È davvero impossibile essere un supereroe nel mondo reale? Ce lo spiega Tony Stark

Chi non ha mai desiderato di avere in casa un’armatura come quella di Iron man? Con il seguente articolo analizziamo la reale possibilità di costruirne una.

Armatura
Immagine presa da https://static.nexilia.it/mangaforever/2016/12/Life-size-Motorized-Iron-Man-Armor-Mk.43-by-The-Toys-Asia-Featured-image-672×372.jpg

Sin da bambini siamo stati abituati a pensare ai supereroi come gente in grado di fare qualcosa di assurdo grazie a poteri sovrannaturali. Alcuni di loro, tuttavia, sono persone comuni che si basano sull’ausilio di attrezzature che permettono loro di essere straordinari, ne è un esempio Tony Stark.

Il mito

Tony Stark (a.k.a. Iron Man) è un genio, miliardario, playboy, filantropo, ed anche un supereroe il cui potere sta nell’ingegno. Egli è riuscito a costruire un reattore nominato ARC che alimenta un’armatura a dir poco spettacolare. Iniziando con un primo prototipo rudimentale (MARK I) al fine di salvarsi dalla prigionia da parte di un gruppo di terroristi, fino alla Mark LXXXV, armatura con cui sosterrà il suo ultimo combattimento utilizzando le gemme dell’infinito. Oltre al vuoto nei cuori di tutti i fan del MCU dovuto alla sua scomparsa, rimane il dubbio: “E’ realmente possibile costruire un prototipo MARK?”. La risposta è: non ancora.

Alimentazione dell’armatura

I principali punti critici stanno nell’alimentazione, nella comunicazione con l’armatura e nel volo. L’armatura ideata dal personaggio è costruita in oro e titanio ed in principio era alimentata da un reattore basato sull’isotopo 103 del palladio e su reazioni di fusione fredda, il quale sarà in seguito sostituito (a causa di effetti velenosi causati sul corpo ospitante) con un elemento pesante stabile non realmente esistente ‘creato’ da Tony, il tutto effettuato nel suo laboratorio con un mini acceleratore di particelle. La fusione nucleare fredda è un particolare tipo di reazione nucleare che avviene a temperature e pressioni approssimativamente standard. All’atto pratico entrambi i tipi di alimentazione (fusione fredda con palladio come catalizzatore e utilizzo di un elemento superpesante) risultano impossibili da ottenere, soprattutto dalle dimensioni di qualche centimetro.

Gli elementi superpesanti scoperti non sono pienamente stabili, e quello utilizzato dal personaggio è un elemento superpesante specifico che rientra nell’isola di stabilità, ovvero una lobby di elementi che condividono come caratteristica un’inaspettata stabilità dovuta ad una particolare combinazione numerica di protoni e neutroni. L’armatura inoltre dovrebbe ricevere energia elettrica, tuttavia all’atto pratico non vi è alcun convertitore di energia (tantomeno bobine o accumulatori) affiancato al reattore che possa permettere questo genere di conversione; ne risulta che se dovessimo riprodurre un’alimentazione analoga a quella del fumetto/film, in realtà dovremmo affiancare all’armatura stessa qualcosa di ben più grande di un cilindro azzurro fluo posto al centro del petto.

 

Tavola da disegno reattore ARC
Tavola da disegno CAD del reattore Arc mk2. Immagine presa da: https://cutewallpaper.org/download.php?file=/21/schematics-wallpaper/iron-man-schematics-infomalang.co.jpg

Paragone con gli esoscheletri odierni

Analizzando il peso dell’armatura, esso sarà sicuramente non indifferente, di conseguenza sarà necessaria una certa quantità di energia anche soltanto per muoverla. In questo modo si arriva dunque ad analizzare quello che è un campo già ampiamente studiato: quello degli esoscheletri.

