i colori non possono far altro che uscire dal prisma sotto forma di quella luce bianca iniziale che simboleggia l’indistinta unitarietà della natura, non più soggetta allo scontro con il lato oscuro della vita umana. Ascoltando poi i brani che compongono l’album, ovvero i colori generati dallo scontro della luce naturale con il ‘prisma-uomo’, tutto diventa ancora più chiaro e la volontà di rappresentare le contraddizioni e i mali che ci accompagnano nel nostro confronto con la vita si fa concreta. Il tutto parte con il battito cardiaco di “Speak To Me”, la natura ha fatto nascere una nuova vita ancora ingenua che però, nel prosieguo dell’album, deve confrontarsi con il freddo ma caotico mondo esterno che divora il nascituro sin dai suoi primi passi, facendolo allontanare inesorabilmente dalla perfezione e dalla razionalità della natura. È un percorso psicofisico quello che deve compiere ogni essere umano, sia a livello personale che societario. Ad un certo punto la società ti chiederà di correre (On the Run) e tu dovrai farlo, poi il tempo farà sentire il suo inesorabile ticchettio e tu percepirai l’allontanarsi dell’ebrezza giovanile, comincerai a percepire la vicinanza della morte e questo ti porterà a lanciare urla di disperazione verso il cielo (The Great Gig in the Sky), i soldi diverranno la divinità che venererai (Money) , le guerre diventeranno il pane di cui si ciberà il mondo di cui tu stesso farai parte (Us and them)… finché non arriverà il momento in cui ti sarai così tanto allontanato dalla perfezione della natura che ti ha messo al mondo che la follia si impossesserà di te (Brain Damage) e questo potrà avvenire in vari modi: cambiando, adattandoti, non fissando obbiettivi, seguendo ideali sbagliati, sprecando il tempo, avendo paura della morte. L’estremo destino che subirà inevitabilmente la tua vita sarà l’eclissi: quella stessa natura che ti aveva fatto nascere sotto la luce del sole ora oscura il sole stesso tramite un’eclissi lunare (Eclipse) e tu potrai vedere solo il lato oscuro che in fondo aveva già segnato la tua esistenza, un’esistenza fatta di ideali ‘umani’ e per questo imperfetti. Come un battuto cardiaco aveva segnato l’inizio dell’album, così un ulteriore battuto ne anticipa la fine, la morte è ormai giunta e il fascio di luce, che aveva cercato di colorare il buio di quel labirinto incarnato dall’uomo costretto a barcamenarsi nel disorientamento provocato dalla sregolatezza delle sue azioni, torna a fondersi nella natura, nella linearità del mondo che continua a fluire imperterrito. Il lato oscuro ha trionfato, Arianna non è riuscita nella sua impresa razionale di “far assumere in cielo” l’uomo, che si è perso nel suo labirinto individuale e sociale… eppure la natura non si ferma, darà vita ad un altro uomo e quell’uomo compierà lo stesso percorso del suo antenato, incapace di emergere e di mutare il nero in bianco. La natura  ci offre ogni giorno possibilità di riscatto… siamo solo noi che facciamo parlare, da tempo ormai immemore, ‘the dark side of the Moon’.

 

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