Un peggioramento della qualità del sonno in età avanzata potrebbe essere un segnale di un aumento di rischio di futura diagnosi di Alzheimer. Ne sono convinti i ricercatori dell’Università della California.
A ridosso della Giornata Mondiale dell’Alzheimer, il 21 settembre, vari studi sul ruolo del sonno negli anni che precedono la diagnosi sono in fase di elaborazione. I disturbi del sonno possono essere legati alla malattia? Se sì, come? Ne sono soltanto un sintomo precoce o hanno un ruolo ancora non chiaro?
Le Placche dell’Alzheimer
L’APP (Amyloid Precursor Protein) è la proteina precursore della proteina beta-amiloide ed è normalmente presente nel nostro sistema nervoso. Sono passati più di trent’anni da quando è stato scoperto il meccanismo che porta alla produzione della proteina beta-amiloide: la proteina precursore viene processata in modo aberrante e il risultato è che viene tagliata in frammenti più piccoli, uno dei quali è la beta-amiloide. La beta-amiloide ha la particolarità di essere particolarmente “appiccicosa”, caratteristica che porta alla formazione di grandi aggregati: le famose Placche dell’Alzheimer (o placche amiloidi). Queste placche si depositano e portano alla morte dei neuroni. Tutto ciò sta alla base dell’insorgenza del morbo di Alzheimer, la forma più comune di demenza.
Il ruolo del sonno profondo: pulizie a più non posso
Il sonno profondo non solo aiuta a sentirsi riposati, ma ha anche un effetto positivo sul cervello: durante il riposo, infatti, l’encefalo mette in moto un processo di depurazione e pulizia dalle tossine accumulate al suo interno, facendo scorrere il fluido cerebrospinale dentro e fuori dal sistema nervoso. Questa scoperta potrebbe avere delle importanti ripercussioni sulla lotta alle malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer, caratterizzate proprio dall’accumulo di sostanze tossiche nel cervello. Il liquido cerebrospinale (noto anche come liquor o liquido cefalorachidiano) è un fluido incolore e trasparente che diffonde nel sistema nervoso centrale e protegge il cervello e il midollo spinale da eventuali urti. Dormire male potrebbe quindi contribuire al rischio di sviluppare demenze? Dopo aver analizzato la qualità del sonno di 32 adulti sani dell’età di 60, 70, 80 anni, i ricercatori dell’Università della California si sono accorti che i volontari che iniziavano ad accusare un sonno più discontinuo e una minore quantità di sonno a onde lente (spesso indicato come “sonno profondo”) avevano maggiori probabilità di mostrare un aumento delle placche beta-amiloidi nel cervello nel corso dello studio. La correlazione tra qualità del sonno e accumuli amiloidi era talmente evidente, che è stato possibile prevedere i cambiamenti delle placche nel tempo solamente valutando la qualità del sonno, anche se nessuno dei volontari si è ammalato di Alzheimer nel corso della ricerca.
E il verdetto è…
Nello studio pubblicato su Current Biology, i ricercatori suggeriscono due parametri da tenere d’occhio: la quantità di sonno profondo non-REM (caratterizzato dall’assenza di rapidi movimenti oculari) e l’efficienza generale del sonno, ossia il tempo trascorso proprio a dormire, e non a fissare il soffitto. Insieme, questi due parametri, descrivono la qualità del sonno, che sembrerebbe essere legata alla salute, anche futura, del cervello. Se la scoperta fosse confermata, una maggiore attenzione al riposo notturno potrebbe aiutare nelle diagnosi precoci dei disturbi neurodegenerativi, e rivelarsi allo stesso tempo una forma di prevenzione relativamente facile da adottare. Inoltre, in base a uno studio condotto dai ricercatori dell’Imperial College London (UK), alcune delle persone che hanno un alto rischio genetico di sviluppare l’Alzheimer, hanno più probabilità di essere persone mattiniere e meno probabilità di soffrire di insonnia. Tuttavia, questa evidenza è stata riscontrata solamente nell’1% delle persone che sono state sottoposte allo studio: risultati deboli, che mostrano, per ora, solo un possibile collegamento tra queste condizioni.