Dante e Maometto: vediamo le incredibili somiglianze tra “La Divina Commedia” e i testi islamici

“La Divina Commedia” è l’opera più grandiosa della nostra letteratura.

Una raffigurazione di Dante perso nella selva oscura posta all’inizio del poema (Google)

E’ sorprendente la comunanza tra la più grande opera dantesca e i testi inerenti il viaggio nell’aldilà di Maometto.

La scoperta di analogie tra “La Divina Commedia” e i testi islamici

E’ vero che Dante, per scrivere “La Divina Commedia” attinse dai testi islamici, allora considerati eretici?
La prima incredibile ricerca sull’argomento risale al 1919, e venne pubblicata dall’abate arabista spagnolo Miguel Asin Palacios.
Tra il viaggio nell’Aldilà compiuto da Dante e la sua guida Virgilio e i testi islamici, infatti, vi sono molte analogie.
I dantisti pensarono che le “coincidenze” fossero da attribuire alla comune origine delle due religioni bibliche.
I critici parlarono di “convergenza letteraria e psicologica”: partendo da principi comuni, la psiche umana sviluppa storie simili.
Per altri esperti le analogie avevano sì qualcosa di incredibile, ma ma non c’era prova che quei testi fossero arrivati tradotti al tempo in cui visse Dante.

Nel 1949 gli studiosi Enrico Cerulli e Munoz Sendino trovarono, a loro parere, la prova dell’influenza della tradizione islamica sull’opera di Dante.
Essi scoprirono il “Libro della Scala”, il racconto dettagliato del viaggio di Maometto nell’aldilà fatto tradurre da Alfonso X il Savio dall’arabo al castigliano.
L’esule Bonaventura da Siena si occupò, invece, della traduzione in latino e francese.
Difficile che il maestro di Dante, Brunetto Latini, alla corte di Alfonso il Savio, non avesse familiarizzato con Bonaventura da Siena, suo conterraneo, senza venire a conoscenza del “Libro della Scala”.
E quindi non è così impossibile che ne avesse parlato con il suo allievo Dante Alighieri, in procinto di scrivere il suo incredibile viaggio nel regno dell’aldilà.

Raffigurazioni di Dante, a sinistra; e Maometto, a destra (Google)

Dante e Maometto a confronto

Sia Dante che Maometto partono di notte e raccontano il viaggio in prima persona.
Entrambi hanno una guida incaricata da Dio: Virgilio per Dante e l’Arcangelo Gabriele per Maometto.

Impressionanti analogie vi sono fra il Paradiso di Dante e quello visto da Maometto.
Un esempio? La scala d’oro utilizzata sia da Maometto sia da Dante per salire in Paradiso deriverebbe dall’episodio biblico del profeta Giacobbe che sognò una scala che portava in cielo e a Dio, con un via vai di angeli.
Colori, luci, musica e canto sono elementi comuni a entrambe e gli angeli, ordinati gerarchicamente in cerchi concentrici, circondano il trono divino con un movimento circolare (la dantesca “dolce sinfonia del Paradiso“).
La luminosità del Paradiso è la nota predominante in entrambi i testi.
Le donne e i fanciulli accompagnano i giusti.
Sia Maometto che Dante, in prossimità di Dio, vengono investiti da una luce abbagliante che fa loro temere di restare accecati.

L’Inferno dantesco

“La Divina Commedia” è divisa in 3 cantiche: Inferno, Purgatorio e Paradiso.
L’Inferno, però, è il regno più affascinante e avvincente di tutti.
Con la sua atmosfera di dolore e i condannati alle pene eterne, Dante ha saputo dipingere un mondo ultraterreno davvero inquietante.
Esso è suddiviso secondo una precisa logica morale derivante dall’Etica Nicomachea di Aristotele.
Ha una forma di cono rovesciato e più ci si avvicina al fondo, dove è collocato Lucifero, più i peccati commessi in vita dai dannati sono gravi.
L’Inferno è stato creato da Lucifero stesso. Quando Dio lo cacciò dal Paradiso, la Terra si aprì per non venire in contatto con quell’essere demoniaco e l’angelo caduto si conficcò al fondo della voragine creatasi.
Lucifero si trova nel punto in assoluto più lontano da Dio e immerso fino al busto nel lago infernale Cocito.
L’Inferno è quindi una profonda cavità a forma di imbuto che si apre sotto Gerusalemme e raggiunge il centro della Terra.
I peccatori sono puniti secondo la pena del contrappasso: i peccatori sono colpiti da una punizione che è in opposizione o in analogia alla loro colpa commessa sulla Terra.

L’Inferno è composto da 9 cerchi. Dante e Virgilio percorrono il loro cammino scendendo lungo i gironi.
Più si scende più i cerchi si restringono.
I cerchi più grandi si trovano più in alto perché più diffuso è il peccato e maggiore è il numero dei peccatori. Più si scende e maggiore è la gravità del peccato punito.
“L’imbuto infernale” è così suddiviso:
– porta dell’Inferno; ignavi; Acheronte; Limbo
– incontinenti
– violenti
– fraudolenti (Malebolge)
– traditori
– Lucifero

Una raffigurazione di Dante e Virgilio che osservano Lucifero (Google)

L’Inferno islamico

Il “Libro della Scala”, scritto prima del “La Divina Commedia”, presenta le maggiori somiglianze nella parte dedicata all’Inferno.
Maometto descrive l’Inferno come un grande imbuto a cerchi concentrici che sprofonda fino al centro della Terra e dove i dannati sono disposti secondo la gravità dei loro peccati.

Le Malebolge di Dante si ritrovano nel “Libro della Scala”; per esempio con gli episodi dei ladri avvolti nei serpenti e dei fraudolenti nelle fiamme.
La città di Dite e il basso Inferno vengono descritti da Dante allo stesso modo del testo arabo: ci sono case infuocate circondate da fortificazioni, diavoli che girano intorno alle porte ed è da una porta principale che si scende nel basso Inferno.
Anche nel componimento islamico troviamo l’applicazione della pena del “contrappasso.
Le categorie di dannati che Maometto osserva da vicino sono 5:
– i seminatori di discordia, a cui vengono tagliate labbra e lingua con forbici di fuoco
– disseminatori di falsa testimonianza (puniti come i seminatori di discordia);
– gli adulteri, appesi per i genitali;
– le prostitute, attaccate con il sesso a tronchi infuocati;
– i ricchi pieni di superbia che ardono nel fuoco.

La descrizione islamica dell’Inferno deve quindi aver colpito Dante per la violenza e la concretezza, diventando fonte di ispirazione per il suo più grande poema.
Nell’Inferno Dante avrebbe quindi mantenuto lo schema della pena che riflette la natura della colpa.

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