Triangoli, paillettes e sfarzo stanno bene su tutto e sono gli ingredienti perfetti per una vita vissuta all’insegna di vanità e sregolatezza.
Attraverso il romanzo “Il piacere” e la canzone “Mi vendo”, scopriamo come il Dandy e l’icona del glam rock italiano siano riusciti a trasportarci in un una dimensione fatta di bellezza e provocazione, vivendo una vita senza regole e seguendo un unico credo: il piacere dell’eccesso. Attenzione però non è tutto oro quello che luccica ed anche i nostri due protagonisti, “dietro questa maschera” fatta di abiti e chili di cipria, nascondono “un uomo”.
L’EDONISMO DI ANDREA SPERELLI
Sulla scia di Lord Henry e il barone Des Esseintes, Andrea Sperelli si presenta a noi come un vero dandy, un esteta intellettuale dalle nobili origini che disprezza la borghesia e i suoi valori rappresentandone in qualche modo il fallimento. Educato all’arte e alla bellezza, il giovane trascorre le sue giornate presso i salotti aristocratici romani, accompagnandosi con la creme della città e coltivando un sogno: diventare un vero “principe romano”. È per questo che nel personaggio è possibile leggere D’Annunzio stesso che, a differenza dei suoi contemporanei francesi che reagirono alla decadenza cantandola, impose come supremo ideale quello della Bellezza, della sensualità e della raffinatezza, vestendo gli abiti del “superuomo” che realizza se stesso seguendo un’estetica personale in totale contrasto con la società. Dotato di una spiccata sensibilità, il nostro Andrea sembra però indossare una vera e propria maschera dietro la quale si cela un’insoddisfazione esistenziale, scaturita da una spasmodica ricerca di una vita condotta all’insegna della vanità e della ricerca del piacere assoluto.
RENATO ZERO, L’ANDREA SPERELLI 2.0
Nato a Roma nel settembre 1950, Renato Zero è indubbiamente una delle personalità più eclettiche e controverse del panorama musicale italiano. Amante della provocazione e icona del galm-rock, Zero ha incantato milioni di “sorcini” con i suoi testi dai profondi significati, abbelliti da una vanità degna di una bilancia che si rispetti. Ha conosciuto il successo nel 1977 con la traccia “Mi vendo” e già da lì si capì che sarebbe stato destinato a scrivere una delle pagine più belle della nostra musica pop, a suon di lustrini e tutine satin. Sull’interpretazione del testo ci sono numerose teorie: c’è chi dice che tratti della prostituzione maschile:
[…] Seguimi, io sono la notte il mistero, l’ambiguità io creo gli incontri, io sono la sorte, quell’attimo di vanità[…]
Chi invece ha pensato alla vendita della sua anima al diavolo:
[…] Mi vendo, la grinta che non hai in cambio del tuo inferno, ti do due ali, sai […]
O ancora chi ci he letto una critica al consumismo dilagante:
[…] Ti do quello che il mondo distratto non ti dà. Te lo vendo, e già a buon prezzo, si sa […]
Insomma dietro a quella maschera di eyeliner e lustrini, i lunghi capelli ricci e lo scollatissimo abito, Zero ha nascosto significati tutt’altro che banali portando in scena tabù e messaggi sociali di livello. Il brano fa parte dell’album “Zerofobia”, titolo che rimanda alla fobia di molti rispetto a al suo personaggio e tutto ciò che rappresenta, come la novità, la trasgressione, la provocazione. Fobia che però in men che non si dica si è trasformata in “Zeromania”.
NON È TUTTO ORO QUELLO CHE LUCCICA
È davvero questa la chiave della felicità? Andrea Sperelli ci dimostra come non basti vivere una vita nella bellezza per abitarla del tutto. La sua storia ci regala infatti un epilogo amaro: da un lato rimane senza amore e in preda alla disperazione, dall’ altro prende consapevolezza di aver sacrificato la sua intera esistenza alla ricerca di un qualcosa di irraggiungibile, il piacere assoluto. Quella di Sperelli è stata lungo tutto l’arco del romanzo, una figura sensibile ed esistenzialmente insoddisfatta a tal punto da sentire l’esigenza di nascondersi dietro abiti e lussuose abitazioni. Ma come dice Zero, “dietro questa maschera c’è un uomo”. Nel brano “La favola mia”, l’autore canta difatti l’amarezza di una vita vissuta in un’illusione creata dal sé, per paura di mettere a fuoco le problematiche e i bisogni della vita reale. Si tratta, in breve, della non volontà di squarciare il velo di Maya, preferendo rimanerne al di qua e vivere in una tanto bella quanto precaria illusione cercando di scappare dalla vita:
e mi trucco perchè la vita mia, non mi riconosca e vada via
In sostanza la “vita vissuta come un’opera d’arte” non è altro che un’illusione ben vestita, truccata e scintillante, che nasconde una verità buia e di stracci.