Un software pensato per analizzare la felicità globale ha da poco registrato le due settimane più tristi dal 2008 ad oggi.
È possibile definire la tristezza? Si tratta di un concetto ampio che può presentare diverse manifestazioni, e la sua concezione può variare in base alla personale esperienza di ognuno. La tristezza, come la felicità, può dipendere da fattori esterni ma consiste comunque in una sensazione interiore. Riconoscere gioia e angoscia è difficile, e ancora più difficile è descriverle, soprattutto se si tenta di individuare un sentimento che coinvolga nello stesso momento tutta quanta la popolazione. Eppure, ormai da anni, c’è uno strumento che si pone questo obiettivo.
L’edonometro misura la nostra felicità
L’edonometro, ideato da due matematici dell’Università del Vermont, è uno strumento che analizza la felicità globale. Si tratta di un software che ogni giorno pesca il 10% delle pubblicazioni su Twitter e analizzando il linguaggio utilizzato dagli utenti di tutto il mondo tenta di effettuare una stima del livello di positività, valutato su una scala crescente da 1 a 9. Il software esiste dal 2008, ma solo nelle ultime settimane ha registrato il picco minimo di positività globale. Lo sconforto generale cominciato a metà marzo dopo l’annuncio della pandemia ha raggiunto il culmine dal 26 maggio in poi, con la notizia delle proteste per la morte di George Floyd: con il fervore della massa che chiedeva giustizia sono state segnate le due settimane “più tristi” di tutte.
Spleen di Baudelaire ci descrive la tristezza
Con l’edonometro sembra dunque possibile quantificare la tristezza, ma come descriverla? Diversi sono i tentativi e le rappresentazioni degli artisti di tutti i tempi. Tra questi, il poeta Charles Baudelaire ha parlato nei suoi testi dell’angoscia che opprime gli uomini mediante il concetto di spleen, sede della malinconia e luogo dell’insoddisfazione personale. Il termine inglese spleen deriva dal greco e indica la milza, sede della bile nera secondo le antiche teorie mediche.
Nella raccolta poetica “I fiori del male” Baudelaire contrappone la tristezza all’ideale, definendola dunque come la mancata realizzazione di se stessi. In “Spleen e ideale“, prima sezione del canzoniere, quattro sono i componimenti che portano il titolo di Spleen e che descrivono l’angoscia. L’ultimo di questi presenta una serie di immagini che raccontano uno scenario ambientale e lo collegano direttamente all’interiorità del poeta:
“Quando, come un coperchio, il cielo basso e greve
schiaccia l’anima che geme nel suo tedio infinito,
e in un unico cerchio stringendo l’orizzonte
fa del giorno una tristezza più nera della notte;
quando la terra si muta in un’umida cella segreta
dove la Speranza, timido pipistrello,
sbatte le ali nei muri e dà la testa
nel soffitto marcito;
quando le strisce immense della pioggia
sembrano le inferriate d’una vasta prigione
e muto, ripugnante un popolo di ragni
dentro i nostri cervelli dispone le sue reti,
furiose a un tratto esplodono campane
e un urlo tremendo lanciano verso il cielo,
che fa pensare al gemere ostinato
d’anime senza pace né dimora.
– Senza tamburi, senza musica, sfilano funerali
a lungo, lentamente, nel mio cuore: Speranza
piange disfatta e Angoscia, dispotica e sinistra
va a piantarmi sul cranio la sua bandiera nera.”
(Da I fiori del male, “Spleen e Ideale”, LXXVIII. Traduzione italiana di G. Raboni)
Quantificare la tristezza a partire dai social?
Baudelaire riesce non solo a descrivere la sua tristezza ma anche a far percepire una serie di sensazioni mediante la tensione del testo, che riesce bene a comunicare la sua interiorità. Emerge una certa impotenza, nei confronti di un sentimento che travolge e che non lascia via di fuga. Tuttavia, forse, quella descritta dal poeta è solo una delle diverse forme della tristezza, e quelle raccontate solo alcune delle sensazioni che la tristezza può recare. Dunque, è forse possibile quantificare qualcosa di complesso come la tristezza? È possibile parlare di un sentimento che coinvolge globalmente la popolazione in un determinato periodo? E poi, ammesso che sia così, è davvero dalle parole – spesso sarcastiche – digitate ogni giorno sui social che emerge ciò che il popolo sente?