Perché, sin dalla notte dei tempi, chi non parla come noi è considerato barbaro? Cosa c’entra “la forza” con la nascita di una lingua? Esiste un idioma migliore di altri? Cerchiamo di scoprirlo.
I BARBARI
Nell’immaginario collettivo il barbaro è l’altro, la persona diversa da noi, selvaggia e non civilizzata.
Ma cosa significa, letteralmente, barbaro?
Piccolo ricordo di scuola. Vi ricordate? Bar-bar, i greci, la lingua diversa?
Ecco, effettivamente il termine “barbaros” indica “coloro che parlano in modo diverso da noi”, quando parlano fanno, appunto, bar-bar. Riflettendo un attimo notiamo che è proprio questo il problema principale: la lingua.
Pensiamo un attimo ai barbari dei fumetti e dei cartoni animati, prendiamo che so, Asterix e Obelix. Bene, che particolarità hanno? Si vestono in modo strano, divorano cinghiali, certo, ma poi, soprattutto, hanno dei nomi strani: Obelix, Panoramix, Ideafix… la loro connotazione principale, a pensarci bene, è proprio quella di chiamarsi in modo diverso. Prendiamo un altro film di culto: Attila flagello di Dio, con Diego Abatantuono. È un film comico, certo, ma ricordate qual è la specificità del suo personaggio? Esatto. Quella di parlare in modo strano, divertente, macchiettistico e no, non credo sia un caso.
Ok, se si parla di Asterix e Obelix oppure di Attila sembra si stia parlando di cose vecchie e passate. Ne siamo proprio così sicuri?
Ragioniamo un attimo sul modo in cui, fino a poco tempo fa, venivano doppiate le voci dei personaggi di colore (quando, ovviamente, si voleva rendere la differenza tra loro, mandingos un po’ selvaggi, e gli altri). Non vi viene in mente niente?
Allora vi lascio qua una scena tratta dai Griffin. Riflettendoci scoprirete di aver imitato o sentito imitare tale tonalità di voce diverse volte.http://https://www.youtube.com/watch?v=6vgsNEzVNf4
Ovviamente questo non significa che siate razzisti, ma può cominciare a farci notare come quella della lingua sia una questione spinosa e che sottende dei discorsi molto ampi e profondi. La lingua che parliamo ci identifica, ci rende parte di un gruppo e, forse soprattutto, ci permette di capire chi, di quel gruppo non fa parte.
UNA DOMANDA IN VACANZA
Viaggiando in auto per le strade della Bosnia-Erzegovina, cosa che ebbi modo di fare durante una vacanza, ci si stupisce di una cosa: i nomi dei paesi, sempre scritti sia in alfabeto latino che cirillico, molto spesso presentano una caratteristica, ovvero il fatto che una delle due scritte sia cancellata.
Tale fatto mi incuriosì, ma, sulle prime, non gli diedi troppo peso. Continuando il viaggio, però, notai che tale situazione si modificava: se prima erano cancellate le scritte in cirillico, spostandosi all’interno, verso Banja Luka, oppure verso sud, avveniva il contrario e, ad essere depennate, erano quelle in latino.
Giungere a comprendere il motivo di tale fenomeno non fu troppo difficile. Durante la guerra che ha portato alla dissoluzione della Yugoslavia, la Bosnia-Erzegovina è sicuramente stata la repubblica che ha pagato un costo più alto in termini di vite umane. L’attuale organizzazione politica dello stato riflette molto bene le divisioni etniche sorte in quel determinato momento storico. Ad una Bosnia-Erzegovina a maggioranza mussulmana ed abitata prevalentemente da bosgnacchi, fa da contraltare la Republika Srpska, a maggioranza ortodossa e nella quale vivono, per la quasi totalità, persone di origine serba.
Formalmente le due entità sono unite sotto un’unica bandiera, tanto che tale nazione ha due alfabeti ufficiali: quello cirillico, utilizzato dai serbi e quello latino, utilizzato dai bosgnacchi e dalla minoranza croata. Tra gli abitanti dell’una e dell’altra zona, però, è ancora presente un forte sentimento di diffidenza reciproca che, a volte, sfocia in odio dichiarato.
È dunque possibile spiegare la questione delle scritte cancellate in modo abbastanza semplice.
Nelle zone dove abitano soltanto bosgnacchi essi vedono il cirillico come la “lingua del nemico” ed espungono tali scritte dai cartelli, come per non far subire al proprio paese l’onta di essere chiamato in un modo che non li rappresenta. Giocoforza, nella Republika Srpska avviene una cosa analoga, ma a parti invertite.
