Scopriamo chi erano Rosa Balistreri e Francesco Busacca e come hanno cantato la bellezza della Sicilia e del suo dialetto.
I cantastorie rappresentano l’unico tramite culturale tra il popolo analfabeta e il mondo epico e poetico. Ogni paese aveva i suoi cantastorie; la Sicilia e il suo dialetto sono stati rappresentati da Rosa Balistreri e Francesco Busacca.
IL DIALETTO SICILIANO E I CANTASTORIE
La Sicilia, per la sua posizione geografica al centro del Mediterraneo, è stata da sempre terra ambita e di conquiste da parte delle civiltà antiche che la colonizzarono, dunque passeggiare in molte delle città della Sicilia è come compiere un viaggio indietro nel tempo e riscoprire ciò che ognuna di queste civiltà ci ha lasciato , oltre che alla bellezza dei monumenti e dei paesaggi a rendere ancora più suggestiva la Sicilia vi sono le tante tradizioni ed usanze, tramandate e ancora oggi rispettate. Ma, anche se molti sono consapevoli della bellezza di questa terra, pochi sanno apprezzare ciò che in realtà la contraddistingue, ossia il suo dialetto che è stato però fortunatamente messo in risalto dalla figura del cantastorie. Il cantastorie è una figura tradizionale della letteratura orale e della cultura popolare, che si spostava nelle piazze e raccontava con il canto una storia, sia antica, spesso in una nuova rielaborazione, sia riferita a fatti e avvenimenti contemporanei che entravano a far parte del bagaglio culturale collettivo di una comunità. La tradizione deriva da lontani precedenti, quali gli aedi e rapsodi greci e i giullari, menestrelli, trovatori o trovieri del Medioevo francese e nella scuola poetica siciliana. Simili figure sono presenti anche nella cultura islamica, indiana e africana. I cantastorie siciliani tramandano la vecchia cultura Siciliana che vede nel bandito l’eroe popolare, nel delitto d’onore un gesto eroico, nel traditore ed infame l’essere reietto da odiare. Una vecchia cultura popolare fortunatamente scomparsa con il cambiamento e la crescita culturale della società ma che in egual modo ha anche portato via quell’aspetto “poetico-passionale” proprio della Sicilianità.
ROSA BALISTRERI
Rosa Balistreri nacque nel 1927 in un quartiere degradato di Marina di Licata, in provincia di Agrigento. Figlia di un falegname geloso e violento, Rosa ebbe due sorelle e un fratello, Vincenzo, paraplegico dalla nascita. La famiglia era molto povera, e Rosa visse l’infanzia e la giovinezza nella miseria. Fin da bambina, si dedicò alle più umili attività: servì presso le case di famiglie benestanti, andò a lavorare nella conservazione del pesce, a spigolare per i campi assolati dei paesi vicini. Dopo una serie di dolorosi eventi per Rosa iniziò un periodo di serenità: incontrò il pittore Manfredi Lombardo, con cui visse per dodici anni, che le diede amore e la possibilità di conoscere grandi personaggi della cultura e dell’arte. Tra i tanti conobbe Mario de Micheli, il quale, incantato dalla sua voce, le diede la possibilità di incidere il suo primo disco con la Casa Discografica Ricordi. Rosa non si fermò a interpretare vecchie canzoni. Grazie all’amicizia con musicisti e poeti, tra i quali vi era Buttitta, che la indusse a prendere lezioni di chitarra, partecipò attivamente alla composizione di testi, fornendo a volte anche la traccia musicale oltre all’interpretazione canora. Presero vita, così, canzoni come “Mafia e parrini”, “I Pirati a Palermu” e tante altre, come quelle sull’emigrazione e sul duro lavoro di contadini, minatori e jurnatari, cioè i lavoratori a giornata. Tramite le sue canzoni si entra dentro la terra arida di Sicilia, nei campi assolati, nell’oscurità delle miniere di zolfo, nella solitudine e nel dolore dei carcerati, nella nostalgia degli emigranti, ma il percorso non si esaurisce nel dolore ma è esaltato nell’amore per la propria terra, per i piccoli, per le tradizioni religiose, e si sublima infine nella speranza, nella certezza di una giustizia sociale, nel rispetto per i lavoratori. Conosciuto Dario Fo, partecipò nel 1966 al suo spettacolo “Ci ragiono e canto”. Finita l’avventura con il suo Manfredi, che la lasciò per una modella, Rosa cadde in depressione, e tentò il suicidio. Nel 1973 partecipò al Festival di Sanremo con la canzone in italiano “Terra che non senti“, ma fu esclusa alla prima serata, perché il suo genere musicale fu considerato fuori moda. Stabilitasi definitivamente a Palermo, proseguì la sua attività recitando e cantando al Teatro Biondo in “La ballata del sale“, spettacolo scritto per lei da Salvo Licata. Il 1987 fu per Rosa l’ultima estate artistica come attrice teatrale, mentre come cantautrice continuò a girovagare per il mondo: in Svezia, in Germania, in America, raccogliendo sempre applausi e apprezzamenti. A Licata tornò un anno prima di morire, nel 1989. Rosa si spense all’ospedale di Villa Sofia a Palermo, il 20 settembre del 1990, colpita da un ictus cerebrale.
FRANCESCO BUSACCA
Francesco Busacca maturò le sue doti artistiche a Paternò ascoltando i versi dii diversi cantastorie ambulanti, tra cui Paolo Garofalo e Gaetano Grasso. Il suo debutto avvenne nel 1951 nella piazza di San Cataldo, con la rappresentazione de “l’assassinio di Raddusa”, tratto da una storia di cronaca avvenuta realmente nel paese di Raddusa. La passione per la narrativa e la denuncia civile, unite a una particolare sensibilità musicale furono il segno con cui Busacca si distinse nel mondo dei cantastorie siciliani, particolarmente sviluppato nel secondo dopoguerra, che ebbe come protagonisti Turiddu Bella, Vito Santangelo, Francesco Paparo e altri. Nel 1957, a Gonzaga, la giuria dell’AICA conferì a Busacca il primo premio “Trovatore d’Italia”, per la storia di Giovanni Accetta “L’innucenti vinnicaturi”. E’ negli anni successivi che si pose l’incontro con Ignazio Buttitta e con la sua poesia: di questo sodalizio i risultati più significativi rimangono le messe in scena de “Lamentu ppi Turiddu Carnivali”, “Lu trenu di lu suli”, e “Che cos’è la mafia ?”. A partire dalla fine degli anni settanta iniziò l’inesorabile declino di popolarità di Busacca e degli altri cantastorie siciliani, prime vittime della diffusione della televisione quale mezzo di comunicazione di massa. Busacca morì nel 1689.