È di qualche ora fa la notizia di un malfunzionamento generale delle piattaforme digitali maggiormente utilizzate tra cui spiccano i due colossi di Zuckerberg, Facebook e Instagram. Dal Nord Italia all’Olanda, passando dall’Est Europa e approdando in Francia e Inghilterra, numerose sono state le segnalazioni di blackouts totali e problemi di caricamento che hanno gettato nel panico la rete. L’allarmismo generato da un guasto temporaneo -e senz’altro risolvibile- è emblema di una realtà 2.0 sorretta dai fili invisibili della rete, che tutto crea e tutto unisce: un’alterazione degli equilibri ormai connaturati porterebbe a un salto nel vuoto di portata incommensurabile. Lo specchio di una società che necessita di stampelle digitali per camminare nel mondo reale è fornito dai meccanismi repressivi adottati da potenze nazionaliste come la Cina e la Corea del Nord. Due stati profondamente diversi, ma legati al contempo nell’intreccio della storia sin dai tempi delle guerre sino- giapponesi, quando la Corea divenne una zona cuscinetto in grado di garantire la separazione dei due stati in conflitto, salvo poi essere usata dai nipponici per penetrare nel territorio del dragone e infine trasformata in mostro erma bifronte dal 38esimo parallelo, con il Nord legato ai Cinesi e ai Russi e il Sud legato al Giappone e gli Usa. Da quel momento la dittatura nord coreana ha visto un netto irrigidimento al pari dell’autoritarismo cinese, ed è qui che le strade delle due potenze si incontrano per la seconda volta con una politica di controllo digitale più soft in Cina, molto più rigida nella dittatura di Kim jong-un. Colpita spesso da sanzioni internazionali, la Corea del Nord ha perpetrato una politica isolazionista attraverso un controllo spietato dei mezzi tecnologici al punto da non consentire alla stragrande maggioranza della popolazione l’accesso alla rete: un provvedimento che manifesta da un lato la crudeltà di un regime talmente oppressivo da aver plasmato una società fantasma, dall’altra l’attenzione certosina che i potenti manifestano nei confronti della rete.
Le proteste di massa organizzate in Iran mediante l’uso dei principali social hanno acceso infatti un campanello d’allarme, dimostrando il ruolo di prim’ordine che la diffusione di informazioni via internet può svolgere nel processo di democratizzazione globale. D’altra parte l’apertura ad un mondo completamente digitalizzato ha portato con sé nuovi rischi per la sicurezza generale, che derivano in parte da attacchi sporadici affidati alla cyber criminalità, in parte da attacchi di origine politico-militare mirati a determinati organi e istituzioni. Una tra le sigle più significative è quella di Anonymous, un gruppo che si è distinto nel corso del tempo per la sua capacità di violare piattaforme e siti di ogni genere, mostrando una friabilità preoccupante in grado di mettere in crisi i più grandi esperti informatici.
Immaginando un futuro distopico non troppo lontano dalla realtà, occorre domandarsi cosa accadrebbe in caso di un blackout totale causato da un attacco informatico mirato. A questa domanda risponde il celebre scienziato e filosofo cognitivo Dan Dennet che afferma: ‘Cerchiamo almeno di prepararci a sopravvivere per le prime 48 ore di caos e paralisi totale. L’11 settembre sembrerebbe un episodio minore a confronto’. La visione di Dennet appare apocalittica ma giustificata se pensiamo che un blackout mondiale o una vera e propria cyber war porterebbe al blocco di telefoni e televisori, bancomat, supermercati, e l’unica soluzione appare la programmazione di un piano B, una sorta di seconda rete accessibile solo in casi di emergenza. L’odierna civiltà ha perso ormai la rete di contatti fisici, affidandosi totalmente ad un mondo virtuale così esteso da coincidere con quello reale. In caso di cyber war non ci sapremmo muovere e la paralisi odierna ne è testimonianza.