Questa breve digressione è utile per introdurre un nodo cruciale: il termine lingua non è solamente il complesso delle parole e locuzioni che un popolo utilizza per esprimere, comunicare, scambiare pensier e sentimenti, ma sottende al proprio interno argomenti molto più vasti e che interessano questioni di carattere storico, sociale ed economico.
COSTRUIRE LA LINGUA: IL CASO ITALIANO
Teniamoci buono questo discorso sulla Bosnia-Erzegovina, perché ci tornerà utile tra poco, ora però fermiamoci un attimo, così da introdurre un nuovo argomento. Quello relativo a come, fattivamente, “nasca” una lingua. Partiamo da un presupposto tanto semplice quanto, molto spesso, poco considerato: non esiste una lingua migliore di altre. Non c’è nessun motivo per il quale una lingua si definita tale ed un dialetto invece sia considerato “inferiore”.
Prendiamo l’Italia. Come sappiamo l’italiano standard deriva dal dialetto fiorentino ed ha come modelli le opere di Dante, Boccaccio e Petrarca. Tale “scelta” non è stata però indolore, poiché anche altri dialetti avevano importanza letteraria ed avevano espresso autori importanti. La “questione della lingua” è stata quindi risolta in modo definitivo solamente nel XIX secolo. Se ad uscire vincitore è stato il dialetto fiorentino ciò è stato dovuto al fatto che i principali modelli per gli scrittori succesivi e, dunque, i già citati Dante, Boccaccio e Petrarca, avevano scritto le proprie opere utilizzando proprio il fiorentino. Sstanzialmente, per ciò che concerne il caso italiano, la “questione della lingua” è stata risolta su criteri di prestigio: ad essere elevata al rango di lingua standard è stato il dialetto che presentava la maggiore autorevolezza letteraria.
COSTRUIRE LA LINGUA: IL CASO FRANCESE
Quanto avvenuto in Italia rappresenta una delle possibilità di “costruzione della lingua”, ma non esaurisce la casistica. Se prendiamo l’esempio francese si notano infatti delle differenze.
In ambito letterario, fino almeno al XIII-XIV, tra le lingue parlate nell’odierna Francia, quella più prestigiosa era sicuramente il provenzale. Se a diventare la lingua ufficiale del paese è invece stato il “francese di Parigi”, lo si deve quindi a motivazioni prevalentemente politiche. Nel momento in cui Parigi diventa, in modo incontrovertibile, la città più importante del paese, il dialetto lì parlato acquisisce la forza per elevarsi rispetto a tutti gli altri.
Volendo fare un esempio, in Francia è avvenuta una situazione paragonabile a quella di un’Italia nella quale il dialetto di riferimento, anziché essere il fiorentino, fosse il romano (per l’importanza politica della città) o il milanese (per l’autorevolezza economica della città della madonnina).
UNA QUESTIONE DI FORZA E AUTORAPPRESENTAZIONE
Efficacia letteraria nel caso italiano, potenza politica in quello francese. Se è ormai abbastanza chiaro il fatto che un dialetto diventi lingua perché ha più forza rispetto agli altri, manca un ultimo esempio, quello forse più emblematico, ovvero il caso in cui la lingua venga imposta a seguito di una conquista.
Quest’ultima situazione è quella tipica del nord-america, dove l’inglese ha inevitabilmente soppiantato le altre lingue pre-esistenti.
Ora, dopo aver messo in luce come i rapporti di forza influenzino in modo importante il concetto di lingua e come, di fatto, siano essi a far sì che un determinato idioma si evolva in “lingua” vera e propria o rimanga “dialetto”, si può spostare l’attenzione su di un argomento che, prendendo le basi da quanto appena affermato, sposta il discorso dei rapporti di forza su un piano leggermente diverso, più sociologico, diciamo così, perché legato all’idea che una determinata comunità di parlanti ha della propria lingua. Tale discorso si riallaccia perfettamente a quanto detto riguardo alla Bosnia-Erzegovina (Visto? Ve l’avevo detto che ci saremmo tornati).
Ci sono casi, infatti, nei quali due comunità, benché parlino lingue molto simili, vogliono tentare di differenziarsi il più possibile le une dalle altre, rivendicando, anche a livello linguistico, una propria autonomia.
