Quale correlazione intercorre tra la moralità individuale e il movente di un omicidio conseguito da un Serial Killer? Lo psicologo Albert Bandura si è impegnato professionalmente, per darci una cornice dove inserire la nascita di un “Boston Strangler” in erba.
La moralità è una pulsione interna o un’idea instillata a piccole gocce nel nostro groviglio di consapevolezze? È una domanda che perseguita alcuni e innesca meccanismi di scelta in altri. Il killeraggio morale è una fase che tocca le coscienze di ogni adolescente- con acne ormonale- che si rispetti. Tuttavia, alcuni dei tanti possono vedere in quel “momento di perdizione“, ottimo terriccio per coltivare il seme della follia; e perseguire la via dell’omicidio seriale
La morale è un parametro di normalità sociale?
Il fascino della morale è old-school, a sostituirlo c’è un grande Sultano con i propri dettami dell’a-moralità, dal colore e calore oscuro, emerso da un retroscena profondo e affumicato di misteriosità incomprensibile. Un concetto così tanto insondabile da dover , forse , far emergere un dubbio sulla concreta esistenza di questa oscurità che ricorda tanto il vuoto; l’emerito nulla. Albert Bandura, psicologo naturalizzato statunitense, ci rivela quei “meccanismi di giustificazione” che adottiamo per creare delle fondamenta di ceramica a prova di moralità. È ormai risaputo, i principi sono un canone estetico che accostiamo meglio alla bruttezza che al fascino. Eppure, essi sono utili a condurre una vita sicura per sé stessi e il prossimo; alcuni li trasgrediscono, è umano farlo. La trasgressione è quel personal trainer seccante che ci urla contro, col tentativo di farci mandar a far fottere i nostri limiti: e spesso dovremmo proprio farlo .Ad ogni modo, questo gioco mal si addice alle norme della morale che possono portare a giustificare la follia dell’omicidio. Questo ritiro dalla morale è chiamato disimpegno morale.
Il Killer forse dialoga con la propria moralità…
“Quel suono lo riconobbi anche quello. Era il battito del cuore del vecchio. Ebbe virtù d’accrescere il mio furore, come il battere del tamburo porta all’esasperazione il coraggio del soldato.”
L’ossessione piange di desiderio e la mano controlla il suo soddisfacimento. Mi piacerebbe definire così il climax/collasso emotivo vissuto ne “Il cuore rivelatore” di Edgar Allan Poe. Assimiglia tanto al grido di un omicida che vede il letto come un uomo e l’orgasmo nel sangue che sgorga da un corpo ancora caldo di vita, da poco esaurita.
Poe ha afferrato con mano uno dei meccanismi che agisce sulla condotta del killer. Ce ne sono di diversi. La condotta immorale diventa più accettabile, quando l’omicidio è condotto al servizio di principi morali superiori ( Giustificazione morale); mascherare il proprio operato esecrabile, definendolo positivamente ( Etichettamento eufemistico); sminuire la propria malefetta con una peggiore, facendo sembrare più accettabile la propria rispetto all’altra ( Confronto vantaggioso).
“Tutto è relativo” è il menefreghismo della nuova era
Gli eventi storici che hanno sguazzato più di altri nel sangue, non sono manifestazioni sataniche ma ideologie fortificate dal disimpegno morale. L’Olocausto di cui sono state vittime così tanti uomini e donne, si trattava di un tarlo, un germe dell’ossessione che ha trovato nel genocidio la propria realizzazione. Spesso, quando ci si trova davanti alle proprie convinzioni morali e si decide di tradirle, le conseguenze sono innanzitutto il disagio: un mix di rimorso , senso di colpa e disappunto. Poi, basta una scintilla di ateismo, principi di origine trascendentale o deresponsabilizzazione per completare la ricetta, e reinterpretare il proprio comportamento, non così male come si credeva. Non è necessaria l’intransigenza puritana dell’Inghilterra vittoriana ma nemmeno una società pervasa dal relativismo morale: una realtà dove si cammina in confini così vaghi, armati con coltello, da essere incapaci di comprendere sin dove la propria libertà non squarcia quella di un altro.