Che cos’è il modello multiculturale? Ce lo spiegano Stati Uniti, Canada ed Australia

Come reagiscono le democrazie liberali di fronte alla pluralità dei gruppi etnici e culturali? Prendiamo Stati Uniti, Canada ed Australia come esempi di multiculturalismo.

 

Le ondate migratorie della fase post-industriale successive allo shock petrolifero del 1973 e la più recente globalizzazione hanno comportato da un lato l’inarrestabile mobilità delle merci e della forza lavoro, dall’altro la continua circolazione di individui, ciascuno dei quali contraddistinto dal proprio bagaglio culturale. La situazione descritta ha posto gli Stati-nazione di fronte ad una nuova sfida: interrogarsi su se stessi per reagire prontamente con politiche ad hoc. Ecco, quindi, l’elaborazione di specifiche politiche di integrazione culturale, distinte in misure di tipo etnocentrico e di tipo universalista con lo scopo, come riportato da R. Guolo, di disciplinare i rapporti “tra autoctoni e non, tra maggioranze e minoranze nazionali da un lato e minoranze immigrate dall’altro, oltre che garantire efficienza sistemica”. Così, distinguiamo tra modello assimilazionista e modello multiculturale.

 

Il modello multiculturale

Cosa si intende col termine multiculturalismo? Inteso come insieme di politiche e strategia culturale, il multiculturalismo nasce circa quarant’anni fa dall’esigenza dello Stato-nazione di affrontare quella pluralità culturale prerogativa di una società quale quella contemporanea in evoluzione costante. Risultato del colonialismo e dei processi di migrazione, la multietnicità è, allora come oggi, quella potrebbe definirsi la fotografia di una realtà, vale a dire le società moderne sono sempre più divenute il luogo in cui diversi gruppi culturali condividono lo stesso spazio sociale.

In termini accademici, il termine multiculturalismo fa la sua comparsa nel dibattito pubblico statunitense e canadese piuttosto recentemente, non prima degli anni Settanta del Novecento, ovvero in seguito alla presa di coscienza del fallimento delle politiche assimilazioniste. Ma, è soprattutto negli anni Ottanta e Novanta del XX secolo che diviene l’oggetto privilegiato del dibattito filosofico-politico, in particolar modo in Europa, dove il multiculturalismo è indagato tanto da parte liberale che comunitaria. Si consideri poi che se il mondo anglosassone impugna le politiche multiculturali per far fronte alle cosiddette “guerre culturali”, vale a dire le rivendicazioni promosse dalle minoranze sub-statali, siano esse minoranze etniche e linguistiche o vere e proprie popolazioni autoctone, il vecchio continente abbraccia la soluzione multiculturale per affrontare la questione delle ondate migratorie, ritenute potenzialmente suscettibili di mettere a repentaglio la stabilità liberale e democratica degli stati accoglienti. In altre parole, il concetto di multiculturalismo viene in considerazione ogniqualvolta ci riferiamo ad un numero consistente di temi, questioni, processi sociali e politici, e trasformazioni.

 

Il caso statunitense

Ora, incrociando la variabile storico-politica con gli approcci che ne derivano, è possibile mettere in luce come la pratica multiculturale riguardi principalmente tre ambiti: la questione delle minoranze religiose, etniche o linguistiche, come nel caso canadese; il diverso trattamento dei popoli indigeni, come le comunità aborigene presenti in Australia o gli indiani d’America; il problema dei migranti, che caratterizza attualmente il dibattito politico europeo. In questa sede verrà analizzato il modello anglosassone a partire dal caso statunitense che richiede la spiegazione della pratica assimilazionista. L’idea di base dell’assimilazionismo è che esisterebbero dei diritti ritenuti universali da estendere alle culture minoritarie, in nome della convinzione che la cultura dominante debba costituire l’elemento unificante della società. Sulla base di questa visione, la condivisione di tali diritti permetterebbe agli immigrati di aspirare alla tanto agognata cittadinanza. In altre parole, prerogativa della posizione assimilazionista è la rinuncia alla prorpia identità culturale d’origine in favore dell’assimilazione dell’individuo all’interno della cultura dominante.

Esempio di assimilazionismo è il cosiddetto “melting pot”, o “crogiolo di razze”, statunitense. Finalizzato a forgiare la nuova identità americana, il melting pot ha finito non solo per negare le diverse istanze identitarie, ma anche per escludere alcune categorie culturali dalla copertura dei diritti fondamentali. Il melting pot ha avuto come esito quindi non già la fusione o la confusione dei gruppi etnico-culturali nella nuova identità americana, ma l’esaltazione smaniosa della propria specifica identità, cosicché dal melting pot si è passati al “salad bowl”. Vagliata l’analisi del “villaggio globale” di Marshall McLuhan, i limiti presentati hanno segnato negli Stati Uniti il tramonto dell’assimilazionismo in favore dell’adozione di politiche multiculturali.

 

Canada e Australia

Sulla scia degli Stati Uniti, il multiculturalismo è stato inaugurato in Canada dal Primo Ministro Pierre Trudeau, che nel 1971 ha emanato la Multiculturalism Policy of Canada, alla quale è seguita nel 1982 la Canadian Charter of Rights and Freedom e, infine, nel 1988 ha approvato il Multiculturalism Act, che fa del paese una vera e propria culla del multiculturalismo, nonché, come evidenziato da più parti, il primo paese multiculturale del mondo. Le ragioni dell’adozione del secondo modello qui considerato sono da individuare nelle variabili storico-politiche del paese ed in particolare nei processi di colonizzazione manu Europa, che hanno interessato il territorio sin dal XVII secolo, senza tralasciare le consistenti e continue ondate migratorie. Ne deriva che il Canada si presenta ancora oggi diviso in tre principali realtà etniche: la francocanadese, l’anglocanadese, alle quali vi si aggiungono le popolazioni aborigene, le prime ad insediarsi nelle Terre del Nord America.

Per quanto riguarda l’Australia la pratica multiculturale nasce in seguito all’abolizione della White Australia Policy del 1973 e del Racial Discrimination Act del 1975 con cui il paese ha aperto i propri confini a consistenti ondate migratorie che hanno finito per caratterizzare la morfologia culturale australiana. Come risultato, sulla base di una serie di statistiche raccolte nel 2014, un cittadino su quattro è nato Oltreoceano. In termini giuridici questa commistione culturale ha trovato consacrazione nel report Australia as a Multicultural Society del 1977 cui è seguita l’implementazione di politiche ad hoc a partire dal 1978.

 

 

 

 

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