La bellezza è soggettiva, non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace, se bella devi apparire, un poco devi soffrire… quante volte abbiamo sentito tutto ciò? Ma saranno veri? Scopriamolo con Ashley Graham.
Parlare di body positivity, nel 2021, è divenuta normalità. Infatti, sempre più spesso il fisico dei modelli, uomini o donne che siano, non rientra nei tipici standard di bellezza riconosciuti da trent’anni: vengono apprezzate e normalizzate le caratteristiche ‘strane’, i difetti, i nei. L’apice di questo movimento è da molti riconosciuto nelle modelle curvy, ragazze con qualche taglia in più della maledetta 42. Ma, ormai, siamo arrivati al post-curvy: baluardo di questa nuova concezione è l'(ex) plus size Ashley Graham.
Ashley Graham e il post-curvy
Classe 1987, Ashley Graham calca le passerelle da quando aveva 17 anni. Incurante di agenti scettici sul suo peso, è riuscita ad arrivare nell’Olimpo della moda, creando anche una sua linea di costumi da bagno e di abiti. Da sempre è molto attiva nel movimento body positivity, tanto da aver tenuto diversi TED Talks sul tema e da averci pubblicato un libro. Sui suoi profili social reposta spesso scatti di imperfezioni estetiche, con allegati messaggi di accettazione e gratitudine: cellulite, smagliature, chili di troppo, nulla può essere considerato veramente brutto, essendo parte di noi. La modella, in una recente dichiarazione a WSJ Magazine, afferma che si è stancata di essere definita curvy. La motivazione è semplice: in un’atmosfera di tanto agognata positività e inclusione, curvy altro non è che l’ennesima etichetta. Meglio essere descritta solamente come ‘donna‘, cercando di spostare l’attenzione dalla sola forma fisica dell’individuo, anche come atto di rispetto.
L’erotizzazione del corpo come problema sociale
Da quando, negli anni ’70, il corpo è diventato oggetto di erotizzazione mediatica, non è facile sfuggire alle critiche sull’aspetto fisico. Ma, soprattutto, all’autocritica: non è forse vero che siamo proprio noi il giudice più severo di noi stessi? Alla vista di modelle slanciate, fiere portatrici della taglia 38, con una pelle perfetta, il fisico a clessidra (o a rettangolo, nell’ultimo decennio) e le curve al posto giusto, la maggior parte delle donne si sente sminuita. L’insoddisfazione cresce, si instilla un senso di inadeguatezza profondo: ecco che arriviamo alla situazione attuale, nella quale il 90% del genere femminile crede che, per essere attraente all’occhio maschile, si debba per forza essere snelle e provocanti. L’azione di mercato, è diventata, in ultima istanza, un’azione sociale: le donne che vediamo tramite media sono oggettivate e sessualizzate allo scopo di attirare lo sguardo maschile. Sguardo che, inevitabilmente, diventerà anche femminile, nell’atto del confronto e dell’emulazione.
Le modelle curvy e il movimento body positivity
Dagli anni ’10 del 2000, si affianca alla snellezza l’ideale curvy. Ciò consiste, come già detto, in modelle con una taglia superiore alla 42, ma l’elemento più importante di ciò sta nella mentalità. Infatti, esso è un invito all’auto-accettazione, volto ad incrementare l’autostima femminile. Si dà valore alla bellezza autentica, veritiera, quella non costruita a tavolino, né stravolta per venire incontro a dettami sociali. Ed è la dimostrazione che tutte le donne possono essere sexy, anche se indossano taglie forti. I risvolti positivi sono numerosi: l’auto-affermazione aumenta, così come l’auto-consapevolezza. E qui sfociamo nel body positivity, in una realtà soggettiva post-femminista e dalla connotazione dell’empowerment muliebre. Quali saranno le prossime frontiere? Non ci resta che scoprirlo.