Futurama ha previsto l’estinzione delle acciughe: le nostre azioni potrebbero farla avverare?

Nella puntata 6×1 di Futurama viene affrontato il tema dell’estinzione delle acciughe e ad oggi potremmo non essere tanto lontani da quella realtà

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I piccoli pesci pelagici, come le acciughe e le sardine, stanno subendo numerose pressioni di pesca da parte dell’uomo, in aggiunta alle problematiche ambientali degli ultimi secoli: ce la faranno queste specie a sopravvivere o la puntata di Futurama potrebbe avverarsi?

Le acciughe in Futurama

Ancora una volta le nostre serie preferite ci sorprendono e ci fanno riflettere sulle nostre azioni, in particolare Futurama, di Matt Groening, tratta spesso temi molto cari all’umanità proiettandoli nel futuro, ma facendoci ben intendere che quello che vediamo nel 3000 in realtà dipende molto da quello che siamo e facciamo oggi.

La puntata 6×1 racconta che Fry, diventato ricco, compra all’asta per 50 milioni di dollari l’ultima scatola commestibile di acciughe (anchoveta) rimasta sulla Terra, dopo aver ricevuto la triste notizia che questi animali, che lui adorava mangiare sulla pizza, si sono estinti nel “lontano” anno 2200.

La possibile estinzione dell’anchoveta nel 2200, parrebbe sia stata causata da uno sfruttamento eccessivo a scopo alimentare (ovvero, se le sono mangiate tutte) da parte degli alieni del pianeta Decapod 10, la “gente” del Dott. Zoidberg. Nella nostra realtà non servono alieni venuti da chissà dove per depauperare le risorse del nostro pianeta, perché stiamo riuscendo a sovrasfruttare in maniera oltre limite gli stock di questi piccoli pesci pelagici: quanto è vicina, dunque, la loro scomparsa?

La pressione sugli stock ittici

I piccoli pesci pelagici, ovvero i pesci che vivono e nuotano nel mare aperto, sono molto diffusi in tutto il mondo, in particolare l’acciuga (Engraulis encrasicolus) si trova sia nell’oceano Atlantico, dalla Norvegia fino al Sudafrica, passando per il Mediterraneo e per il Mar Nero, sia nell’oceano Pacifico sulle coste del Sudamerica (Engraulis rigens). Oltre alle acciughe fanno parte dei piccoli pelagici anche le sardine (Sardina pilchardus), con cui spesso vengono confuse le acciughe, lo spratto (Sprattus sprattus) e altri. Solitamente sono specie gregarie e si trovano in gruppi molto numerosi, per questo vengono principalmente pescate con grandi reti a circuizione.

Fino a qualche tempo fa, non era ben noto lo status degli stock di questi pesci, essendo la pesca principalmente incentrata su animali di taglia maggiore; con lo sfruttamento di questi grandi organismi però, che iniziarono a scarseggiare, si è cominciati a pescare maggiormente anche i piccoli pelagici fino a farla diventare una pesca intensiva. Lo scopo di questa pesca non era solo alimentare, ma vennero impiegati anche per fare mangimi per animali da allevamento, soprattutto dopo l’avvento dell’acquacoltura.

Molti popoli iniziarono a basare la loro economia sulla pesca di questi pesci, in particolare proprio su quella delle acciughe, ma le diverse pressioni sugli stock iniziarono a mostrare i primi segni del sovrasfruttamento. L’esempio classico è il crollo dello stock dell’Anchoveta peruviana (Engraulis rigens), che portò al collasso l’economia della pesca locale. In breve, i pescatori continuarono a pescare intensivamente l’acciuga perché vedevano che c’era tanto pesce, senza accorgersi che in realtà lo stock era in enorme sovrasfruttamento; questa abbondanza di pesce era però dovuta ad un apporto di nutrienti in surplus dai fondali, e quando durante le stagioni de “El Nino” questi apporti terminarono, venne fuori la reale condizione dello stock e i pescatori non presero più neanche un’acciuga. Questi eventi di “crollo dello stock” tornano ad essere frequenti spesso, in particolare negli stock dei piccoli pelagici anche in altre zone del mondo, e la paura è che gli avvertimenti non bastino a fermare la pesca intensiva su questi piccoli animali.

Rischi per il futuro

La domanda quindi sorge spontanea: può l’uomo portare le acciughe alla totale estinzione se continua la pesca intensiva senza regolamentare lo sfruttamento? La risposta è forse. Se noi considerassimo solo la pesca intensiva come causa dell’impoverimento degli stock, non si arriverebbe mai all’estinzione della specie. Il prelievo non è sufficiente a farle estinguere ed è facile capire il perché: se anche noi utilizzassimo gli attrezzi più sofisticati per cercare di pescare tutte le acciughe del mondo, conoscessimo le loro abitudini per andarle a pescare proprio nelle zone di maggior abbondanza, non riusciremmo a pescarle tutte. Si arriverebbe ad un punto in cui i pesci rimasti sono talmente pochi da non essere rilevati neanche dai sonar militari, e quei pochi pesci potrebbero continuare a riprodursi e risollevare un po’ la popolazione (è anche per questo che a seguito dei crolli poi c’è sempre una piccola risalita dell’abbondanza).

Qual è il problema allora? Che questo tira e molla non può durare per sempre, e la pressione di pesca applica una forza selettiva sulle popolazioni abbastanza intensa che potrebbe forzare la sopravvivenza di esemplari troppo piccoli, non ben adattati o che non si incontrano per riprodursi.

Inoltre, la pressione di pesca non è l’unica ad operare sugli stock di questi pesci: sono ampiamente predate dai grandi carnivori, oltre che dall’uomo, e sebbene questi predatori stiano anch’essi scomparendo a causa dell’uomo, resta sempre una dinamica ecologica da considerare. Essendo i piccoli pelagici al centro della rete alimentare marina (specie intermedie) la loro abbondanza influenza anche i livelli inferiori, sia perché si nutrono essi stessi di plancton (soprattutto zooplancton), sia perché competono con altri organismi zooplanctivori: la loro scomparsa potrebbe stravolgere i delicati equilibri ecologici che legano le reti trofiche in molte aree del mondo.

In ultimo, ma non per importanza, c’è il cambiamento climatico che fornisce ulteriore preoccupazione per gli stock ittici: il mondo sta cambiando e i mari stanno subendo sbalzi nei parametri vitali per molte specie. La pressione di pesca si somma dunque alla difficile capacità di adattamento al cambiamento; e se quei pochi pesci che lasceremo in mare non riuscissero a sopravvivere per dinamiche ambientali? Allora probabilmente sì, in un futuro non troppo lontano le acciughe saranno talmente rare da vederle vendute all’asta a peso d’oro come le ha dovute comprare Fry, per poi alla fine non vederne più.

[immagine di copertina: cc.com]

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