DIFFERENZIARSI
Il caso balcanico è emblematico. Benché infatti il serbo-croato sia, fondamentalmente, un’unica lingua oggi, in realtà, in Serbia si parla serbo, in croazia croato ed in Bosnia bosniaco. Tutte e tre le lingue derivano da un’unica lingua madre, ma utilizzano termini e alfabeti diversi, tanto da rendere difficile la mutua intelleggibilità. A far sì che sia accaduto questo sono state questioni di carattere storico, politico e culturale, le quali influenzano le idee di nazione e, con essa, la stessa lingua.
Non è un caso se, proprio come nella situazione dei paesi ex-yugoslavi, ogni qualvolta una determinata regione tenti di emanciparsi dal dominio dello stato centrale, venga sempre posto l’accento su una propria, specifica, connotazione linguistica. Basti citare come esempi quello dei Baschi e dei Catalani in Spagna, degli Scozzesi per ciò che riguarda il Regno Unito o dei Fiamminghi e dei Valloni in Belgio.
SENTIRSI UNA SOLA COSA
Situazione diametralmente contraria a quelle citate sin’ora riguarda la Cina. Al suo interno, infatti, si possono distinguere due grandi varietà linguistiche, il cantonese ed il cinese mandarino. Le due varietà non sono mutualmente intelleggibili, se, quindi, una persone che parla soltanto cantonese tentasse di parlare con un’altra persona che conosce solamente il cinese mandarino, la conversazione non potrebbe avere luogo. I cinesi però, contrariamente ai popoli balcanici o, con le dovute proporzioni, ai baschi di Spagna, si sentono tutti parte di uno stesso popolo e, proprio per questo, minimizzano le differenze linguistiche asserendo che il cantonese ed il mandarino non abbiano “vita propria” ma siano solamente due differenti dialetti del cinese.
SITUAZIONI NEL MEZZO
Come già accennato ci sono situazioni che stanno un po’ a metà tra le due che abbiamo esaminato. Sono quelle circostanze nelle quali le lingue, seppur diverse, sono mutualmente intese dai diversi parlanti.
Le modalità, però, attraverso cui avviene questa mutua comprensione sottendono comunque dei rapporti di forza. Se prendiamo l’esempio scandinavo vediamo, ad esempio, come i danesi dicano di comprendere meglio i norvegesi di quanto invece essi dichiarino nei confronti dei danesi o come, in generale la lingua più compresa sia lo svedese.
Detta così potrebbe sembrare una situazione strana, ma se ci fermiamo ad analizzare ci rendiamo conto che non lo è, o, almeno, non così tanto. Al giorno d’oggi, infatti la Svezia è sicuramente il paese più influente nella regione, mentre la Danimarca è quello con “meno forza”.
UNA CHIOSA FINALE
Si può quindi affermare che i rapporti tra varietà linguistiche siano basati su rapporti di forza. Una lingua smette di essere dialetto nel momento in cui riesce ad imporsi con la forza su tutti gli altri idiomi presenti nella zona. Tali rapporti di forza, come visto, determinano anche gli scambi e le interazioni esistenti tra una lingua nazionale e l’altra.
L’idea del barbaro nasce proprio per questo. La persona che non parla la nostra lingua è una persona che non fa parte del nostro gruppo. Facendo un esempio che può sembrare banale, ma che, invece, calza alla perfezione, se un immigrato viene ad abitare in Italia e non impara subito la nostra lingua ci sembra quasi che non voglia ammettere la nostra superiorità. Perché di questo si tratta, del fatto che, per il solo fatto di parlare italiano noi ci sentiamo superiori a lui.
Invece no, lo abbiamo detto all’inizio, non esiste nessuna lingua che sia migliore di un’atra. Essa è una cosa umana come nessuna e riguardando, appunto, gli essere umani, non è mai fissa e immutabile e risente di dinamiche di tipo sociale, storico, politico ed economico.
A pensarci bene è giusto che sia così.
Volendo citare la celebre leggenda che vuole Federico II di Svevia intento ad “allevare” bambini in un luogo isolato, senza che nessuno parlasse con loro, allo scopo di scoprire se le loro prime parole sarebbero state in aramaico, greco o latino, il fatto che essi morissero senza mai dire una parola avveniva non tanto perché Dio non lo volesse, quanto perché senza socialità, senza rapporto tra gli essere umani, con tutto ciò che ne consegue, non esisterebbe nemmeno la lingua, almeno non come la conosciamo noi.
Il nostro compito, però, è quello di capire l’importanza della lingua e di non utilizzarla come un’arma, bensì come un modo per avvicinarsi agli altri.
(Ludwig Lejzer Zamenhof, l’inventore dell’Esperanto, aveva capito quello che sto cercando di dire già nel 1887, ma questa e un’altra storia e, magari, la racconteremo un’altra volta…)