Un commando di uomini armati ha eliminato uno dei principali scienziati appartenenti al vecchio programma nucleare iraniano.
L’omicidio mirato di soggetti ritenuti potenzialmente pericolosi per la sicurezza di uno Stato è una pratica diffusasi negli ultimi anni. Grazie al diritto internazionale si può analizzarne la legittimità come forma di legittima difesa preventiva.
L’omicidio di uno scienziato
A descriverla potrebbe sembrare una scena di un film d’azione, ma non è così. Un gruppo armato si è lanciato contro l’auto su cui viaggiava Mohsen Fakhrizadeh, ingaggiando uno scontro a fuoco di cui lo scienziato è rimasto vittima. Il fisico e militare iraniano era stato a capo del programma nucleare del suo Paese fino alla chiusura, avvenuta nei primi anni Duemila. L’agguato si è verificato ad Absard, una città sita a circa 70 chilometri dalla capitale Teheran. Immediata è stata la replica delle istituzioni iraniane, che tramite il ministero della difesa hanno parlato della vicenda come di un attacco terrorista. Il sospetto è caduto fin da subito verso il coinvolgimento di Israele nonostante il modus operandi del commando non corrisponda a quello del Mossad, i servizi israeliani. La fondatezza dell’accusa è stata confermata dalle dichiarazioni di tre funzionari dell’intelligence americana, che secondo il New York Times avrebbero dichiarato che dietro le quinte dell’attacco omicida ci sarebbe proprio la mano di Israele. Lo scopo sarebbe stato proprio eliminare uno dei soggetti di spicco del programma nucleare iraniano, da sempre temuto e indicato come pericoloso da Israele e Stati Uniti. Alla notizia hanno fatto seguito le parole pubblicate sul suo sito web dello stesso presidente iraniano Hassan Rohani, che additano Israele come Stato mercenario degli Stati Uniti.
Il targeted killing come strategia militare
Qualora le dichiarazioni del Times venissero confermate, ci si troverebbe di fronte a un omicidio perpetrato da uno Stato nei confronti di un membro di spicco del programma nucleare iraniano. La legittimità di tale azione è da ricercarsi nelle norme che regolano la pratica del targeted killing, ossia l’omicidio mirato. Nei fatti, si tratta di una forma di esecuzione capitale contro dei nemici percepiti come minaccia: se Israele avesse quindi ritenuto che Fakhrizadeh costituiva una minaccia a causa delle sue conoscenze tecniche e della sua collaborazione al programma nucleare, potrebbe aver deciso di eliminarlo tramite questa pratica. Storicamente il targeted killing è stato ampiamente utilizzato sia da Stati Uniti che da Israele, non senza ripercussioni a livello internazionale. Infatti le uccisioni mirate presentano diverse zone d’ombra per quanto riguarda la legittimità della loro applicazione dal momento che si tratta di eliminare fisicamente un individuo senza passare per alcuna procedura giudiziaria e in un contesto completamente diverso da quello del conflitto armato.
La legittima difesa preventiva
La principale giustificazione giuridica che gli Stati adducono per l’esecuzione di omicidi mirati è quella della legittima difesa preventiva. Materialmente si tratta di andare ad eliminare una minaccia prima che questa si presenti effettivamente e nel diritto internazionale è un principio esisteva già ben prima dell’entrata in vigore della Carta delle Nazioni Unite nel 1945. L’ambiguità nell’applicare questa norma nasce proprio a causa del suo discostarsi dalle disposizioni della Carta. Nel caso della legittima difesa ci si rifà all’articolo 51, che reputa questo diritto come “naturale” ed esercitabile solo in caso di attacco armato. Questa dicitura è la base della profonda spaccatura che esiste tra la Carta delle Nazioni Unite e il preesistente diritto alla legittima difesa, frutto del consolidarsi di consuetudini mai però cristallizzate da trattati internazionali. Infatti nel caso della legittima difesa preventiva non ci può essere per definizione alcun attacco armato che possa far scattare azioni compiute per legittima difesa. La questione risulta quindi quanto mai controversa: alcuni sostengono infatti che il diritto consuetudinario preesistente sia rimasto invariato nonostante le disposizioni della Carta ONU, mentre altri ribadiscono che il definire tale diritto come “naturale” sia solamente una formula enfatica per ricordare che la legittima difesa è connaturata all’esistenza stessa degli Stati. Nonostante la maggioranza della dottrina propenda per la seconda ipotesi non contemplando dunque la legittimità degli omicidi mirati in nome della legittima difesa preventiva, la continua applicazione di tale pratica da parte di alcuni Stati genera una zona d’ombra all’interno della quale si verificano ancora questi episodi.