I mostri di Monsters & Co. ricavano energia dalle urla: potremmo farlo anche noi?

Nel film Pixar un’intera città è alimentata da una forma d’energia ricavata dalla urla e dalle risate dei bambini, ma potrebbe non essere solo fantasia

Mike Wazowski e James Sullivan, detto Sulley: i protagonisti della pellicola.

Uscito nel 2001 negli USA e nel 2002 in Italia, Monsters & Co. è il 4° film prodotto dalla Pixar e presenta un’interessante modo di produrre energia sostenibile, anche se non proprio eticamente. Nel nostro mondo, lungi dal voler traumatizzare intere nuove generazioni, potremmo copiare questo metodo utilizzando una classe di materiali detti “piezoelettrici” e inserire così una nuova fonte rinnovabile nella pletora di soluzioni alternative ai combustibili fossili.

“Una risata è più forte di un milione di grida”: come si alimenta Mostropoli

Se qualcuno di voi lettori è fan dei Pinguini Tattici Nucleari sicuramente avrà già riconosciuto la citazione da Sashimi: “Monsters & Co. ci ha insegnato tutto sulla vita, cioè che una risata è più forte di un milione di grida”. Sicuramente l’intenzione della band era quella di lanciare un messaggio positivo, di combattere la tristezza con la gioia e di non abbattersi, ma la fisica sarebbe d’accordo? Nel film Pixar i protagonisti Mike e Sulley lavorano in una fabbrica che fornisce energia alla città di Mostropoli estraendola dalle grida dei bambini: attraverso delle porte, i mostri sono in grado di intrufolarsi di notte nelle stanze degli infanti per terrorizzarli e immagazzinare l’energia in apposite batterie. Più forte grida un bambino e maggiore è l’energia estratta, tanto che esiste una classifica degli impiegati più spaventosi basata proprio sull’energia che essi hanno prodotto. Quando però si trovano tra le mani la piccola Boo, uscita per errore dalla propria porta, scoprono che le risate dei bambini producono  un’energia molto maggiore e più stabile. Nel nostro mondo, è difficile stabilire per ora se una risata sarebbe più o meno efficace di un urlo, anche perché si tratta di suoni differenti. Tuttavia, possiamo oggettivamente descriverli e stimare l’energia che sono in grado di portare. Il suono è, infatti, un fenomeno descritto da una funzione d’onda: si tratta di un particolare tipo di equazione che descrive deformazioni periodiche nel tempo, sotto forma di funzioni seno e coseno.

Alla Monsters Inc. i mostri entrano attraverso migliaia di porte nelle stanze dei bambini per ricavare energia dalle loro grida.

Il suono come vettore di energia

Senza addentrarci troppo, possiamo dire che sono onde le vibrazioni delle corde di una chitarra, perché ogni punto varia periodicamente la propria posizione rispetto al punto di equilibrio, e sono onde anche i segnali radio, perché in ogni punto cambiano il campo elettrico e magnetico. Nel caso di un suono, la perturbazione interessa la pressione o, in liquidi e solidi, la posizione media delle particelle: le particelle sono messe in vibrazione una dopo l’altra e questo trasmette il suono. E’ per questo che si dice che nello spazio non si sentono suoni (e che quindi, ahinoi, tutti gli effetti sonori delle battaglie tra astronavi in Star Wars sono frutto della fantasia): non c’è gas nello spazio attraverso cui il suono potrebbe propagarsi. Un’onda è caratterizzata principalmente da tre parametri. La lunghezza d’onda è la distanza tra due massimi o due minimi consecutivi. La frequenza è il numero di massimi o minimi che attraversano un certo punto nell’unità di tempo ed è strettamente legata alla lunghezza d’onda dalla velocità di propagazione nel mezzo. Infine, l’ultimo parametro è l’ampiezza, ovvero il valore massimo della perturbazione. Ogni onda trasporta un’energia, che ogni sezione cede alla successiva deformandola, e questa è identificata dall’intensità, ovvero l’energia per unità di superficie. Opportuni calcoli mostrano che l’intensità dipende dal quadrato dell’ampiezza dell’onda: per Mike e Sulley, ciò si traduce nel fatto che far urlare un bambino è meglio che farlo parlare perché aumenta l’ampiezza del suono e quindi l’energia che esso trasporta.

Un’onda, di qualunque tipo sia, è la variazione periodica di una grandezza. La composizione di diverse funzioni seno e coseno genera tracce dalle forme variegate: anche un elettrocardiogramma è di per sè un’onda risultato della sovrapposizione di periodi pi semplici.

Dalla voce all’elettricità: nanogeneratori piezoelettrici

L’energia trasportata dalle onde sonore è un’energia di tipo meccanico: ogni particella è, infatti, messa in vibrazione e quindi sottoposta a cambiamenti della sua energia cinetica. Come possiamo trasformarla in energia elettrica? La risposta arriva da una particolare classe di materiali detti piezoelettrici: si chiamano così in virtù di un effetto omonimo che consiste nella capacità di generare una differenza di potenziale (tensione) quando sottoposti ad una deformazione meccanica. In natura è un effetto presentato da alcuni tipi di quarzo e siamo in grado di riprodurlo artificialmente in alcuni materiali ceramici come il titanato di bario (BaTiO3). Avviene però solo in una ben specifica direzione e le deformazioni sono dell’ordine dei nanometri. In pratica, nei cristalli citati sono presenti milioni di microscopici dipoli elettrici (coppie  di cariche elettriche uguali e opposte) disposte in maniera tale che ogni faccia delle unità di base del reticolo cristallino abbia lo stesso potenziale elettrico. Quando il corpo è deformato, questo potenziale non è più equamente distribuito e ciò crea una differenza di potenziale o tensione: se immaginiamo di collegare un conduttore metallico al cristallo, quest’ultimo si comporterebbe esattamente da generatore di tensione, in altri termini sarebbe la batteria. Nel conduttore le cariche sarebbero, infatti, mosse dalla tensione dando origine ad una corrente piezoelettrica. L’idea di utilizzare questo fenomeno per generare elettricità ed energia a noi utili risale al 2006, con la pubblicazione di un articolo di Zhong Lin Wang e Jinhui Song, in cui si presentava l’idea di un nanogeneratore basato su nanofili di ossido di zinco. Nella figura sotto è riportata l’immagine dei nanofili visti al microscopio elettronico a scansione (SEM) e al microscopio elettronico a trasmissione (TEM), oltre che a uno schema del funzionamento. In pratica i vari fili sono immersi in un film di PMMA (polimetilmetacrilato)  che serve a proteggerli da rottura in seguito allo stress meccanico: quando viene applicata una forza compressiva (ovvero quando il suono impatta sul generatore), questa è trasmessa dallo stesso PMMA a tutti i nanofili. Ad oggi si tratta di tecnologie ancora in fase di studio e sviluppo, non in grado di produrre elevate correnti, ma in un futuro potrebbero avere grandi vantaggi: pensiamo ad esempio che potremmo ricaricare il nostro cellulare mentre facciamo una telefonata, proprio perché parliamo vicino ad esso. Similmente, potremmo ricavare energia dai rumori di posti affollati, del traffico e via dicendo. Allo stato attuale esistono poi altre applicazioni per il suono, come il motore termoacustico (una variazione dei motori tipo Stirling), e questo fa ben sperare per un futuro in cui i combustibili fossili saranno solo un ricordo.

Ingrandimenti al microscopio dei nanofili di ossido di zinco (ZnO) e schema di funzionamento.

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