Essere un Giornalista è una qualifica o qualità? Ci risponde Hunter Thompson

Sei un giornalista per carica o scrittura? È la domanda che attanaglia aspiranti e non ma Hunter Thompson, celebre giornalista americano, dà un’idea alternativa al giornalismo tradizionale. Riscontro del proprio operato? A giudizi contrastanti.

Cosa evocherebbe in te il pensiero di “cabotare“ su una decappottabile, tra luci cangianti, draghi/droghe e visioni esilaranti, alla volta di Las Vegas? Probabilmente penseresti di me come di un folle, narcotizzato e con scarse percentuali di sopravvivenza alla mezza età. Tutto questo è nientedimeno che il viaggio terapeutico a base psicotropa del noto giornalista americano Hunter Thompson: incaricato di redigere un articolo sulla gara motociclistica off-road Mint 400 e rivoluzionario del giornalismo.

Il Giornalismo Tradizionale va di traverso a gole attente

Hunter Thompson non era un semplice giornalista, nemmeno uno di quelli arzigogolati e complessi; ma quanto più vedeva il pensiero giornalistico tradizione, più gli saliva la dipendenza da etere e mescalina (limiti nell’elencazione posti da motivi di sintesi): al solo fine di raggirare la visione del degrado farsi concretezza. No, si tratta di una burla, almeno per quanto riguarda le motivazioni dell’assunzione…ma procediamo per gradi. Hunter era chiaro riguardo il giornalismo:

Non trovo nessuna soddisfazione nel vecchio, tradizionale pensiero giornalistico: ho solo descritto il fatto, ho solo dato uno sguardo neutro, ho solo trasmesso meri dati. La verità assoluta è un prodotto molto raro nel contesto del giornalismo professionale.

Da questa definizione, al proprio concetto d’informazione ne passa di differenza. Piuttosto che osservare l’onda infrangersi contro gli scogli e proseguire nella risacca, Thompson preferiva surfare il flutto e trarne delle sfumature uniche tramite cui innalzare la grandezza della natura. Metaforicamente parlando, è quanto succede nel giornalismo Gonzo, approccio alla scrittura adottato dallo stesso giornalista per la redazione dell’articolo sportivo, poi trasformatosi in un libro ricco di un’enciclopedia psichedelica e spunti sui modi di fare, cultura e assetto sociale della gente nel Nevada.

La notizia scritta sterilmente ,con semplice riporto dell’accaduto, e senza il sangue del giornalista che si fa fitto tra le righe da lui redatte; questa è quello che si può chiamare anche diversamente: l’harakiri del giornalismo.

La consacrazione del Gonzo journalism: Paura e Disgusto a Las Vegas

Tutto ha inizio da una delle diverse riviste per il quale lavorava Thompson, la Sports Illustratedfu incaricato di scrivere un articolo sulla corsa motociclistica che si sarebbe tenuta a marzo nel deserto alle porte di Las Vegas, la Mint 400. Il proprio polo di interessi lavorativi e non, si concentrava su diversi fronti; si tratta di un periodo durante il quale gli era stata deputata la redazione di un articolo per Rolling Stone: avrebbe dovuto trattare la morte del giornalista messicano-americano Rubèn Salazar, ucciso durante una protesta contro la guerra in Vietnam dalla polizia di Los Angeles. Ciò lo portò ad avviare dei contatti con l’attivista Oscar Zeta Acosta-interpretando nel romanzo il ruolo del compagno avvocato. Fu presa la decisione unanime di unire l’utile al dilettevole; decisero di discutere della vicenda una volta arrivati a Las Vegas, incamminandosi alla guida della “Grande Squalo Rosso”. Un viaggio costellato da terrificanti ruggiti, cielo colmo di enormi pipistrelli strillanti in continua picchiata sull’auto dei due avventurieri, e una gran dose di immaginazione sospinta da pillole colorate e integratori energetici endovenosi.

