Gli 8 luoghi da visitare una volta nella vita per capire veramente la Shoah

La Shoah, uno degli eventi più tristemente noti della storia contemporanea. Un’enorme macchia nella coscienza umana, che non potrà mai essere cancellata. La maniera migliore per conviverci è ricordarla e conoscerla: partiamo da questi otto luoghi.

‘Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono essere nuovamente sedotte ed oscurate: anche le nostre.’ Così Primo Levi si esprimeva sull’orrore dello sterminio ebraico e sul dovere universale di non far cadere nel dimenticatoio tali eventi. Una delle migliori maniere per tenere vivo il ricordo di quegli anni terribili, oltre che studiarlo sui libri di storia, è vedere con i propri occhi i posti della Shoah. Al giorno d’oggi esistono numerose associazioni dedite principalmente a simili itinerari, chiamati spesso Viaggi della Memoria; nonostante ciò, si può benissimo compiere il viaggio da soli, organizzando autonomamente il percorso. Ovviamente, esistono centinaia di luoghi, in tutta Europa, in cui si potrebbe andare. Soffermiamoci su otto di essi, alcuni poco conosciuti ai più, ma che sicuramente impressioneranno i visitatori.

1. Monaco di Baviera

Eccoci nel capoluogo bavarese: Monaco. Tutti i turisti conosceranno sicuramente la piazza principale, Marienplatz, e le numerosissime birrerie del centro storico. Ma questa città ha molto da dire sulla storia del nazionalsocialismo, anche se nasconde bene il suo passato. Iniziamo da una meta molto gettonata, sia per gli autoctoni, che per i vacanzieri: l’antica birreria HB, ossia Hofbräuhaus Am Platzl. Fondata nel 1589 e poi divenuta proprietà statale, è uno dei simboli della cultura tedesca nel mondo, tanto che, negli ultimi anni, ha aperto diverse filiali in tutto il mondo. Ottima birra, cibo gustoso, camerieri in vestiti tirolesi, atmosfera di festa, tipici Lieder risuonanti nel locale: tutto ciò in un’incantevole location neorinascimentale. Se si alza lo sguardo verso il soffitto, saltano subito all’occhio le volute dipinte intorno ai lampadari. Esse rappresentano delle bandiere bavaresi, dal tipico motivo a rombi bianchi e azzurri, ma si ha istintivamente la sensazione che stiano lì a coprire qualcosa. L’intuizione è corretta: negli anni ’30, erano state rappresentate delle svastiche che, con i bombardamenti americani del 1944, andarono perdute. Intorno al 1950, nel periodo della ricostruzione, si decise di rimettere a nuovo il locale; uno dei tanti ammodernamenti fu appunto la sostituzione delle svastiche con le più innocue bandiere bavaresi. La birreria rimane però ancora oggi un segno evidente del nazionalsocialismo, considerato che Adolf Hitler tenne proprio al suo interno numerosi comizi, sin dal 1919, per trovare proseliti per il suo NSDAP (Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi). Rimanendo nei dintorni, possiamo imbatterci nel prestigioso Hotel Vier Jahreszeiten (Quattro stagioni) in Maximielienstrasse: ora è un albergo a cinque stelle, ma nel 1918 era la sede di un’associazione operaia di estrema destra, ossia l’embrione del Partito nazista. Ricordate la famosa Marienplatz? Su di essa si affaccia il municipio neogotico; il 3 marzo 1933, i nazisti se ne appropriano, fino a che, due anni dopo, divenne la sede del movimento nazista nella Führerstadt. Spostiamoci di poco, fino ad arrivare in Viscardigasse: sulla pavimentazione possiamo notare un decoro lineare dorato, che conduce alla Odeonsplatz, esattamente davanti alla cosiddetta Loggia dei Marescialli. Bisogna ricordare che in questa piazza venne sventato il Putsch hitleriano del 1923: centotrenta guardie aprirono il fuoco sui tremila nazionalsocialisti, uccidendone quattordici. Quando Hitler salì al potere, elevò questo luogo a mausoleo per i martiri di partito: erano sempre presenti delle guardie, con il compito di assicurarsi che i passanti si togliessero il cappello e facessero un inchino. I dissidenti politici, per evitare di compiere queste riverenze, passavano in Viscardigasse per tagliare fuori dal loro percorso Odeonsplatz (ecco il perché della decorazione). Spostandoci dalle vie del centro, quello che è adesso il moderno palazzo di una banca, un tempo era la sede della Gestapo, luogo in cui i membri della Weisse Rose (Rosa Bianca) vennero condannati a morte per propaganda antinazista; il centrale quartiere neoclassico Ludwig era abitato solamente da funzionari del regime, in cui si trovava una villa (ora insestente) nota come Braunes Haus (Casa Bruna), sede del Partito nazista. Nelle vicinanze si trova la ex Führerbau (sede amministrativa del Paese), ora divenuta edificio universitario.

