Da diversi anni neuropsichiatri infantili, psicologi, pedagogisti e insegnanti, sollevano segnali d’allarme sulla crescente incapacità di bambini e adolescenti di scrivere in corsivo, se non addirittura di scrivere a mano. Il cinquanta per cento dei giovani non sa più scrivere in corsivo.
La scrittura nei giovani
Diverse figure, tra le quali anche Umberto Eco, hanno denunciato il largo uso tra giovani e bambini, dello stampatello minuscolo come scrittura d’uso. La situazione italiana, nello specifico dell’ambito scolastico, evidenzia una popolazione nel complesso molto indietro rispetto ad altri Paesi sviluppati, per quanto riguarda la padronanza della lingua primaria. Questa disattenzione, si manifesta anche nell’apprendimento della scrittura e nella pratica della lettura. Infatti, ci si convince che all’utilizzo della lingua scritta risponde ormai il computer, prolungamento del nostro braccio.
La questione del corsivo
Fin dall’ingresso a scuola, i bambini in Italia devono imparare due modelli di scrittura, ciascuno in maiuscolo e minuscolo. I due sistemi sono: da un lato il cosiddetto stampato e dall’altro il corsivo. Il corsivo si origina sulla base della corsiva francese settecentesca, che nell’Ottocento fu adottato come scrittura in tutte le scuole elementari europee. Ciò che favorì la sua diffusione fu la sua esecuzione rapida. I vantaggi, però, non si limitano all’uso in sé. Il corsivo richiede abilità motorie complesse. In particolare la capacità di coordinare i movimenti curvilinei. Per apprendere a scrivere a mano il cervello del bambino deve imparare i movimenti che la mano deve compiere. Ne consegue lo sviluppo di una memoria motoria comune a tutte le culture che scrivono.
Mano vs computer
Una ricerca ha dimostrato che il 70% dei bambini in uscita dalla scuola dell’infanzia, non ha i prerequisiti motori necessari per l’apprendimento del corsivo. Fra le cause, ovviamente, troviamo l’uso continuo di computer, smartphone e tablet. Un altro studio è quello dell’Università dell’Indiana, basato su risonanze magnetiche e condotto su bambini abituati alla scrittura a mano e coetanei abituati a scrivere solo su tastiera. I risultati mostrano che l’attività manuale era in grado di favorire e attivare sia la motricità sia i processi cognitivi. Il primo gruppo, infatti, presentava un’attività neuronale molto più sviluppata, sottolineando così l’importanza della produzione manuale di segni bidimensionali. Un ulteriore studio ha chiarito l’origine di queste differenze. Marieke Longchamp e colleghi, hanno dimostrato che la corteccia motoria e pre-motoria (coinvolte rispettivamente nell’esecuzione e controllo delle attività motorie) sono significativamente più attivate dalla realizzazione di lettere scritte a mano.
Scrittura a mano o in digitale?
Anne Mangen e Jean Luc Velay hanno tentato di rispondere ad una domanda: perchè la scrittura digitale è diversa da quella a mano? Secondo gli autori la scrittura non si esaurisce in un processo esclusivamente mentale, ma richiede l’integrazione di dati visivi, propriocettivi e tattili. Infatti quando scriviamo con la penna, il nostro cervello riceve un feebdback motorio unito al feedback sensoriale, legato al contatto delle dita con la penna e il foglio. Le nuove tecnologie, invece, modificano l’associazione tra i movimenti della mano e la scrittura. La digitazione su tastiera, infatti, si basa su una corrispondenza tra il grafema e un tasto. Ma il tasto può essere attivato da movimenti e tasti diversi, ne consegue una scrittura impersonale e priva del contatto con il corpo.
Il corsivo nasconde noi stessi
Il corsivo (dal latino currere) sta proprio a valorizzare la mano, perchè “andare di corsa” è tipico della mano. Dal punto di vista grafologico, il corsivo è personale, rivela l’identità di chi scrive, le sue potenzialità affettive. Tuttavia il 45% degli studenti tra i 14 e i 19 anni preferisce lo stampatello minuscolo. La ricerca della pedagogista Ammannati ha messo in luce che ad utilizzare questa scrittura alternativa al corsivo, siano proprio i giovani più insicuri, con maggiori fragilità. Secondo l’autrice, quindi, lo stampatello è una rinuncia all’essere autentici e menomazione della propria espressività. Come scrive Federica Natta “Un remoto film di guerra degli anni Quaranta mostra alcuni soldati tedeschi che si infiltrano nella campagna inglese spacciandosi per ingegneri di Sua Maestà. Vengono riconosciuti e scoperti da un contadino, insospettito dal fatto che scrivevano il 7 col trattino orizzontale, alla maniera dei continentali. La calligrafia, il corsivo ci smascherano come mai nessuna tastiera sarà in grado di fare. Perché rinunciarvi dunque?”
Delfina Ruggero