La realizzazione personale può attuarsi tramite diverse modalità a seconda delle attitudini di ognuno di noi, ma quella che ha da sempre caratterizzato l’essere umano è il desiderio di sapere.
Seneca, scrittore latino del I sec. d.C., pone all’interno di una delle sue opere, le Naturales quaestiones, una teoria della conoscenza che, leggendola oggi, appare sorprendente per l’incredibile lungimiranza. Stephen Hawking è stato l’esempio vivente più emblematico di un uomo pronto a tutto pur di frantumare le barriere dell’ignoto.
Pusilla res mundus est: Seneca anticipa i tempi moderni
Tutti gli uomini tendono per natura al sapere.
Sono queste le parole del filosofo greco Aristotele che aprono il libro I della Metafisica e tramite le quali lo Stagirita afferma con estrema chiarezza quale sia il maggior discrimine tra l’uomo e gli animali: la tendenza al sapere, una tendenza non soggettiva, ma presente in ogni uomo per sua stessa natura (φυσει). Focalizzando la nostra attenzione sul mondo romano, ritengo che uno degli scrittori che maggiormente sia riuscito a cogliere questa tendenza al sapere dell’uomo sia Lucio Anneo Seneca, filosofo, drammaturgo e politico vissuto ai tempi di Caligola e Claudio prima, Nerone poi. Nell’arco della sua attività intellettuale, Seneca si interessò ai più disparati campi del sapere dando vita ad opere molto diverse tra di loro: trattati filosofici, dialoghi, dissertazioni scientifiche, tragedie. Evitando di passare in rassegna tutte queste opere, la cui analisi la affido a contesti più specifici, mi vorrei qui soffermare su un’opera in particolare, che Seneca scrisse sul finire della sua vita: le Naturales Quaestiones. Nei sette libri che compongono il trattato, il filosofo romano veste qui i panni di un vero e proprio uomo di scienza e passa in rassegna tutta una serie di fenomeni cosmologici, atmosferici e terrestri come i lampi, i venti, i terremoti, la neve, la pioggia, le comete, dando per ognuno di essi la spiegazione più scientifica possibile per i tempi in cui visse. Sin dal primo libro, possiamo subito scoprire quale fosse lo scopo dell’opera: sulla scia di Lucrezio, anche Seneca aveva l’obbiettivo di permettere all’uomo, una volta libero dalle false credenze che avvolgono il cosmo, di liberarsi da ogni paura e ascendere a una dimensione per così dire ‘divina’. Nell’ultimo libro, Seneca affronta il tema delle comete ed è proprio qui che, passando in rassegna le varie teorie che erano state avanzate nel corso dei secoli circa la loro natura, e rendendosi conto del fatto che non erano ancora state trovate leggi fisse per un fenomeno così sublime, prova una forte meraviglia. Colto da questo stato di sorpresa improvvisa, si allontana dalla trattazione scientifica dandosi ad una riflessione molto più generale sul progresso e sulla conoscenza. Afferma dunque, e questo penso possa essere considerato uno dei passi più belli dell’intera produzione letteraria latina, che sarebbe venuto un giorno in cui l’uomo avrebbe portato alla luce questi fatti. È in queste poche righe sintetizzata la consapevolezza dei limiti della conoscenza scientifica, una teoria del progresso per la quale ogni generazione aggiunge un tassello alla verità tramite una ricerca che riguarda ogni essere vissuto, vivente e che ancora deve nascere. Tutto ciò, nella consapevolezza che
pusilla res mundus est nisi in illo quod quaerat omnis mundus habeat
Il mondo sarebbe piccola cosa se tutti coloro che verranno non vi trovassero qualcosa da indagare.
Stephen Hawking: un uomo votato al sapere
Come anticipato in fase di introduzione, Stephen Hawking, fisico, cosmologo e matematico britannico, è stato uno dei maggiori esempi di perseveranza nel raggiungimento dei propri fini conoscitivi. La sua figura è stata conosciuta dal grande pubblico nel 2014 quando è uscito nelle sale cinematografiche “La teoria del tutto”, film biografico diretto da James Marsh e interpretato da Eddie Redmayne. Qui il giovane attore londinese (che in seguito ha anche ricevuto l’Oscar come migliore attore protagonista) veste i panni del fisico e, seppur in maniera romanzata, vengono passate in rassegna tutte le fasi della vita di Hawking: dall’amore per Jane alla passione per la scienza, dal disturbo neurologico alla formulazione della teoria che lo ha reso tanto celebre. Ritengo che uno degli aspetti più degni di lode del film sia quello di essere stato in grado di carpire con estrema vividezza il dolore, la depressione, ma allo stesso tempo la forza interiore del giovane scienziato pronto a non piegarsi di fronte a nulla, nemmeno ad una malattia che lo avrebbe costretto alla paralisi, pur di perseguire l’obbiettivo che si era prefissato: quello di dar vita ad una sola formula tramite la quale dare un senso complessivo a tutte le forze che regolano l’universo.
Seneca e Hawking: l’esempio che conferma la teoria
Non è forse questo ciò di cui parlava Seneca nella conclusione delle Naturales Quaestiones? Non è forse Stephen Hawking l’emblema di un uomo che, per quel famoso impulso naturale tanto caro ad Aristotele, ha provato ad aggiungere un tassello alla conoscenza? Il tassello che ha aggiunto Hawking ha una portata incredibile, di certo non tutti abbiamo un Qi pari a 160 quale quello del fisico britannico, ma l’invito di Seneca esula dalla genialità personale, è un invito rivolto ad ognuno di noi, tutti indistintamente chiamati a provare ad aggiungere un contributo personale al grande calderone della conoscenza, in qualsiasi campo le nostre abilità ci portino a concentrarci. Le scoperte di Hawking, infatti, così come quelle di ogni altro grande scopritore, derivano dalla voglia di fare, di realizzarsi, di morire nella consapevolezza di aver portato a termine l’obbiettivo che costituisce il senso primario della nostra seppur breve ed effimera vita.