2. Campo di concentramento di Dachau

1933: nasce il primo campo di concentramento tedesco, proprio a Dachau, a nemmeno dieci minuti da Monaco di Baviera. Qui approdano i primi detenuti: sono prigionieri politici avversi al Reich e asociali (alcolizzati, senzatetto, tossicodipendenti e disoccupati). Inizialmente questo era un centro di primo livello, ossia di lavoro e di rieducazione, ma dal 1939 divenne uno dei più terribili Konzentrationslager, con un bilancio finale di 200.000 internati e e 42.000 morti registrati. Con il procedere del tempo, Dachau raccoglie anche omosessuali, obiettori di coscienza, criminali professionisti, emigrati tornati in patria nel periodo nazista, testimoni di Geova, Sinti, Rom ed ebrei. Appena entrati a Dachau, sul cancello di ingresso si legge la macabra scritta Arbeit macht frei (il lavoro rende liberi). Una volta varcatolo, si arriva nell’enorme piazza dell’appello: i detenuti dovevano recarsi qui ogni mattina e ogni sera per la conta. Spesso durava un’intera ora e obbligava tutti i prigionieri a rimanere in piedi esposti alle intemperie, in attesa che fossero stati chiamati tutti i numeri. Davanti si trova l’edificio gestionale: sono presenti le ex botteghe degli artigiani, la sala di registrazione dei detenuti, la sala docce, la lavanderia, il deposito degli averi dei carcerati e l’amministrazione, gestita, come tutto il resto, dai detenuti stessi, capeggiati dai dissidenti politici. Nonostante queste forme di associazionismo interne al campo, in realtà le SS instillavano pregiudizi fra i prigionieri, cosicché non si formasse solidarietà fra le caste. Si può vedere ancora oggi un viale alberato, dove un tempo si affacciavano le trenta baracche dei detenuti, con l’infermeria e la biblioteca (nei primi tempi, era obbligatoria la lettura di un libro alla settimana per la rieducazione politica). Solitamente, in una baracca soggiornavano 200 uomini, con solo quattro dormitori, quattro sale comuni e due bagni. Nelle baracche 28, 29 e 30 abitavano preti cattolici o protestanti e rabbini contrari il regime; simbolicamente, vennero posti ai confini del campo per far intendere la loro marginalità nella società. Sono ancora visibili le camere a gas e i forni crematori, installati a partire dal 1940: prima di questa data, i corpi delle vittime venivano rispediti alle proprie famiglie dentro a bare sigillate, con l’invito di non aprirle e con un certificato di morte falsificato. I familiari, insospettiti, aprirono le bare e videro i cadaveri tumefatti, con segni di violenza e spari; ciò spinse i gerarchi nazisti a costruire camere a gas, alimentate da Zyklon B, e forni crematori per disperdere le tracce degli omicidi. Un sistema tecnicamente perfetto, tranne per l’inverno 1944-45: il freddo causò così tante vittime che non c’era più carbone per bruciare i corpi. Si scavò quindi un’enorme fossa comune, dove si stima siano stati gettati più di 7000 cadaveri. Oggi, oltre alla ricostruzione di due baracche, si può vedere anche un monumento in onore delle vittime costruito negli anni ’60.

3. Poligono di tiro di Hebertshausen

Costruito nel 1937 dalle SS a soli due chilometri da Dachau, questo poligono di tiro serviva all’addestramento delle organizzazioni militari e armate del Reich; dal 1941 divenne luogo di esecuzioni. E’, infatti, tristemente associato all’assassinio di più di 4000 prigionieri sovietici, avvenuto tra il 1941 e il 1942: essi venivano estrapolati dai campi di concentramento, portati ad Hebertshausen, spogliati, allineati in file di cinque e ammanettati ai pali, poi uccisi. All’epoca, erano presenti cinque poligoni per il tiro a distanza, due per il tiro ravvicinato, un campo per granatieri e l’edificio dell’economato; ad oggi è visibile qualche poligono e i paracolpi delle mitragliatrici, ancora martoriate dai proiettili. E’ stata installata una targa di pietra commemorativa e, dove una volta c’erano i poligoni di tiro a lunga distanza, vi è un monumento in onore delle vittime, molte delle quali sono rimaste senza nome e senza volto.Hebertshausen