In questo caso lo scopo dell’esoscheletro sarebbe prettamente militare più che medico, e come esempio per comprendere il meccanismo generale possiamo affidarci all’esoscheletro militare russo Ratnik (guerriero), già testato in condizioni di combattimento in Siria. Si tratta di una ‘tuta’ passiva (non basata su batterie) che mediante l’ausilio di molle, pesi o altri componenti meccanici scarica il peso a terra.

Esoscheletro Ratnik
Esoscheletro Ratnik. Immagine presa da: https://www.facebook.com/madeinrussianfederation/posts/russian-passive-exoskeleton-k2-which-will-be-integrated-into-the-next-generation/1130595847094103/

Componenti elastici

Le molle in particolare sono degli oggetti capaci di ‘immagazzinare’ energia, rendendola disponibile in un momento differente per agevolare il soggetto durante lo sforzo. Ciò che avviene microscopicamente equivale ad un accumulo di energia potenziale mediante lo ‘stiramento’ dei legami intermolecolari. Ciò che avviene macroscopicamente (entro il limite della deformazione elastica) è invece spiegato dalla legge di Hooke, la quale cessa di avere una validità generale nel momento in cui lo sforzo a cui è soggetta la molla supera il limite elastico (Rp02) e si entra nel campo delle grandi deformazioni, in cui non basta rimuovere il carico per permettere alla molla di tornare alla sua forma iniziale in quanto la deformazione è ormai decisiva. Anche in caso di invecchiamento la legge di Hooke può cessare di avere validità generale.

Le molle d’acciaio sono generalmente caratterizzate da una quantità di Silicio alta (tra 0.25% e 2%) ed anche di Carbonio (tra 0.4% ed 1%). Le percentuali elevate di Silicio e Carbonio hanno effetto sulla curva sforzo-deformazione: Avvicinano Rp02 ed Rm, portando il rapporto Rp02/Rm a circa 0.85. Ad avere una certa rilevanza ai fini dell’aumento del tratto elastico è anche il rinvenimento effettuato a 450°C a seguito della tempra.

Esoscheletri attivi

Grazie all’assenza dei servomotori e dei sensori vari presenti invece negli esoscheletri alimentati, il peso della struttura degli esoscheletri passivi diventa estremamente ridotto (fino a meno di 8 kg). Esistono al mondo anche esoscheletri alimentati molto evoluti, come l’HULC (tra i 3 esoscheletri robotici ‘posseduti’ dal Pentagono), che possiede un computer di bordo, si basa su un telaio in Titanio e permette i movimenti mediante l’utilizzo di booster idraulici attivi, i quali permettono il sollevamento di un peso (più precisamente potremmo dire “di una massa”) di 90 kg senza alcun problema, a fronte dei 45 kg trasportabili per vari km mediante l’ausilio del prototipo russo. Naturalmente il peso sale vertiginosamente e la durata di una ricarica non supera le 24 ore. L’autonomia rende dunque il prototipo Ratnik il più funzionale tra gli esoscheletri finora sviluppati.

Sfida alla gravità

Analizzando l’armatura dei film notiamo che il supereroe riesce a volare mediante piccoli propulsori posti sotto i piedi e sui palmi delle mani, il che nella realtà risulta impossibile per una questione (principalmente) di spazio, seguita dall’eccessiva energia termica liberata in posti vicini alla pelle (per un propulsore americano ad H2O2 il calore liberato è circa 2500 kJ/kg), con conseguenti bruciature. E’ tuttavia possibile porre dei propulsori attorno alle braccia ed alle gambe, accompagnati da un jetpack alle spalle, tali da consentire il volo del soggetto. Per quanto riguarda invece l’alimentazione dei propulsori, ci possiamo basare sui dati degli esperimenti americani effettuati. Il motivo principale di ricerca è stato quello di verificare l’utilità dei jetpack, che ha portato a concludere che gli elicotteri sono più funzionali.

