Da Omero ai giorni nostri moltissimi sono stati i tentativi di reinterpretare il mito, le sue storie, i suoi personaggi. Ciò è avvenuto perché in ogni epoca si è visto il potenziale di quelle storie che, pur essendo il frutto di una cultura ben diversa dalla nostra, in realtà hanno molto da dirci. Probabilmente perché rappresentano quella stessa esistenza fatta di domande senza risposta, di azioni così consolidate quanto insensate, di gesti folli, dolori implacabili, amori impossibili che noi pure viviamo.
Penserete: Cosa c’entra tutto questo con De Chirico? Eccovi la risposta.

Quello che vedete è uno dei tanti quadri dedicati ad Ettore e Andromaca realizzato dall’artista. Qui la reinterpretazione del mito va oltre: diventa pura arte metafisica. A prima vista non c’è nulla che ci dica che questi due soggetti siano Ettore e Andromaca. Infatti quelli che troviamo qui rappresentati sono due manichini senza volto e senza braccia, che, oltre ad essere del tutto impersonali, si ritrovano anche ad essere collocati in una dimensione atemporale, aspaziale.
Che De Chirico abbia stravolto il mito? In realtà, per quanto se ne possa dire, qui l’artista ha reso, in una maniera unica nel suo genere, alcuni temi cardine della cultura omerica, come ad esempio il concetto di αἰδώς (aidos). L’aidos infatti, per chi non lo sapesse, è quel sentimento di vergogna, quella paura di perdere l’orgoglio, la reputazione che ai tempi di Omero era forse più importante dell’identità stessa. Tanto che secoli dopo Doods parlerà della cultura omerica come della cultura della vergogna, contrapponendola a quella della colpa, cioè la nostra. Tornando al concetto di aidos, questo sentimento si manifesta nell’ostinata volontà di Ettore nel partire a tutti i costi per la guerra.
«Infelice, la tua forza sarà la tua rovina; non hai pietà del figlio ancora bambino e di me, sventurata, che presto resterò vedova perché gli Achei ti uccideranno tra poco, assalendoti in massa; e se ti perdo, allora è meglio che muoia anche io; non ci sarà più conforto per me se il tuo destino si compie, solo dolore (…) » (Iliade, VI, 525-530)
Neppure queste parole dell’amata gli fanno cambiare idea. Questo senso così forte del dovere, che non gli permette di tornare sui suoi passi, trasforma Ettore in una sorta di automa, di manichino, appunto, che non ha vita propria, ma vive per gli altri. Va in guerra per non perdere la sua reputazione, per non perdere la fama, anche qui una qualità non sua, ma che gli deriva dagli altri. Lui che ha così tanta paura di “perdere la faccia” qui quasi ironicamente viene raffigurato senza. Ma il vero significato di questo viso spoglio è che Ettore ha perso tutto ciò che lo rendeva umano: la capacità di fare scelte che possono rivelarsi sbagliate, di dar retta al cuore e non solo al cervello.
Senza volto è anche Andromaca. Ma qui per un motivo differente: lei, che, come tante donne, viveva per il suo uomo, unica sua ragione di vita, adesso che ne è privata, sente su di sé un vuoto cosmico.
De Chirico infine ha saputo rendere il dramma insito non solo nella partenza in sè di Ettore, ma anche nell’ultimo abbraccio consolatorio mai avvenuto tra i due, rappresentandoli senza braccia. A voler dire che Ettore non potrà dare conforto e protezione ad Andromaca, destinata per sempre alla solitudine e alla perdita di tutti i suoi cari.
Eleonora Raso