Principale scopo del viaggio? Alla ricerca del Sogno Americano: un luogo fisico, un’astrazione, una sensazione? Di questo si sa poco quanto niente ma sappiamo che è stato il carburante che ha trasformato il reportage in un caso letterario bello che seducente.

Cosa ne è stato della corsa motociclistica? Non esiste un resoconto del vincitore e dettagli sulla vicenda…non abbastanza dettagliato come sull’inventario farmacologico delle sostanze stipate nel bagagliaio dei nostri allegri professionisti:

mezzo litro di etere, due sacchi d’erba, 75 palline di mescalina, cinque fogli di acido, mezza saliera di cocaina oltre a rum, birre e tequila; tutto contemporaneo alla devastazione di casinò e suite d’hotel nel loro cammino verso una meta quanto più lontano dall’immaginabile.

Aveva tutto dell’incredibile, giunti al di là della clandestinità, tanto da pensare paradossalmente che ciò sarebbe stata proprio la loro salvezza:

Ormai era tutto finito. Avevamo violato tutte le norme che regolavano Las Vegas. Sfottendo gli abitanti, oltraggiando i turisti, terrorizzando il personale. L’unica speranza, pensavo, era la possibilità di avere talmente ecceduto, che nessuno che si trovava nella posizione di condannarci avrebbe creduto alla cosa.

Questo viaggio è stato ricco grazie al fallimento. Non c’è stato nessun reportage sportivo e le mani dei due avventurieri non avevano afferrato nessun Sogno Americano; nessun articolo o idea avrebbe potuto profumare di vittoria e leggerezza come lo era stato quel viaggio. Erano riusciti a raggiungere la vetta della montagna, senza aspettative e premi, ma questo li aveva resi grandi, grandi abbastanza da vedere quel Sogno come un onda che si spezza ed è destinata a ritrarsi inevitabilmente. Nessun successo è più grande delle esperienze vissute; sono sicuro che Thompson sarebbe lì ad approvare, sulla sua decappottabile con incerto stato di coscienza.

Cosa vuol dire stare sulla cresta del nuovo giornalismo?

Dimentica le ormai inflazionate categorizzazioni sociali: l’anarchico fa brutto; lo zingaro fa il furto.

Avere una propria stupida e disinformata idea sulla società, non ci rende giornalisti: l’opinionismo lasciamolo a Maria de Fillipi.  Parlare di Gonzo way significa scorgere la realtà senza edulcorazioni ma nemmeno scartavetrando il già fragile interesse del lettore ( sempre siano benedetti i disfemismi); l’informazione, in una società tecnologicamente avanzata, non è un dato freddo e bastante a sé: esso necessità di essere dissezionato, scomposto e infine analizzato. Non puoi rimanere inebetito davanti al telegiornale, mentre consumi la tua colazione e declassare quel momento d’informazione a un semplice rituale mattutino; un momento che ha come solo scopo quello di passare inosservato. È doveroso catturare, sconvolgere…assorbire la notizia come se fossi il protagonista della vicenda.

Il lettore ne ha forse qualche colpa? In parte no, non è colpa sua ciò che gli appare sui mezzi mediatici e non, ma lo diventa quando non impara a discernerne i quadri giornalistici.

Prendiamo come esempio il giornalismo etnografico Gonzo, nel momento che il giornalista si immerge in una realtà, magari con sfondo metropolitano, la scrittura d’inchiesta e la ricerca si confondono. Inizia tracciando un profilo in prima persona del contesto sociale e storico e gli dà un proprio smalto personale: da osservatore diventa partecipante.

Non si parla di giornalismo falsato ma di rappresentazione di una serie di realtà a noi distanti; l’immedesimazione è il primo passo che può fare il giornalista per far sentire il calore delle pagine a un lettore, anche se disattento.

I comunicatori dell’informazione possono diventare manipolatori e instillare dissidi dove ci sarebbero i presupposti per una connessione.

 

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