Gli autoritratti di Van Gogh e le opere di Agostino e Petrarca esprimono un’interiorità tormentata

Comprendere se stessi è forse la cosa più difficile, anzi è proprio impossibile. La complessità di tutto ciò che si agita nell’animo umano è imperscrutabile e non si può semplificare in banali categorie ed etichette.

L’interiorità di ogni persona è unica ed estremamente magmatica, darle voce e rappresentarla è stata un’esigenza intima o una pulsione irrefrenabile di molti artisti e scrittori. Nei celebri autoritratti di Vicent Van Gogh, nelle “Confessiones” di Agostino d’Ippona e nel “Secretum” di Petrarca traspare chiaramente l’espressione autentica di un tormento spirituale che non dà pace, ma senza il quale forse non si può definirsi davvero vivi.

Vincent Van Gogh e il fuoco interno che arde nei suoi “Autoritratti”

Vincent Van Gogh è stato uno dei pittori più controversi e inquieti di tutti i tempi. Nato nel 1853, durante la sua breve vita egli fu preda di violente passioni e profonde afflizioni, il suo immenso talento fu disprezzato e morì suicida a soli 37 anni. Afflitto da disturbi mentali, aveva un anima eccessivamente sensibile e profonda che trapela nelle righe delle commoventi lettere scritte al fratello Theo. Così infatti si rivolge a quest’ultimo in un’epistola del 22-24 giugno 1880:

Uno ha un grande fuoco nell’anima e nessuno viene mai a scaldarsi, i passanti non scorgono che un po’ di fumo in cima al comignolo e se ne vanno per la loro strada. E allora che fare, ravvivare questo fuoco interiore, avere del sale in sé, attendere pazientemente – ma con quanta impazienza –, attendere il momento in cui, mi dico, qualcuno verrà a sedersi davanti a questo fuoco, e magari vi si fermerà

È questo fuoco vivo quello che brucia nei circa 37 autoritratti da lui realizzati fra il 1886 e il 1889. La carenza di denaro con cui pagare modelli per le sue opere lo costrinse a servirsi di se stesso come soggetto pittorico. Questi quadri non sono banali riproduzioni fededegne del suo volto così come appare, sono invece ritratti dell’interiorità. Le pennellate frenetiche e angosciate conferiscono un senso di instabilità delineando l’individualità dilaniata e angustiata dell’artista. Van Gogh infatti era interessato a trasmettere le emozioni più autentiche del cuore, conducendo un’analisi psicologica scrupolosa, arrivando a scandagliare le zone più nascoste e oscure del proprio intimo. Così dagli autoritratti con il cappello di paglia a quelli con la pipa, Vincent in una sfida con se stesso e le sue fragilità ha messo a nudo con una sincerità disarmante la propria psiche, eternandola in tele meravigliose.

Il percorso dell’anima nelle “Confessiones” di Agostino d’Ippona

Agostino d’Ippona, vescovo e teologo vissuto fra il 354 e il 430, traspose fra le pagine delle autobiografiche “Confessiones” il suo percorso di vita travagliato. La prima parte della sua esistenza la condusse immerso nella sregolatezza e inebriato dai sensi, aderendo alla dottrina filosofica e religiosa del manicheismo. La sua costante esigenza di verità e senso, la profonda fede della madre Monica e l’incontro con il vescovo di Milano Ambrogio determinarono infine la conversione al cristianesimo. Considerato uno dei maggiori Padri della Chiesa cattolica, egli nell’opera sopraccitata, composta di 13 libri in lingua latina, nella forma di un dialogo personale con Dio esaminò la propria coscienza.

Eppure gli uomini vanno ad ammirare le vette dei monti, le onde enormi del mare, le correnti amplissime dei fiumi, la circonferenza dell’oceano, le orbite degli astri, mentre trascurano se stessi. (Confess. 10, 8. 15)

Rivolgere lo sguardo all’interno, verso se stessi piuttosto che all’esterno è il tema cardine che emerge fra le righe. È nel ripiegamento interiore e nella meditazione che l’uomo può incontrare Dio e lasciarsi amare. In questo diario dello spirito brucia vivamente il cuore assetato di vita dello scrittore che con parole commoventi e sentite, come Van Gogh con le sue pennellate, ha realizzato l’autoritratto scritto del proprio io.

Il dissidio fra accidia e fede nel “Secretum” di Francesco Petrarca

Anche Francesco Petrarca ha avvertito intensamente l’urgenza di dare spazio ai moti confusionari della propria personalità. Nella sua opera “Secretum” (il cui vero titolo è “De secreto conflictu curarum mearum”), datata circa fra il 1347 e il 1353, ha descritto con accuratezza il proprio conflitto intimo. Il libro è costruito su un dialogo di impostazione platonica fra il poeta stesso e Sant’Agostino, figura per lui importantissima soprattutto per le “Confessiones”, al cospetto della silenziosa personificazione femminile della Verità. Il santo mette Petrarca di fronte alla propria incoerenza e fragilità, additandogli il suo più grande peccato e vizio: l’accidia. È infatti questo stato di pigrizia e inerzia spirituale che impedisce allo scrittore di raggiungere la perfezione cristiana. L’autore è infatti lacerato dal dissidio interiore, attratto dal fascino inebriante della carnalità e della materialità, egli tende allo stesso tempo alla contemplazione religiosa. Nei tre libri di cui si compone il “Secretum” è quindi delineata l’irrequietezza del frastagliato animo dello scrittore che, proprio per questo sforzo di autoanalisi, possiamo assimilare al suo modello Agostino e al lontanissimo nel tempo Van Gogh.

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