La crisi climatica si mostra ancora imprevedibile e lo fa attraverso eventi estremi come le ondate di calore (heat waves)
Tra lo scioglimento del permafrost e il termometro che raggiunge i 100° F, quanto è vicino il rischio di vedere posti come la Siberia completamente stravolti? I sintomi della crisi climatica sono sempre più evidenti
La situazione climatica
Non è raro osservare sbalzi di temperatura alle alte latitudini, spesso la Siberia ha toccato anche i 30°C in periodi come questi e la cosa non dovrebbe sorprenderci, ma l’aver sfiorato i 100°F (equivalente circa di 38°C) a Verkoyansk è un evento davvero estremo e non si è mai osservato un dato così alto in Siberia da quando registriamo l’andamento della temperatura. Secondo Copernicus Climate Change Service le temperature in quest’area sono mediamente aumentate di 10°C, ed è stato il maggio più caldo degli ultimi tempi, non solo in Siberia, ma anche in varie parti del mondo. Questo ovviamente non vuol dire che questi valori diventeranno la normalità, e prima di riosservare un evento del genere probabilmente passerà del tempo: il problema è che tra un evento estremo e un altro potrebbe passarne troppo poco, e questo dovrebbe farci riflettere.
Il sistema climatico è ormai in crisi da anni, l’aver pompato in maniera indisturbata CO2 e altri gas in atmosfera per più di 200 anni sta iniziando a mostrarci i lati negativi dell’accelerazione di questo cambiamento e siamo ormai dentro un tunnel dal quale è difficile uscire. Il cambiamento climatico è un evento che si sta esprimendo in maniera diversa nelle varie parti del mondo, in linea generale si osservano dei cambiamenti più evidenti nell’emisfero boreale, perché è qui che si trova il motore principale ed è da qui che è iniziato tutto con la rivoluzione industriale 250 anni fa, e in entrambi gli emisferi le alte latitudini (quindi le zone più vicine ai poli) stanno sentendo particolarmente gli effetti del cambiamento, in particolare qui il cambiamento è anche più veloce.
Quanto è successo in Siberia non dovrebbe però stupirci, si è notato da tempo che la regione è sottoposta a stress climatici piuttosto estremi legati al riscaldamento, anche se circostanziali, in particolare negli ultimi anni c’è stata un’anticipazione non prevedibile della stagione degli incendi, come anche quest’anno, e il permafrost caratteristico di queste zone si sta pericolosamente sciogliendo.
Il permafrost
Il permafrost è un suolo perennemente ghiacciato, anche molto profondo, che può estendersi per diversi chilometri, e presenta al di sotto accumuli di materiale organico decomposto per millenni. Oltre che in Siberia si può trovare in altre aree del mondo come l’Alaska e il nord del Canada.
L’enorme pericolosità dello scioglimento del permafrost sta nel fatto che la materia organica decomposta rilascia metano (CH4) e tutto il gas finora accumulato al di sotto del permafrost potrebbe fuoriuscire ed entrare nell’atmosfera. Il metano è un potente gas serra e grandi quantità di metano immesse nell’atmosfera alimenterebbero il riscaldamento così da aggravare ancora di più anche lo scioglimento del permafrost, ed entrare in un loop positivo che aggraverebbe il riscaldamento globale. Molti degli effetti del cambiamento climatico causano essi stessi l’aumento del cambiamento, alimentando la sorgente che ne accelera gli stessi processi, causando a loro volta effetti indiretti non sempre ancora prevedibili, e lo scioglimento del permafrost è uno di questi.
Il disastro avvenuto lo scorso 10 giugno a Norilsk dello sversamento di gasolio, pare essere stato causato proprio dallo scioglimento del permafrost, che ha portato al collasso dei pilastri di supporto che hanno ceduto, contribuendo così allo stravolgente scenario.
È stato stimato che entro il 2040 di tutta la copertura a permafrost presente sul pianeta circa il 20% si scioglierà, e anche se può sembrare lontano, non lo è: il 2040 è fra 20 anni, e in un arco di tempo così breve potremmo avere un aumento esponenziale di metano in atmosfera. Il rischio che si teme è di superare la “soglia di non ritorno” ovvero il “tipping point” oltre la quale il danno sarà ormai così grande non poter più fare nulla.
Heat waves ed eventi estremi
Questa a cui stiamo assistendo è una “heat wave” ovvero un’ondata di calore, evento estremo con frequenza non sempre prevedibile; la normale ciclicità di un evento estremo come questo solitamente è di uno ogni 70-90 anni. Ultimamente però, questi eventi estremi sono aumentati in frequenza, in intensità e periodo e stanno causando gravi danni sia agli ecosistemi, sia alla salute delle persone, ed è ormai accertato che la causa di questi cambiamenti è da collegare alla crescente attività antropica.
Una delle prima ondate di calore recente è stata registrata tra il 1997 e 1999, poi nel 2003 ci fu una delle più intense ondate di calore che colpì diverse aree del mondo compreso il Mediterraneo dove ci fu una strage di animali bentonici come coralli, bivalvi e spugne che morirono in massa nei nostri mari; successivamente si registrò un altro picco nel 2007, e nel 2012, e infine questo 2020. Se facciamo due conti ormai fra un’ondata e un’altra stanno passando 5-6 anni, ed è veramente troppo, troppo poco. Ciò che spaventa quindi, non è tanto l’aver raggiunto 38°C a Verkoyansk lo scorso 20 giugno, ma che questi eventi estremi siano sempre più frequenti, ravvicinati nel tempo e in zone inusuali, e che stiamo avendo sempre più la dimostrazione di quanto il sistema climatico sia in crisi e di quanto noi siamo così poco adattati ad un mondo che sta cambiando.
Cosa dovremmo aspettarci? Non lo possiamo sapere, sappiamo solo che eventi estremi come ondate di calore, alluvioni e inondazioni, uragani saranno sempre più frequenti, e sono il sintomo di un problema climatico globale con il quale siamo ormai costretti a confrontarci sempre più spesso.