Dal genocidio armeno alla vendita di neonati di Yerevan: quando la comunicazione è fittizia

La storia si ripete? Sì, ma con sfaccettature sempre differenti. Neonati venduti e un traffico Armenia-Italia con 30 bimbi sottratti alle famiglie

Rifugiati armeni su una spiaggia nel 1915

In Armenia, durante la prima guerra mondiale, c’è stato uno dei più terribili genocidi della storia: uno “sterminio dimenticato” e a farne le spese sono stati soprattutto donne e bambini, venduti come schiavi. Oggi a Yerevan i neonati si vendono, ma con un escamotage più fine e manipolatorio.

Manipolazione

“Signora, il suo bambino è nato con una gravissima malformazione e necessita di cure costose e continue”. Si sono sentite dire questo una trentina di donne armene, che sono state costrette, mediante la menzogna e il raggiro, ad abbandonare in ospedale il proprio figlio per darlo in adozione. Medici e infermieri complici, una rete di traffico internazionale amplissima che porta fino in Italia. Il Servizio Nazionale di Sicurezza armeno ha aperto a Yerevan, la capitale della Repubblica Armena, un fascicolo che ha portato alla devastante scoperta di una rete che facilitava l’adozione internazionale di bambini. Un orribile traffico di neonati provenienti dal paese caucasico e diretti anche in Italia. Ad oggi, sono almeno trenta i piccoli che finora sarebbero stati sottratti alle famiglie di origine con l’inganno. In pratica alle famiglie particolarmente in difficoltà, veniva detto che il neonato avesse una grave malformazione e questa terribile comunicazione data dai medici al padre e alla madre del bambino incentivava le coppie a darlo in adozione.

Nel traffico-scandalo armeno di neonati c’è una rete di collegamento anche con l’Italia

Una rete di traffico internazionale

Inoltre, il personale medico e infermieristico faceva pressioni psicologiche alle famiglie, dicendo loro che le cure per il bambino malformato fossero troppo alte da sostenere e che l’adozione fosse la scelta migliore e più oculata. Nel frattempo, in totale violazione alle leggi in vigore in Armenia, burocrati, in accordo con i medici, facevano carte false per spedire via dalla loro città natale questi neonati. Il primo caso accertato risale perfino al gennaio di quest’anno e la polizia ha confermato che finora sono stati arrestati due cittadini armeni che usavano i loro contatti in ambito ospedaliero e sociale per far sì che questo terrificante traffico raggiungesse l’obiettivo concordato. La questione tocca da vicino anche l’Italia, sempre in stretti rapporti con l’Armenia sin dal primo conflitto mondiale: la polizia ha avvertito gli organi preposti dicendo loro: “Lo scopo per cui i bambini sono stati adottati o sono caduti nelle mani di trafficanti di organi non è ancora chiaro. Per questo caso è stata già attivata una Commissione apposita e incaricata di ulteriori investigazioni”.

La città di Mardin, oggi in Turchia, nella regione dell’Anatolia Sud-Orientale

Tra ieri ed oggi

Come abbiamo visto all’inizio, la storia si ripete, sì, ma in maniera differente. Il traffico illegale di donne e, soprattutto, bambini non è cosa nuova a Yerevan e dintorni e il genocidio armeno durante la Prima guerra mondiale ne è un esempio lampante. Ci troviamo a Mardin, nell’ottobre del 1915, quando lo sterminio armeno da parte del gruppo unionista-nazionalista dei Giovani Turchi sembrava ormai concluso. Il turco Bedreddin, intanto, diceva: “Spazzateli via, e che non ne rimanga nemmeno uno”. L’idea era quella di estirpare alla radice ogni presenza armena (e cristiana) in tutta la nazione. A farne le spese tanti uomini deportati, ma anche donne, alle quali venivano strappati i loro figli per salvarli da una morte sicura. I curdi, inizialmente alleati dei Giovani Turchi, erano alla testa di questo fiorente commercio di esseri umani, utilizzando metodi definiti “medioevali”, con donne che finivano o a servire un padrone musulmano o a diventare dei veri e propri oggetti sessuali. Diversa sorte per i neonati e i bambini tra i quattro e i sei anni, i quali, in piazza, venivano venduti al miglior offerente proprio come se fossero oggetti, o meglio “agnelli”. Molto spesso, infatti, si sceglievano i bambini, li si pagavano quanto un agnello e, direttamente dalle carovane, venivano strappati in modo barbaro dalle braccia delle madri.

Per la totalità di bambini e donne sopravvissute sono solo ricordi carichi di violenza e dolore atroce. Per la totalità delle madri di oggi, nel 2019, vedersi strappare dalle mani un neonato appena partorito è la stessa eco di un urlo di una madre del 1915. Oggi abbiamo tutti i mezzi di comunicazione per far sì che questi eventi non cadano nel dimenticatoio e che il gemito e la paura di essere dimenticati (con la complicità turca nel voler nascondere la terribile strage di inizio XX secolo), come accaduto al milione e mezzo di morti nel genocidio in Armenia, non divenga più realtà.

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