Una delle epidemie più interessanti da analizzare per la comunità scientifica è in realtà avvenuta nel mondo di gioco del più ampio titolo di casa Blizzard.
Oggi è tempo di raccontarvi una storia. In questo caotico momento di (quasi) panico da virus, tra un raid al supermercato e una palese fake news condivisa, ci dimentichiamo facilmente il significato della parola ‘epidemia’. Tuttavia, siccome non ho particolari conoscenze nel campo della storia della virologia, la storia che sto per raccontare non tratta di un virus o simile che ha colpito il mondo reale, ma di uno che ha messo in ginocchio un mondo virtuale meticolosamente programmato, nello specifico quello del MMORPG World of Warcraft, videogioco di casa Blizzard. Nello specifico, andiamo ad esplorare il putiferio successo nel 2005, passato alla storia come il ‘Corrupted Blood Incident‘.
Quello che sembrava
Prima di tutto, un po’ di contesto. Il 13 settembre 2005 mamma Blizzard rilascia un aggiornamento del gioco, includendo tra il resto un difficile raid (un assalto alla base nemica, in parole molto povere) da 20 giocatori. Questo raid poneva dinanzi ai players un tosto boss finale, il Blood God Hakkar the Soulflayer. Una sfida dura ma non troppo, per chi era a livello sufficientemente alto: nonostante qualche malus sospetto alla salute, si riusciva ad uscire vincitori senza troppi problemi. La prassi era quindi buttarsi nel dungeon, battere il boss, recuperare il loot (il bottino) e tornare in città per vendere ciò che si può, dopo essersi fatti curare da quel sospetto malus citato prima da un Chierico curatore, visto che sembrava togliere 250-300 punti di danno ogni qualche secondo (comunque poco rispetto ai 4000-5000 punti salute medi dei giocatori di livello alto). Nelle città, tuttavia, specialmente nella capitale Ironforge, i players non erano tutti di livello alto, anzi. Dopo qualche tempo, si comincia a diffondere uno strano fenomeno: dal nulla, alcuni giocatori in determinate zone della città cominciano a morire in pochi secondi. Uno dopo l’altro, tutti i player in un’area circoscritta di livello non abbastanza elevato cadono, finché non ne rimangono più. La situazione si stabilizza, tutti tornano in vita, e dopo qualche ora il fenomeno si ripresenta ancora più devastante. La cosa più normale da fare allora era, dopo la morte, tornare al proprio cadavere e controllare cosa è successo, il che non faceva altro che causare una seconda morte. Nessuno capisce cosa stia succedendo (nemmeno i programmatori, che osservano sconcertati), e si scatena inevitabilmente il panico: tutto ciò che si sa è che è in giro qualche tipo di epidemia, non abbastanza forte da colpire chi è di livello massimo, ma pericolosa abbastanza da decimare tutti gli altri.
Quello che era in realtà
Quel famoso ‘malus sospetto’ era un semplice debuff conseguente allo scontro con Hakkar. Il giocatore si ritrovava con una malattia infettiva di nome Corrupted Blood, Sangue Corrotto, che infliggeva un tot di danno ogni tot secondi e si trasmetteva a chiunque fosse nelle immediate vicinanze, finché non veniva curata o non passava da sola dopo un po’ di tempo, oppure non si usciva dall’area del Boss. Infatti, essa non era stata programmata per essere presente al di fuori del dungeon del raid, zona chiaramente di livello alto abbastanza da costringere i players a prepararsi adeguatamente e dunque a sopravvivere alla stessa. Quindi, in teoria, un individuo infetto non doveva assolutamente essere in grado di portarsi dietro questo debuff nelle città, col rischio di infettare altri. Il problema è che esso colpiva anche i pet: gli animali tipici della classe del Cacciatore erano in grado di contrarre il CB e, per un errore di programmazione, anche di portarsela dietro una volta tornati con i loro padroni nelle grandi città. Quindi, è stato così che la malattia è uscita dalla sua zona di origine, passando dal primo pet richiamato post-raid al giocatore più vicino, poi a quello successivo, fino a che l’epidemia è diventata una pandemia, colpendo un’area estremamente ampia su tre server di gioco diversi. E dunque via di chiamate al servizio clienti, speculazioni, e maledizioni.
