Per gli studiosi uno degli elementi necessari per lo sviluppo di una civiltà è il linguaggio, e via via con i secoli abbiamo assistito a forme sempre più articolate. Il fumetto nasce, per convenzione, nel 1895, con le strisce comiche di Yellow Kid, di Richard Felton Outcalt.

Il fumetto come lo conosciamo noi, per lo meno, visto che già in antichità si attestano dei rudimentali balloon. Al giorno d’oggi il fumetto è decisamente diffuso e tratta delle più svariate tematiche per cui, oramai, dovrebbe essere superato lo stereotipo che lo etichetta come genere fanciullesco e privo di tematiche importanti. Molti giovani si sono schierati a favore di una ‘Nerd Cultura‘ -espressione tipica dello youtuber Dario Moccia, un must per gli amanti del genere- che vuole portare una rivalutazione del fumetto e di altri passatempi ludici. In particolare nel 2008 viene pubblicato Blatta, il cui autore, Alberto Ponticelli, ha un interessante curriculum alle spalle avendo lavorato in America e vinto vari premi.
Blatta, un fumetto senza fumetti
La scelta dell’autore è decisamente particolare. Lo stile grafico ci catapulta in un futuro post-apocalittico, in cui l’uomo ha raggiunto l’immortalità grazie alla scienza e a meccanismi di clonazione. Il prezzo da pagare è estremamente alto: nessun contatto col resto del mondo e col proprio corpo, oltre che vivere e lavorare in stanze piccolissime ed essere costretti da una tuta simil-palombaro. Tutto ciò è necessario per evitare il sovrappopolamento mondiale. L’unico spostamento possibile è verso il lavoro, la “vera fede” del protagonista – e si suppone di tutti gli altri esseri umani. Anche questo però è limitante. Difatti lo spostamento avviene solo dopo che un liquido, iniettato nella tuta, porta allo stato di sonno. Un giorno proprio a causa di una blatta, qualcosa va storto e il protagonista si ritrova fra le vecchie strade desolate, non più nella sua camera, nella città alveare, sicura e controllata. Per evitare spoiler ci si ferma qui con la trama -che merita notevolmente, visto il grande sviluppo del personaggio, affatto banale. Le tavole sono molto cupe e l’assenza di dialoghi ci porta ad osservare l’animo più intimo del protagonista. Le uniche scritte presenti saranno, infatti, dei pensieri di quest’uomo, impaurito.
Cosa ci insegna la Blatta?
Spesso l’autore nelle interviste si è soffermato sul tema del libero arbitrio. L’uomo vive una routine tremendamente triste, dettata dallo Stato. Ma non sembra che questo sia un peso per il palombaro: spesso ringrazia per i piani superiori per l’efficiente organizzazione, per la possibilità di lavorare e vivere per sempre, e nel momento in cui ha la possibilità di scegliere della propria vita, si gestisce questa scelta in maniera “maldestra“. “Alla fine cerchiamo sempre di trovare qualcosa che ci comandi “, se questa viene a mancare ci sentiamo perduti. Siamo dunque condannati a questo? Sperando il contrario, Ponticelli ci ammonisce e ci fa notare come le strade deserte siano una metafora delle strade attuali: “tutti tendono a rinchiudersi nelle case e vivere una vita virtuale ideale, dove nessuno mette in discussione le loro idee“. Conclude poi l’intervista spiegando il più grande mistero del fumetto. Per tutto il tempo una valigetta accompagna il palombaro. Questa rappresenta l’occasione di riscatto che dobbiamo sfruttare per svegliarci e ribellarci, l’unico modo per ritrovare un’umanità perduta. Paradossalmente però, nessuno di noi apre questa valigia.
Alessandro Martino