Qual è il rapporto tra poesia e industria e come esso si è evoluto nel mondo delle aziende?
Per quanto sarebbe bello pensare che la poesia ti possa far guadagnare tanto da riuscire a viverne, la realtà con cui si scontra rivela una sorta di insostenibilità economica della poesia -si pensi alla famosa frase “con la cultura non si mangia”- allora bisogna invece domandarsi quanta poesia noi mastichiamo ogni giorno senza esserne consapevoli, fatta così bene da confondersi, pensata da poeti solenni, sommi, per certi versi.
Le parole coniate dai fabbri della parola
Uno dei settori in cui il fare poesia si è visto più volte chiamato in causa è proprio quello della creazione lessicale. Sono note innanzitutto le creazioni dannunziane che si sono inserite perfettamente all’interno del loro contesto d’uso.
Si pensi al classico esempio del tramezzino, che indica quello spuntino a “tramezzo” fra la colazione ed il pranzo, poi la Rinascente, e ancora scudetto, creato sempre da D’Annunzio nel 1920, a seguito di una partita giocata da una selezione di soldati italiani contro una squadra di residenti a Fiume. Dal 1924 si impose anche sulle magliette della serie A.
Altri “onomaturghi” sono stati Dante, con espressioni come “stai fresco”, usato per indicare i peccatori immersi nel lago di ghiaccio del Cocito, o “non mi tange”, nel secondo canto dell’Inferno, poi abbiamo Leopardi con la parola “erompere” ed altre, Boccaccio, o persino Jonathan Swift che, nel suo romanzo “Le avventure di Gulliver” chiama una razza di creature mostruose “Yahoo”. Eppure tutti questi scrittori non hanno confezionato parole con una finalità di marchio o vendita, quindi intersecandosi con le aziende. La pubblicità infatti, rende manifesta la sua necessità, e tendenza, alla creazione di motti, facilmente memorizzatili e replicabili su vasta scala.
La poesia nell’industria
Nella società contemporanea va molto di moda utilizzare anglicismi per segnalare fatti che spesso più che nuovi assomigliano alla novità ed è questo il caso del “branded content” che coinvolge numerosi creativi. Il connubio tra arte e industria ma soprattutto poesia e industria fa capo ad un filone per certi versi molto italiano. Molto di questo si deve alla fabbrica Olivetti di Ivrea che, tra i suoi impiegati contava un numero molto alto di intellettuali e letterati.
Per rendere più concreto il discorso è necessario elencare qualche nome di coloro che hanno contribuito a rendere il marchio Olivetti un esperimento vincente, troviamo nomi come quello di Sinisgalli, poeta ingegnere peraltro, categoria di cui ci occuperemo nel paragrafo successivo, Franco Fortini, Giovanni Giudici a cui si deve la campagna pubblicitaria degli anni ’70 della macchina da scrivere “Valentine”. Riportiamo anche il testo, con venature poetiche, che compariva sul manifesto pubblicitario: “Spiegami il paradosso/ del tuo guscio rosso/che ti porti addosso./Rossovivo rossobandiera/ rossomagenta rossocardinale/ Un rosso particolare? / Rosso Valentine”.
Altre sono state esperienze nel mondo dell’industria italiana come quella di Vittorio Sereni che lavorava per la Pirelli, e lo spot realizzato per la Fiat da Massimo Bontempelli sull’automobile 522, scrivendo addirittura un breve romanzo a partire dall’esperienza del futurismo. O ancora il nome stesso della Giulietta, ripreso da Giulietta e Romeo, in un gioco lessicale proprio tra il nome della casa automobilistica e l’opera.
Del resto che cos’è la letteratura? Dobbiamo ricercarvi figure retoriche, schemi rimici precisi perché questi testi diventino letterari? È un confine labile e si può dire che la pubblicità ci abbia giocato a lungo.
L’industria in poesia
È interessante notare d’altro canto come la poesia sia riuscita a fare anche il percorso contrario, quindi entrare nell’animo di personaggi che non avevano inclinazione verso l’arte letteraria.
Ricordiamo l’esperienza di due figure importantissime per il novecento dunque quella di Carlo Emilio Gadda e Primo Levi. Il primo ingegnere, il secondo chimico industriale. Al di là delle esperienze personali, ciò che conta in questa sede sottolineare è come i loro percorsi di studi non abbiano minato alla loro capacità poetica che anzi è riuscita a divenire magistrale proprio a partire da questi presupposti.
Banalmente, tra questi uomini senza lettere, si potrebbe pensare anche allo stesso Leonardo da Vinci, a Svevo, lo stesso Sinisgalli alla Olivetti.
La letteratura mostra ulteriormente di non avere confini sebbene questa sua pervasività comporti una serie di complicazioni, tanto da rendere sottile il filo che separa i due ambiti.