Cosa hanno in comune un samurai ed un filosofo occidentale? Scopriamo 5 somiglianze tra i due!

Uno, maestro di spada e spiritualità, l’altro, abile artigiano di parole e saggi. Sia il samurai che il filosofo combattono strenuamente nel campo di battaglia da loro scelto, in cerca della tanto agognata pace interiore.

A seguire, scopriremo cinque filosofi occidentali, le cui tematiche principali rispecchiano alcuni aspetti del bushido ( “ La Via Del guerriero”), codice morale e spirituale del samurai.

Alla ricerca di sé

Lo stoicismo di Seneca sembra avere numerosi tratti in comune con la filosofia samurai. Entrambi ricercano, seppur con metodi diversi, una pace interiore in grado di elevare l’uomo. Tuttavia, essa non è un obbiettivo facilmente raggiungibile, ma la destinazione di un viaggio da percorrere con fatica. I metodi per raggiungerla, sono in entrambi i casi un’apatia individuale, usata come scudo verso un mondo materiale che è fonte di dolore e tristezza. L’annientamento del mondo esterno, per potersi poi concentrare solo su se stessi, diviene così uno spiraglio di luce in grado di dare all’individuo pace, e concentrazione.

Cercare la vita nella morte

Secondo Heidegger, la vita non sarebbe che una tortura insensata senza la sua nemesi più crudele: la morte. È infatti essa, sempre presente, ma nascosta nell’ombra, che da senso alla nostra vita, spingendoci ad una ricerca spasmodica di uno scopo che renda il nostro vivere più vero. Questa ricerca di un senso, che si contrappone perenne all’inevitabile morte, richiama a noi occidentali la figura leggendaria del samurai. Un guerriero in costante duello con se stesso, che cerca di fare di ogni granello della sua vita, una piccola opera d’arte che possa dare un senso al tutto.

L’occhio dell’io

Fin dall’antichità, è stato evidente che l’anima dell’uomo non è un’oggetto di facile indagine, eppure, la sua divisione in parti è stata per molti filosofi antichi una tematica importante. Platone infatti, riteneva il nostro essere diviso in due parti fondamentali: la parte appetitiva, e la parte razionale. Mentre la prima è quella dedicata alle pulsioni istintuali dell’uomo, la seconda ha il compito di forgiare la nostra ragione ed indirizzarla verso il bene, così che i nostri istinti, da predatori sanguinari, si addomestichino in servi dell’intelletto. Anche per il samurai, la ragione diviene il comandante supremo. È suo compito, forgiare una ferrea disciplina in grado di elevare il guerriero in un combattente formidabile, che vede la morte non attraverso l’istinto, ovvero la paura e il dolore, ma attraverso la ragione, che la tramuta in un inevitabile passaggio destinato a trasformare il guerriero in leggenda.

L’armonia come arma

Il samurai non combatte, il samurai danza sulle labbra della morte. La sua arte, ovvero quella della spada, non richiede solo forza, ma anche eleganza. Come per Kant, anche il samurai ricerca nel suo addestramento una finalità armonica, che sia data da un connubio perfetto tra ogni singola parte del combattere. La finalità dell’arte della spada, non è che un risultato armonico, ottenuto grazie ad ogni singolo movimento incastrato perfettamente nel tutto; così che il combattere diventi arte, e nel diventarlo risplenda di bellezza.

Cos’è il coraggio?

Nella visione Aristotelica, il coraggio è medietà tra paura e ardimento. Infatti, non è coraggioso lo sconsiderato, che affronta il male perché instupidito dal proprio senso di grandezza; e neppure il pavido, che vede pericoli che non possono essere affrontati. Il coraggioso è un’uomo pronto a sacrificare ogni briciola di sé  per il sommo bene. Il coraggioso è colui che posto di fronte all’esterno male che non riposa, la morte, gli sputerà in faccia senza remore. Questa visione del coraggio, epica e tragica, sembra essere propria anche del samurai, che si rivela essere un guerriero disposto a tutto, persino alla morte, pur di proteggere il suo signore dai mali del mondo.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.