4. Campo di concentramento di Mauthausen

Aperto nell’aprile del 1938, il campo di concentramento di Mauthausen conta 190.000 internati e 95.000 morti registrati: è l’unico campo (insieme ai suoi sottocampi) a cui fu assegnato il grado tre di severità per punizione e annientamento attraverso il lavoro. Costruito su una collina sovrastante l’omonima cittadina, inizialmente comprendeva solo poche baracche di legno contornate da un reticolato. Con l’intensificarsi delle retate, il campo si espanse grazie al lavoro degli stessi detenuti: proprio loro costruirono la fortezza di granito che ancora oggi vediamo, circondata da un muro di cinta con filo elettrizzato, al di fuori del quale erano situati una piscina e un campo da calcio per le SS di guardia (durante la guerra, avevano formato una squadra che militava nel campionato amatoriale tedesco!). Una volta varcato l’ingresso, vi era un enorme spiazzo, utilizzato sia per le parate delle SS, sia per la disinfestazione degli internati. Di fronte, vi erano le baracche di amministrazione, delle guardie, l’infermeria (diventata oggi la sala di una mostra permanente e memoriale), la lavanderia, le cucine e le prigioni, dotate di 30 celle e di una stanza per le torture. Qui, gli appelli venivano svolti più di una volte al giorno, per aumentare le sofferenze dei detenuti già sfibrati dal lavoro. In questo campo nacque la figura del Kapo: un internato (spesso dissidente o criminale comune germanofono) che, scelto dai propri aguzzini, vigilava sul lavoro degli altri prigionieri, anche in modo violento, in cambio di piccoli benefici, come un razione più abbondante di cibo o una coperta in più. I Kapo avevano una baracca, la numero 1, dove registravano gli internati e assegnavano loro lavori. Era presente anche un piccolo bordello, dove erano presenti le deportate dal centro femminile di Ravensbrück, riservate ai Kapo e ai prigionieri eminenti. Le baracche 6-11 erano invece riservate al soggiorno dei prigionieri; in ognuna era presente un capo-baracca e dei detenuti di sorveglianza, che avevano la responsabilità di mantenere l’ordine e la disciplina. Era presente anche un cortile di quarantena, dove i nuovi venuti, non ancora internati a tutti gli effetti, dovevano passare dei giorni per evitare lo scoppio di epidemie. A Mauthausen sono stati applicati tutti i generi di atrocità possibili: il lavoro a cui tutti i detenuti erano costretti consisteva nel trasportare blocchi di granito di 50 chilogrammi sulle spalle dalla cava di granito sottostante il campo alle baracche, usufruendo della cosiddetta scala della morte, ripidissima ed esposta alle intemperie. Se la morte non sopraggiungeva di stenti, di fame o di freddo, arrivava dagli spari delle guardie o dai suicidi. Il campo fu tristemente noto anche perché accolse moltissimi internati di altri centri, quando durante le marce della morte dovettero spostarsi per evitare la cattura sovietica: il campo soffrì di sovraffollamento e si allestì il bosco vicino con tende e accampamenti. Sono ancora presenti la camera a gas e i forni crematori, uno del 1938 e uno più recente, ottimizzato per la capienza richiesta.Mauthausen

5. Gusen

Aperto nel 1940, Gusen è solamente uno dei 49 sottocampi di Mauthausen. Diviso a sua volta in tre centri minori, Gusen I, II e III, questo campo si è macchiato di atrocità indicibili. Grazie alla posizione strategica, ossia nei pressi sia di una cava di granito, che della fortezza di Mauthausen, nacque come un campo di solo lavoro per gli internati, poi divenne di concentramento. Il bilancio conta 75.000 detenuti e almeno 36.000 morti per stenti, percosse, torture e esecuzioni di massa nelle camere a gas. Campo fortemente multietnico (sono presenti moltissimi italiani, francesi, spagnoli, polacchi e sovietici), era sprovvisto di una sua camera a gas, ma possedeva un potente forno crematorio. Nelle vicinanze di Gusen, a Sankt Georgen, vi era una galleria sotterranea dedicata alla costruzione di aerei e alla produzione di armi e munizioni, in cui i prigionieri dovevano prestare servizio. Dopo la fine della guerra, Gusen I ha subito enormi cambiamenti, tanto da renderne impossibile la ricostruzione della fisionomia; negli anni ’50 è stata decisa la lottizzazione ed è nata una serie di abitazioni residenziali. E’ rimasto riconoscibile, seppur convertito a comune casa, l’edificio di ingresso e comando del campo. L’associazione dei superstiti del campo ne ha acquistato un appezzamento per erigervi una struttura commemorativa, al cui interno è sito il forno crematorio.Gusen