Nello specifico il motore è alimentato a perossido di idrogeno più puro possibile (>=90%), basandosi sulla sua reazione di decomposizione. Il perossido di idrogeno si presenta come liquido relativamente stabile, ma a contatto con un catalizzatore come l’argento tende a decomporsi in vapore molto caldo (circa 740°C) ed ossigeno, il tutto in un tempo davvero ridotto (<0.1 ms), con un aumento del suo stesso volume di 5000 volte. Lo svantaggio principale di questo tipo di propulsione è la limitata quantità di carburante che può essere trasportata, tuttavia permette di sollevarsi da terra di parecchie centinaia di metri. Notevole quella volta in cui un pilota di un American 1997 sfiorò un uomo che stava utilizzando un jetpack a 900 metri d’altezza da terra. (Los Angeles, 30/08/2020).

Uomo in volo durante il test di un jetpack
Uomo in volo durante il test di un jetpack. Immagine presa da https://www.hwupgrade.it/news/scienza-tecnologia/jetpack-e-moto-volanti-sono-il-futuro-si-secondo-tim-draper-investitore-di-tesla-e-spacex_94390.html

Materiali utilizzabili

Dal punto di vista della realizzazione l’armatura potrebbe essere ottenibile con qualche lega leggera ma resistente e dovrebbe avere caratteristiche principali quali:

  • Elevata duttilità;
  • Alto punto di fusione (oppure rischieremmo di vedere sciogliere pezzi di armatura dopo il primo istante di reazione nel propulsore);
  • Bassa conducibilità termica (almeno nelle zone con i propulsori);
  • Elevata resistenza a corrosione;
  • Bassa densità (altrimenti sarebbe necessario sempre più lavoro svolto dai propulsori per far alzare l’armatura da terra);

Basandoci su materiali di uso più comune come le leghe Ferro-Carbonio, troviamo l’impossibilità di utilizzare le ghise per via dell’elevata percentuale di carbonio (>2.11%) che porta ad un abbassamento del punto di fusione ed un aumento della fragilità (in contrapposizione naturalmente con l’elevata duttilità richiesta). Analizzando invece materiali comunemente meno utilizzati troviamo il Titanio con le sue leghe, soprattutto per quanto riguarda la lega Nichel-Titanio (Nitinol). Quest’ultima (nonostante una conducibilità termica non indifferente) affiancata a materiali compositi (come la fibra di carbonio) permette di ottenere strutture con caratteristiche formidabili. Il nitinol è stata una delle prime leghe in cui si è notato un effetto particolarmente raro: la memoria di forma.

Leghe SMA ed armi

Anche chiamate ‘leghe SMA (Shape Memory Alloys)’, le leghe a memoria di forma possono tornare alla forma prestabilita se deformati, il tutto mediante un semplice surriscaldamento. Il nitinol non è la sola lega a possedere questa caratteristica, ma è possibile trovarla in alcune specifiche leghe del rame o del ferro, alcune molto più economiche delle leghe di titanio, come quelle tra Cu-Zn-Al e Cu-Al-Ni. Sicuramente siamo ancora distanti dalla nanotecnologia della Mark LXXXV secondo cui la microstruttura cambia in base al pensiero di chi indossa l’armatura, con conseguente mutazione della macrostruttura.

Per quanto riguarda invece le armi incorporate non siamo molto distanti da quelle rappresentate nel Multiverso Marvel. Risulta possibile inserire armi a proiettili, piccoli lanciafiamme o piccoli razzi parzialmente guidati da un’intelligenza artificiale che ricordi anche lontanamente la nostra amata Jarvis. La principale questione starebbe nel comando che parte dal soggetto e che arriva all’intelligenza artificiale, in quanto ciò sembra essere svolto attraverso il pensiero. Si parla dunque di elettroencefalografia, la quale tuttavia al momento non fornisce certezze o elevata affidabilità.

Ci sono speranze?

In conclusione con le attuali tecnologie risulta impossibile ottenere un’armatura autoalimentata del genere, ma è comunque un risultato non definitivo, il che lascia speranze ad ogni bambino dentro di noi di poter vedere prima o poi un sogno fantascientifico trasformarsi in realtà.

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