L’estasi provocata dalla poesia simbolista ritrovabile nella musica e nei testi di Tedua, rapper genovese classe 1994.
La forza del movimento simbolista
La cultura maggioritaria nella seconda metà dell’Ottocento era quella positivista la quale, con la sua fiducia nella scienza e nel progresso, ha prodotto una controcultura reazionaria (il Simbolismo) che fece mantenere vivo, nella società, il desiderio di perlustrare l’inesplorabile mistero presente in ogni cosa, provocando una forte necessità di evasione, mistero, trascendenza e soprannaturale. Tutto ciò permise al Simbolismo di vestire l’opera d’arte, intesa in senso lato, di nuovi ricchi significati: ad essa fu affidato il compito di setacciare l’universo oltre quello naturale e, dunque, di spingersi oltre il solo mondo fisico, ormai scontato agli occhi della cultura ottocentesca. Fu Charles Baudelaire con la poesia “Corrispondenze“, presente nella celeberrima raccolta “I fiori del male“, a scrivere quello che è definibile come il manifesto ante litteram della poetica fondata sull’analogia e sulla visione mistico-spirituale del mondo, tuttavia è grazie al primo erede di Charles, Arthur Rimbaud, se è giunta fino a noi la figura del poeta “voyant“, veggente, un uomo idealista e sognatore in grado di penetrare nelle profondità di quel mondo sconosciuto ricercato smaniosamente, d’ora in poi, da tutta la scuola simbolista. Rimbaud ha appena 17 anni quando, nel maggio del 1871, spedisce una missiva indirizzata al poeta e amico Paul Demeny a cui verrà dato il titolo di “Lettera del veggente“. In questa lettera viene definita la modalità con cui un uomo può divenire “poeta veggente“: questa trasformazione avviene grazie ad “un lungo, immenso e ragionato disordine di tutti i sensi” in cui è in grado di trovare, tra “tutte le forme d’amore, di sofferenza, di pazzia“, se stesso ed il proprio Io affinché possa “conservarne la quintessenza“. In questa disordine ci si scontra necessariamente contro l’ignoto, un abisso sconosciuto che ha la facoltà di far smarrire il poeta stesso e di spingerlo così in avanti da minare al suo equilibrio mentale.
Tedua, il poeta veggente del XXI secolo
Durante un’intervista rilasciata per il canale YouTube di Marco Montemagno, viene pronunciata da Mario Molinari, 25enne genovese con la passione per la musica rap e conosciuto al grande pubblico con lo pseudonimo di Tedua, un’affermazione che permette di avvicinarlo al poeta maledetto simbolista: “sono il frammento crepato dello specchio della società” differenziandosi così dai suoi colleghi, definibili come “lo specchio intatto“. Contestualmente a tale asserzione possiamo presentare la sua personale idea rispetto la padronanza della cosiddetta “arte dell’arrangiò“, conoscenza che ha consentito al cantante ligure di investire su stesso (spiritualmente e materialmente mediante lezioni di canto, ballo, dizione e recitazione) in modo da innalzare la sua figura al di sopra degli altri; si tratta, dunque, di un investimento che permette la crescita e la maturazione dell’artista così da salvarsi dal buio oblio dell’ignoto. Per Tedua la scrittura in simboli deriva dall’inesorabile flusso di coscienza che investe la sua anima e lo colma di energia ed ha un unico punto di partenza: la vita, è l’esistenza stessa a presentarsi sotto le spoglie di traumi e di stimoli, i quali gli permettono di entrare in possesso degli aggettivi necessari per argomentare la condizione con cui si ritrova a convivere. Questa esperienza del vivere vede il suo culmine nell’album Mowgli dove la città viene presentata come la “giungla urbana” e lui come il suo “figlio illegittimo” (attingendo dai racconti di Kipling). All’interno di quest’album troviamo “Cucciolo d’uomo“, la canzone che, personalmente, considero come il suo manifesto, poiché al suo interno è presente la frase-chiave della sua poetica: “A dirlo creo metafore, a seconda della tua mente / il cervello asseconda un’immagine“. Una dichiarazione del genere mostra quanto un artista moderno come Tedua voglia avvicinare i suoi testi ad una libera interpretazione figlia di quel flusso di coscienza citato in precedenza.
La poesia diviene musica
Posto di fronte all’oscurità manifestata dall’ignoto, l’artista simbolista si ritrova a pagare caro un’impotenza verbale che lo obbliga a piegare la sua poesia ad un flusso melodico similare al canto: sono le parole a caricarsi di plurimi significati, è l’impasto ritmico e sonoro della poesia a conservare il compito di rendere noto un messaggio intriso di estasi e visioni soprannaturali. Questa scrittura pervasa dall’espressività melodica fa affidamento all’impiego delle figure retoriche – tra cui la metafora, la sinestesia, l’ossimoro e l’allitterazione – e dei simboli, la singola parola indecifrabile ricoperta di plurimi significati. La fine di tutto, la morte, viene presentata da Rimbaud (nella poesia “Vocali“) mediante il procedimento sinestetico innescato grazie alla vocale “O” cioè la “suprema Tuba di stridori strani, […] l’Omega, raggio violetto dei Suoi Occhi“. Per Tedua, in “Acqua (Malpensandoti)”, l’amore è mortale e conduce alla fine di uno dei due amanti tanto da venire definito come l’atto di “armarsi, voltarsi e contar dieci passi“. Se, poi, prendiamo in considerazione la “Canzone d’autunno” di Verlaine, altro importante poeta riconducibile al Simbolismo tanto quanto al Decadentismo, notiamo – oltre all’innegabile qualità musicale riservata alla sua parola poetica – le baudelairiane corrispondenze tra musica, Natura e stati d’animo del poeta. Allo stesso modo, nella canzone “Il fabbricante di chiavi“, il rapper di Genova definisce la scalata sociale che lo vede protagonista “come il nuoto / quando ti immergi e senti il vuoto / sotto i tuoi piedi“.
Questi sono solo degli esempi che permettono di avvicinare delle figure così distanti nel tempo, ma così idealmente vicine. Esempi che non vogliono porsi come regola definitiva, bensì come dimostrazione dell’esistenza di uno stretto legame tra poesia e musica.