Quello che è successo dopo
Ciò che è veramente interessante di tutto questo è la reazione dei giocatori. La morte in WoW non è assolutamente permanente, tuttavia comporta una considerevole perdita di risorse e loot, oltre che di tempo, e un grande fastidio, dal momento che praticamente si moriva in loop. Quindi chiaramente chi giocava cercava di evitarla: per questo il CB ha avuto conseguenze realistiche. Dopo un primo periodo di confusione, la situazione si fa leggermente più chiara, e si cominciano a formare comunità di quarantena, organizzate a volte anche da mamma Blizzard stessa. Curatori di alto livello si mettono a disposizione per debellare la malattia nelle aree specifiche. Players ancora sani si mettono in viaggio verso terre lontane per avvisare tutti dell’esistenza di questa emergenza, specificando le zone da evitare. Le città, ormai piene di scheletri dei caduti, si svuotano, dal momento che i sopravvissuti spesso preferiscono trasferirsi in regioni remote ed evitare contatti con gli altri. Si sviluppa addirittura un sistema di riconoscimento degli infetti, in modo che chi è soggetto a conseguenze gravi possa riconoscere chi invece non lo è ma è comunque stato contagiato. La community di WoW, in generale, fa di tutto per contenere la piaga, creando a tutti gli effetti un altro gioco all’interno del gioco. Un gioco di responsabilità e attenzione, al quale ovviamente non tutti avevano voglia di partecipare: non passa molto, e a qualche genio viene un’idea brillante, ovvero farsi contagiare e andare a diffondere il CB anche in aree ancora non colpite. Qui iniziano i problemi che non potevano essere risolti: gente che cerca di sfruttare l’epidemia a proprio vantaggio e incidenti con gli NPC (i personaggi non giocanti), che potevano contrarre la malattia ma non potevano perire. Per questo Blizzard fu costretta, dopo numerosi tentativi falliti, a resettare i server per eliminare definitivamente il Corrupted Blood.
Quello che è stato studiato
I motivi per cui l’incidente del 2005 è un episodio affascinante per gli studiosi può essere riassunto in 2 parole: epidemiologia e terrorismo. La prima è ovvia. L’epidemiologista Ran D. Balicer, dell’università di Bersheva in Israele, ha pubblicato nel 2007 un articolo sulla rivista Epidemiology in cui descrive le similitudini tra il Corrupted Blood, la SARS e l’influenza aviaria, suggerendo l’uso di giochi come WoW per la modellizzazione del contagio delle malattie infettive. Il caso è stato poi definito utile per lo studio per via dei vari aspetti in comune con un’epidemia reale: la diffusione a partire da aree remote via viaggiatori o simili, la presenza di portatori sani (gli NPC) e di soggetti più deboli e più forti dal punto di vista della salute, e il fattore curiosità che spingeva i giocatori ad avvicinarsi il più possibile alle aree infette, per poi scappare velocemente, paragonato al comportamento dei giornalisti nella vita reale. La seconda, ‘terrorismo’, poiché alcuni giocatori svilupparono grande abilità nel diffondere la malattia nel modo più efficiente possibile. Questo tipo di ‘bio-terroristi’ fu studiato dal’analista Charles Blair, direttore del Center of Terrorism and Intelligence Studies, attratto dalla possibilità di analizzare le scelte di un essere umano in un videogioco in una situazione simile. Rimando alla pagina di Wikipedia per approfondire questo incidente che, nel bene e nel male, fa parte della cultura e della storia dei videogiochi.