6. Linz

Rimaniamo in Alta Austria, più precisamente nella città di Linz. Nonostante la città sia conosciuta nel mondo per suoi illustri abitanti, come l’astrofisico Giovanni Keplero o il compositore Wolfgang Amadeus Mozart, o per la Linzer Torte, non dimentichiamoci che è stata la casa del giovane Adolf Hitler, ma anche del gerarca nazista Adolf Eichmann. Nella piazza principale, si può notare il municipio, ora suddiviso fra comune e museo della città. La particolarità è che esso doveva diventare, nelle intenzioni hitleriane, un enorme museo dedicato al partito nazionalsocialista e al Reich; Linz stessa doveva divenire una delle cinque Führerstadt. Come mai Hitler ebbe tutto questo interessamento? Semplice: dal 1900 fu spesso nella cittadina, in quanto studente delle scuole dell’obbligo. Passò la maggior parte della sua adolescenza a gironzolare per le strade del centro storico con l’amico Kubizek. Fatale fu il 1907, l’anno in cui fu diagnosticato un carcinoma mammario alla madre. Proprio qui subì le cure del medico ebreo Bloch (che non fu mai perseguitato), il cui studio è ancora visibile nelle vie del centro, anche se fu tutto inutile: dopo qualche mese, la donna morì, lasciando Hitler orfano a 19 anni. Ecco spiegato il motivo dell’amore hitleriano per la cittadina: era il simbolo della tanto amata madre e della nascita della passione artistica. Rimanendo nelle vie principali, si può notare, in uno dei tanti palazzi neorinascimentali, gli appartamenti in cui la famiglia Eichmann si trasferì nel 1914, e in cui Adolf passò la sua giovinezza. L’importanza di Linz fu sottolineata nel 1938, quando Hitler decise di pronunciare qui il suo primo discorso da Führer su territorio austriaco dopo l’annessione.Linz

7. Castello di Hartheim

A qualche chilometro da Linz, nella località di Alkoven, sorge lo splendido castello di Hartheim. Chi avrebbe mai immaginato ciò che realmente successe dietro alla sua facciata rinascimentale? I tedeschi se ne impadronirono nel 1938, a causa della sua posizione strategica, ma fu solo dal 1940 che divenne parte attiva del processo di sterminio. Difatti, fu uno dei sei centri predisposto per l’Aktion T4, ossia il programma nazista di eutanasia per le “vite non degne di essere vissute”: disabili, malati fisici o mentali, individui affetti da malformazioni o malattie genetiche inguaribili. I malati venivano estrapolati da case di cure o dalle loro famiglie, con la promessa di trasferirli in sanatori, mandati al castello e subito spediti nella piccola camera a gas lì presente. I cadaveri venivano poi disposti in bare sigillate, che venivano recapitate ai familiari, con l’invito non di non aprirle e con un certificato di morte falsificato. Tale orrore durò, fortunatamente, un solo anno: le famiglie, insospettite, iniziarono ad aprire le bare e videro la verità con i propri occhi, la chiesa locale si oppose e la BBC trasmise, in tedesco, ciò che realmente avveniva a Hartheim. Il castello si mantenne in funzione: fu sede anche dell’Aktion 14f13, programma per l’eliminazione fisica dei prigionieri inidonei al lavoro nei vicini campi di concentramento. In tutto, dal 1940 al 1944, il centro si vide responsabile di 30.000 vittime.Hartheim

8. Campo di concentramento di Ebensee

Concludiamo il nostro viaggio sempre in Alta Austria: ci troviamo sulle montagne che si affacciano sui laghi Ebensee e Traunsee. In questa amena località, sorge il campo di concentramento di Ebensee, nato come sottocampo di Mauthausen e come sostituto di Peenemünde (bombardato dagli alleati). Esso è scavato all’interno dei monti Hochkogel e Erlakogel ed è sviluppato in cunicoli e gallerie fino a 250 metri di profondità, scavati da alcuni detenuti di Mauthausen. Qui, gli internati, divisi in Kapos, manovali e operai qualificati, lavoravano alla costruzione di missili balistici V2, munizioni e ricambi per carri armati o armi. Le condizioni di vita erano fra le peggiori: oltre al freddo penetrante, spesso i prigionieri non possedevano nemmeno gli zoccoli (in dotazione negli altri campi), sebbene fossero costretti a lavorare fino a dodici ore al giorno, sotto le angherie delle SS. Il campo venne liberato il 7 maggio 1945 dall’esercito americano ma, poche ore prima, il comandante Ganz ricevette una soffiata da Berlino. Desideroso di non far scoprire ai nemici l’orrore di Ebensee, Ganz ordinò a tutti i prigionieri del campo, con un pretesto, di radunarsi all’interno della galleria principale, mentre, a loro insaputa, una guardia disponeva delle bombe. I detenuti, insospettiti dal comportamento cordiale del comandante (solitamente si rivolgeva loro in modo sgarbato e insultandoli), temporeggiarono all’esterno del campo e molte gallerie esplosero davanti ai loro occhi.

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