Cosa si nasconde dietro al termine “epifania”? Scopriamolo con Platone e Cartesio

In mezzo a caramelle, carbone e cioccolato, scopriamo quali “epifanie” hanno caratterizzato il pensiero filosofico.

 

Oggi 6 Gennaio si celebra in tutta Italia l’Epifania, o “la Befana” se vogliamo riferirci al folklore nostrano. Tuttavia, mentre festeggiamo sommersi di dolcetti o di carbone, non si conosce il reale significato della parola “epifania” e cosa essa rappresenti.

Epifania: tradizione e significato

Il 6 Gennaio indica nella tradizione cristiana occidentale il giorno dell’Epifania, cioè la rivelazione di Cristo come Dio incarnato ai Re Magi. Infatti il termine “epifania” riprende il vocabolo greco “epifaneia“, cioè “manifestazione, apparizione”; fa riferimento, soprattutto nella narrativa moderna (di stampo filosofico e psicologico), ai momenti di autorealizzazione e di evidenti manifestazioni di verità. Quelle soluzioni intuitive che risolvono complessi problemi, portando la comprensione a livelli più profondi.

Proviamo, allora, a ripercorrere alcune tappe della storia del pensiero filosofico antico e moderno, cercando di scovare le “epifanie” più significative ed interessanti.

La rivelazione del “Mito della Caverna”

Un passo conosciuto del settimo libro della “Repubblica” di Platone racconta, per bocca di Socrate, il Mito della Caverna. Il mito descrive la condizione conoscitiva umana paragonandola a quella di uomini imprigionati sin dall’infanzia in una caverna, nella quale le uniche esperienze che hanno sono ombre di oggetti proiettate sul muro. Essi credono erroneamente che quella sia la verità. Tuttavia, se immaginassimo che uno di essi venga liberato, egli si accorgerebbe pian piano di qual è la verità; prima noterebbe gli oggetti che generano le ombre, successivamente noterebbe il mondo fuori dalla caverna e, abituandosi alla sua luce, guarderebbe il sole comprendendo che per mezzo della sua luce può scorgere tutte le cose.

Questa allegoria rappresenta nel pensiero platonico l’ascesa del processo conoscitivo dal sensibile alle idee, e in particolare all’idea del bene (il sole). Notiamo però come l’intero mito sia caratterizzato da un climax di “epifanie”, di manifestazioni che confutano la precedente verità.

La manifestazione di verità: il “cogito”

Il pensiero di René Descartes (Cartesio) ha segnato profondamente la cultura filosofica occidentale. Infatti nel suo pensiero razionalista le “epifanie” di verità certe e indubitabili giocano un ruolo importantissimo; tali verità possono essere raggiunte solo attraverso l’uso della ragione (per esempio: il punto è minore della linea; i corpi sono estesi), unico strumento in grado di determinarle come tali di fronte all’inganno dei sensi. Ma tra queste, una verità in particolare fonda tutto il sistema filosofico cartesiano.

Cartesio dubita di tutto quello che risulta dubitabile razionalmente; posso dubitare che i sensi mi diano informazioni corrette, posso dubitare addirittura che le idee matematiche siano false e che si stia vivendo in un sogno illusorio creato da un dio maligno. L’unico elemento indubitabile (ecco “l’epifania” per eccellenza) è che stia dubitando, dunque che stia pensando e che io esista come “sostanza pensante” (res cogitans). L’indubitabilità del dubbio, e la determinazione dell’esistenza del soggetto pensante che ne deriva, è contenuta nella celebre espressione “cogito ergo sum” (“penso, dunque sono”).

Questa verità indubitabile mette a fuoco il ruolo del soggetto pensante di fronte agli oggetti che percepisce, e segnerà in modo indelebile anche il pensiero occidentale successivo riguardo il rapporto gnoseologico presente tra soggetto e oggetto.

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