COME NON FARSI DEGLI AMICI: PER IL SUO COMPLEANNO SCOPRIAMO L’ERRORE PIÙ GROSSOLANO DI ROMOLO

Il primo re di Roma. Non di certo un titolo da poco. Nonostante i toni mitici del suo regno egli commise un errore becero ai danni delle Sabine.

Rapimento di una Sabina, 1579, Loggia dei Lanzi, Firenze.

La leggenda delle origini di Romolo è chiara e ben conosciuta. Sua madre, la sacerdotessa Rea Silvia, si unì con Marte, dio della guerra, generando due gemelli. Il 24 marzo 771 a.C. nacquero così Romolo e Remo. I ragazzi erano eredi al trono di Alba Longa, e per questo furono abbandonati in una cesta nel Tevere. Una lupa, sentiti i pianti dei due bimbi, si avvicinò, sfamandoli e salvandoli dalla morte. I due furono trovati successivamente da Faustolo, che li allevò, finché non divennero grandi abbastanza da rivendicare il trono. Il Tevere avrebbe fatto il suo corso, letteralmente, se per Romolo e Remo il destino non avesse in mente ben altro. E non un destino qualsiasi, ma quello di fondare una delle città più grandi e potenti della storia: Roma.

LA NASCITA DI ROMOLO

Per capire i veri natali di Romolo bisogna partire dal re di Alba Longa, Amulio. Egli non era re, lo era bensì suo fratello, Numitore. Su questo molti storici sono discordi. Alcuni affermano che i due governassero ad anni alterni, mentre altri propendono per l’idea che al fratello maggiore dovesse succedere l’altro. Secondo questo schema il potere sarebbe dovuto toccare a Numitore, ma suo fratello Amulio riuscì a spodestarlo. Amulio voleva inoltre evitare che la progenie di Numitore potesse avere pretese, così decise di nominare Rea Silvia sacerdotessa degli dei così da impedirle di procreare. Anche il nome di Rea Silvia viene discusso, nonostante l’appellativo Rea rimandi al latino Ops, divinità associata al culto di Marte. Nonostante la sua posizione, la ragazza non rispettò il voto, generando comunque due gemelli. I bambini furono condannati alla morte nel Tevere, ma fortunatamente la loro cesta si arenò in una secca, nei pressi di una grotta che gli storici chiamano Lupercale (Luperco era inoltre il lupo sacro a Marte). Dopodiché furono trovati e salvati dal porcaio Faustolo e da sua moglie Acca Laurenzia, alcuni dicono anche col sostegno di Numitore. Romolo e Remo crebbero secondo gli usi sabini, distinguendosi per intelligenza e forza. Divenuti abbastanza grandi i due si mossero per rivendicare il trono di Alba Longa, uccidendo Amulio e riportando Numitore sul trono, fondando nello stesso tempo una città lì dove erano stati abbandonati.

Faustolo trova i gemelli insieme alla lupa (Rubens, 1615, Musei Capitolini, Roma)

LA FONDAZIONE DI ROMA

Prima di parlare della fondazione di Roma vi è anche qui da chiarire le modalità di regno. Romolo e Remo governarono, secondo le fonti, insieme, almeno all’inizio, e questo entrava in disaccordo con le modalità fino ad allora adottate in Sabina, loro luogo d’origine. L’unico modo per motivare questo regno congiunto fu renderli gemelli, particolare che annullava di fatto l’alternarsi dei poteri in quanto non vi era un maggiore. In ogni modo, la convivenza tra i due fratelli doveva essere pacifica e collaborativa. I contrasti iniziarono immediatamente. Vi erano discussioni sul nome della città, sul luogo di fondazione e su chi ne dovesse essere il capo. I due gemelli decisero così di affidarsi agli auspici, che senza ombra di dubbio videro Romolo trionfare su Remo, il quale non la prese benissimo. Il giorno festivo di Pales, Romolo radunò il popolo, aggiogò ad un aratro una vacca e un bue e tracciò il confine di Roma intorno al Palatino, chiamato “sulcus primigenius“. Con la creazione del pomerium, cioè il confine della città, il 21 aprile 753 a.C. nasceva Roma. Rimaneva solo il problema di Remo, che aveva commesso il terribile atto di scavalcare il pomerium. Doveva ovviamente essere eliminato. I due gemelli dovettero così scontrarsi, nonostante il popolo non smaniasse per vedere i due regnanti affrontarsi, e Remo venne ucciso da Romolo. L’opera di fondazione di Romolo stava andando a gonfie vele, fratricidio a parte. Quello a cui il fondatore puntava ora era cementare amicizie e creare alleanze, cosa che desiderava in primo luogo dai Sabini, numerosi e con un territorio esteso fino all’Abbruzzo, con cui Romolo smaniava un’alleanza che non stava arrivando.

Il RATTO DELLE SABINE

Roma stava crescendo come città e Romolo si era premurato di accogliere generosamente in un luogo d’asilo tutti gli immigrati maschi di altre regioni. La crescita esponenziale di uomini non faceva altro che accentuare un problema: mancavano donne. La paura era grande, in quanto i romani rischiavano di estinguersi in una generazione. Ovidio ben sottolinea la cosa nei Fasti, affermando che: «ora il romano aveva un nome più grande del luogo, e tuttavia non aveva né moglie né suocero». Romolo si ritrovò così a dover chiedere ausilio alle città vicine, mandando ambasciatori in cerca di donne. Rifiutarono quasi tutti, ritenendo Romolo e gli abitanti della nuova Roma decisamente rozzi, senza virtù, poco più che dei pastori. Il rifiuto non fu preso di buon occhio da Romolo, che compì l’errore più grave da fare quando si cercano nuovi amici: un rapimento. Durante i giochi in onore di Nettuno egli ordinò ai suoi uomini di rapire le donne presenti, portandole a casa con l’ordine di non toccarle. Il giorno dopo le riunì spiegando loro che erano state rapite per il matrimonio, non per il disonore, e concesse subito loro la cittadinanza romana, invitandole calorosamente ad amare i loro nuovi mariti. Il motivo del rapimento viene spiegato dallo stesso Romolo, che da la colpa ai Sabini per aver rifiutato la loro amicizia, come riporta Dionigi di Alicarnasso nell’opera Antichità Romane:

«E quando si furono radunate, lamentandosi, gettandosi ai suoi piedi e piangendo le calamità delle loro città natali, comandò loro di cessare i loro lamenti e di tacere, poi parlò loro così: “I vostri padri e fratelli e le vostre intere città meritano di soffrire ogni severità per aver preferito alla nostra amicizia una guerra che non era né necessaria né onorevole. Noi però abbiamo deciso per molte ragioni di trattarli con moderazione, gratitudine e gioia”»

 

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