Nella nostra epoca la diatriba riguardo all’utilità degli studi umanistici rispetto a quelli scientifici è viva più che mai. Gli studi scientifici, tecnici e pratici sembrano di gran lunga ottenere più consenso da parte della maggioranza delle persone, in quanto reputati decisamente concreti e dotati di applicabilità immediata.
La biblioteca del Trinity College (da www.educationtrainingnetwork.com)
Sono molte le volte in cui si sente dire: “Perchè si studiano filosofia o letteratura? Non servono a nulla”. Eppure, non togliendo in alcun modo importanza alle discipline scientifiche che sono parte essenziale della cultura umana, è urgente riscoprire il valore degli “studia humanitatis” così tanto screditati. Il film “L’attimo fuggente” e Petrarca ci conducono ad apprezzare la letteratura come la “più alta manifestazione dello spirito umano”.

“L’attimo fuggente”: il modo rivoluzionario di presentare la letteratura
“Imparerete di nuovo a pensare con la vostra testa, imparerete ad assaporare parole e linguaggio. Qualunque cosa si dica in giro, parole e idee possono cambiare il mondo.“
Queste sono le parole infervorate del professore John Keating, interpretato da Robin Williams, in una delle scene del celebre film “L’attimo fuggente” del 1989, diretto da Peter Weir. Il nuovo insegnante di letteratura stravolge la concezione degli studenti nei confronti della sua materia. Attraverso i suoi originali e dinamici metodi e le sue parole carismatiche e profonde riesce a far vibrare le corde più intime dei cuori dei suoi alunni. Grazie a lui la letteratura non è vista come un insieme di nozioni da imparare e ricordare ma come specchio in cui contemplare se stessi, come luogo in cui cercare la propria voce, il proprio pensiero e, per usare le sue esatte parole, ribellarsi alla “pigrizia mentale”. Leggere è riscoprirsi nelle parole altrui e avvertirle come fatte appositamente per noi, è vedere da un punto di vista diverso la realtà per saperla affrontare con mente aperta. La passione che permea le lezioni dell’insegnante riesce ad abbattere ogni ostacolo in quanto in esse si assaporano parole di verità, di quella verità di cui ogni uomo ha bisogno. “Carpe diem“, cogli l’attimo, è il motto che trasmette agli allievi ed è tratto dal poeta latino Orazio. Cogliere l’attimo significa “succhiare il midollo della vita“, non sprecare la breve esistenza che è concessa all’uomo nel’indolenza ma sforzarsi di renderla straordinaria, intensa e piena di significato. Gli studenti sono a tal punto stimolati e assetati di vita che giungono a far rivivere un gruppo clandestino di poesia, “la setta dei poeti estinti”, che, a suo tempo, lo stesso Keating aveva fondato. In questo contesto scolastico, le profonde riflessioni esistenziali s’intrecciano alle vite, alle aspirazioni e alle vicende dei protagonisti che cercano di mettere in pratica concretamente gli insegnamenti ricevuti.
“Che il potente spettacolo continua e che tu puoi contribuire con un verso. Quale sarà il tuo verso?“
Altichiero, Ritratto di Francesco Petrarca (in primo piano)
Il valore dell’Humanitas
La parola “Humanitas” indica propriamente il “riconoscere e rispettare l’uomo in ogni uomo” e designava quindi un concetto etico importante all’interno della cultura dell’antica Roma. Con Cicerone questo termine giunge a significare la componente fondamentale degli studi letterari e dell’otium diretti a migliorare l’uomo e il cittadino, considerati non meno importanti del negotium, attività politica. La stessa definizione di studi umanistici quindi evidenzia in modo incontrovertibile il profondo legame fra la letteratura e uomo. Studiare letteratura è studiare l’uomo. Da qui il principio basilare dell’epoca storica dell’Umanesimo: l’uomo al centro del mondo e al nucleo della speculazione conoscitiva. Il professor Keating spiega magistralmente la correlazione radicale fra gli studi umanistici e l’essere umano:
“Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana; e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore, sono queste le cose che ci tengono in vita.“
Proprio questa conoscenza disinteressata da ogni diretta utilità è un bisogno primario dell’uomo, che non può farne a meno se non vuole perdere la propria essenza. La bellezza rende l’uomo più umano, più degno di se stesso, lo aiuta a sollevare lo sguardo da terra e a guardare in alto, a sapersi commuovere e meravigliare davanti alle piccole cose e a sognare in grande. Anche il poeta Petrarca è stato portavoce fervoroso, nel suo tempo, della dignità delle lettere che, facendo rivivere il mondo antico, garantiscono anche immortalità futura a chi le pratica. Per questo intellettuale trecentesco la letteratura è portatrice dei più alti valori e la venera in modo religioso. La sua devozione verso gli studia humanitatis si esplicita chiaramente nel culto ossequioso dei classici, da lui studiati nella loro autenticità. Petrarca, infatti, diversamente da quanto avveniva nel Medioevo, si approccia agli autori antichi senza decontestualizzarli, leggendoli con chiavi d’interpretazioni teologiche a loro aliene, ma anzi si sforza di ricercare la vera intenzione dello scrittore, ponendo così le basi della filologia.
Petrarca e il “De sui ipsius et multorum ignorantia”
Il valore chiave dell’Humanitas in quanto disciplina che porta al miglioramento di se stessi e della propria interiorità, comporta in Petrarca il disprezzo per il sapere scientifico. La conoscenza tecnica e catalogatrice del reale propugnata dalla filosofia scolastica, modellata sul pensiero aristotelico, è da lui disdegnata in quanto pretenziosa e arida. Al contrario esalta uno studio mirato alla comprensione dell’uomo e delle sfaccettature della sua anima, rifacendosi al modello di Sant’Agostino. Questi ideali sono espressi in un trattato filosofico minore scritto in prosa latina e risalente al 1367-70, il “De sui ipsius et multorum ignorantia” (Sull’ignoranza propria e di molti altri). L’occasione per la composizione di quest’opera è l’accusa d’ignoranza ricevuta da quattro giovani averroisti di Venezia, con i quali era solito conversare. Nello scritto difende strenuamente l’autorevolezza delle lettere dai saccenti giovani che lo avevano provocato, convinti della loro indiscussa superiorità dovuta al sapere scientifico. In modo anche beffardo e sarcastico si scaglia contro il loro tipo di conoscenza, evidenziandone il carattere borioso ed esasperatamente analitico. Per il grande poeta questi giovani s’incaponiscono nell’acquisire nozioni inutili come sapere quanti peli ha il leone sulla testa o quante piume ha l’avvoltoio nella coda. Loda invece con ardore coloro che studiano come rendere l’uomo felice, come aiutarlo ad affrontare l’esistenza, a migliorarsi e a raggiungere la salvezza attraverso il sapere umanistico.